Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4075 del 16/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 16/02/2017, (ud. 12/01/2017, dep.16/02/2017),  n. 4075

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 997-2013 proposto da:

P.G.B.M., (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, P.ZA DELLE MUSE 8, presso lo studio

dell’avvocato ANGELA SIRIGNANI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MASSIMO BASILAVECCHIA, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 303/10/2011, emessa il 27/10/2011, della

COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il

22/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

IN FATTO

P.G.B.M. propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 303/10/2011, depositata in data 22/11/12011, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione del silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria ad istanza del contribuente (esercente la professione di revisore e sindaco di società) di rimborso dell’IRAP versata negli anni dal 1999 al 2004 – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nell’accogliere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, hanno sostenuto che la sussistenza dell’autonoma organizzazione, presupposto impositivo dell’IRAP, era desumibile, nella specie, dalla documentazione offerta dall’Ufficio erariale (i quadri RE delle dichiarazioni dei redditi e gli studi di settore) dai compensi di elevata entità percepiti dal professionista, nonchè dal fatto che il medesimo aveva sostenuto “rilevanti costi e spese per beni strumentali”. A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Si dà atto che il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

IN DIRITTO

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sulle eccezioni, sollevate in sede di controdeduzioni in appello, in ordine alla preclusione per l’Ufficio di contestare i fatti posto a base dell’invocata esclusione dall’IRAP, derivante dalla mancata contestazione degli stessi in primo grado, ed all’inammissibilità di nuove prove in appello. Con il secondo ed il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, dell’art. 115 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58 per omessa rilevazione da parte dei giudici di primo grado della non contestazione da parte dell’Ufficio sui fatti fondanti la pretesa del contribuente e della inammissibilità delle nuove prove prodotte dall’Ufficio in appello (specificamente gli studi di settore relativi al periodo 2000/2004).

2. Le suddette censure, da esaminare congiuntamente, sono infondate.

Anzitutto, non è configurabile il vizio ai omessa pronuncia quando una domanda, pur non espressamente esaminata, debba ritenersi – anche con pronuncia implicita – rigettata perchè indissolubilmente avvinta ad altra domanda, che ne costituisce il presupposto e il necessario antecedente logico giuridico, decisa e rigettata dal giudice (Cass. 17580/2014). Nella specie, i giudici della C.T.R., esaminando nel merito la questione relativa alla sussistenza dell’autonoma organizzazione nell’esercizio dell’attività professionale hanno vagliato la documentazione prodotta in appello e le difese dell’Ufficio, implicitamente rigettando le eccezioni sollevate dall’appellato.

Quanto poi al merito delle dedotte violazioni di legge ed a divieto di nuove prove, questa Corte, anche di recente (Cass. 22776/2015), ha ribadito che “il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58 abilita alla produzione di qualsivoglia documento in appello, senza restrizione alcuna e con disposizione autonoma rispetto a quella che – nel comma precedente – sottopone a restrizione l’accoglimento dell’istanza di ammissione di altre fonti di prova”. La Corte ha poi chiarito che detta produzione deve avvenire “tempestivamente e ritualmente”, in sede di gravame, “entro il termine perentorio di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1, di venti giorni liberi prima dell’udienza, applicabile in secondo grado stante il richiamo, operato dall’art. 61 del citato decreto, alle norme relative al giudizio di primo grado” e che possono, entro tali limiti, essere legittimamente prodotti in appello anche “documenti tardivamente prodotti in primo grado” (Cass. 3661/2015; Cass. 655/2014).

Nella specie, la produzione documentale è avvenuta contestualmente all’atto di appello e conseguentemente la documentazione doveva essere acquisita ai processo e vagliata dai giudici della C.T.R..

Inoltre, quanto all’asserita non contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate resistente, questa Corte (Cass. 29613/11) ha già precisato che “il principio di non contestazione opera sul piano della prova, cosicchè nel processo tributario (nel quale pure è certamente applicabile, vedi Cass. 1540/07) esso non elide l’operatività dell’altro principio – operante sul piano dell’allegazione o collegato alla specialità del contenzioso tributario – secondo cui la mancata presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in linea di subordine non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi sostanziano, nè determina il restringimento dei thema decidendum ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ufficio impositore, qualora le questioni da quello dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, le diverse argomentazioni difensive da opporre alle domande subordinate avversarie” (Cass. 7789/06).

4. Con il quarto motivo, si deduce sia la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3 per avere i giudici della C.T.R. “assunto una nozione di attività professionale autonomamente organizzata non suffragata dal dato normativo e dal diritto vivente”, sia l’omessa e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5 (formulazione anteriore alla Novella del 2012 essendo stata pubblicata la decisione impugnata nel 2011), sul fatto decisivo della natura “parasubordinata” dell’attività di sindaco e revisore di società svolta dal contribuente.

5. Le due censure, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono fondate.

Invero, la C.T.R. ha dato rilievo, da un lato, ad elemento di per sè non influente (l’entità dei compensi percepiti professionista) e, dall’altro lato, alle spese sostenute per quote di ammortamento beni strumentali, altre spese (che il contribuente aveva dedotto, sin dal primo grado, essere riferibili a “spese di rappresentanza, per prestazioni alberghiere, premi assicurativi, autoveicoli, utenze affitti spese condominiali”) e per compensi a terzi (che il contribuente deduce essere afferenti a “consulenze professionali occasionali”), genericamente parlando di “rilevanti costi e spese per beni strumentali”. Il tutto non risulta conforme ai principi di diritto affermati da questa Corte a Sezioni Unite nella sentenza n. 9451/2015 (cfr. anche Cass. 547/2016, quanto al rilievo delle spese per beni strumentali).

6. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del quarto e quinto motivo del ricorso, respinti i primi tre motivi, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R del Lazio, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il quarto ed il quinto motivo del ricorso, respinti i primi tre motivi, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese de presente giudizio di legittimità, alla C.T.R. del Lazio.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2017

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