Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4071 del 22/02/2010

Cassazione civile sez. un., 22/02/2010, (ud. 16/02/2010, dep. 22/02/2010), n.4071

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di Sezione –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Comune di Ceglie Messapica, domiciliato in Roma, via Lungotevere

Flaminio 46 pal. 4^ sc. B, presso la Grez e Associati s.r.l.,

rappresentato e difeso dall’avv. Stefanelli S., come da mandato a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

avv. D.A., in giudizio personalmente e domiciliato in

Roma, piazza Quattro Fontane 10, presso l’avv. D. Ciardo;

– intimato –

avverso l’ordinanza del Tribunale di Brindisi, depositata il 14

aprile 2004, nel procedimento civile n. 1102/1997 R.G.

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Aniello Nappi;

uditi i difensori, avv. Stefanelli, che per il ricorrente ha chiesto

l’accoglimento del ricorso, e avv. D. di persona, che ne ha

chiesto il rigetto.

Udite le conclusioni del P.M., Dr. CENICCOLA Raffaele, che ha chiesto

l’applicazione dell’art. 393 c.p.c..

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 17 aprile 1997 il Presidente del Tribunale di Brindisi ingiunse al Comune di Ceglie Messapica di pagare all’avv. D.A. la somma di L. 94.795.000 per compensi professionali.

Contro il decreto ingiuntivo propose opposizione il Comune di Ceglie Messapica e il tribunale, revocato il decreto, ridusse l’importo del credito vantato dal professionista. La decisione del tribunale fu però cassata con rinvio dalla Corte di cassazione, in quanto assunta in composizione monocratica anzichè collegiale.

Il giudizio fu quindi riassunto dall’avv. D.A., ma quando era già decorso il prescritto termine annuale e al solo scopo di ottenere la dichiarazione di estinzione del processo e di esecutività del decreto ingiuntivo. E in tal senso provvide in effetti il tribunale con l’ordinanza ora impugnata per cassazione, ritenendo applicabile l’art. 653 c.p.p., che prevede la dichiarazione di esecutività del decreto ingiuntivo opposto, nel caso di estinzione del giudizio di opposizione.

Per la cassazione di questa ordinanza ha proposto ricorso il Comune di Ceglie Messapica in ragione di due motivi d’impugnazione, cui resiste con controricorso l’avv. D.A..

La seconda sezione civile di questa corte, cui il ricorso era stato assegnato, ne ha sollecitato la rimessione alle Sezioni unite.

Ha rilevato infatti un contrasto di giurisprudenza sugli effetti dell’estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in caso di mancata riassunzione in seguito a rinvio da parte della Corte di cassazione.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 Occorre preliminarmente dare conto dell’eccezione d’inammissibilità del ricorso proposta dal resistente avv. D.A., che esclude la ricorribilità per cassazione ex art. 111 Cost. dell’ordinanza dichiarativa dell’estinzione del giudizio, in quanto solo reclamabile a norma dell’art. 308 c.p.c..

L’eccezione è tuttavia infondata, perchè nel procedimento camerale previsto dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 30 per la decisione sull’opposizione a decreto ingiuntivo relativo a onorari di avvocato, l’ordinanza che decide il merito della opposizione e comunque definisce il giudizio, è impugnabile solo con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art 111 Cost., essendo definita inoppugnabile dalla legge (Cass., sez. 2, 18 febbraio 1978, n. 798, m. 390128, Cass., sez. un., 23 marzo 1999, n. 182, m. 524455).

Sicchè è certamente ricorribile per cassazione l’ordinanza con la quale il Tribunale di Brindisi ha definito il giudizio di opposizione promosso dal Comune di Ceglie Messapica, dichiarando l’estinzione del processo e l’esecutorietà del decreto opposto.

2. Con il primo motivo l’amministrazione ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, artt. 28, 29, 30 e degli artt. 647, 653, 307, 309 e 393 c.p.c..

Sostiene che l’art. 653 c.p.c., relativo al giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, non è applicabile allo speciale giudizio di opposizione all’ingiunzione prevista per la liquidazione degli onorari di avvocato, che è regolato dalla L. n. 794 del 1942, art. 29. Del resto, aggiunge, nello speciale procedimento previsto dalla L. n. 794 del 1942, art. 30 non è obbligatoria l’assistenza di un difensore; e quindi non sono applicabili le disposizioni che implichino l’iniziativa della parte, in quanto richiederebbero una conoscenza di regole giuridiche incompatibile con una difesa personale non tecnica. Sicchè è solo il professionista attore che ha l’onere di provvedere alla riassunzione del giudizio di rinvio a seguito di cassazione.

Il motivo è infondato.

infatti, quando un decreto ingiuntivo sia stato adottato per i compensi professionali di un avvocato, al giudizio di opposizione si applicano certamente la L. n. 794 del 1942, artt. 28, 29 e 30; ma per tutto quanto non previsto da queste disposizioni speciali, il giudizio è regolato dalle norme sull’ordinario giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (Cass., sez. 2, 16 maggio 1981, n. 3225, m. 413803, Cass., sez. un., 23 marzo 1999, n. 182, in. 524454, Cass., sez. 2, 17 dicembre 1996, n. 11.258, m. 501373). Ne consegue che trova applicazione l’art. 653 c.p.c..

3. Con il secondo motivo l’amministrazione ricorrente eccepisce in via subordinata l’illegittimità costituzionale dell’art. 653 c.p.c., per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., laddove prevede che l’estinzione del processo per inattività delle parti finisce per giovare all’attore, per l’effetto che ne consegue, di esecutorietà dei decreto ingiuntivo opposto.

Sostiene che la norma censurata, accollando così all’opponente, convenuto sostanziale, l’onere dell’impulso processuale, riconosce un ingiustificato privilegio all’attore che agisca con rito monitorio, discriminando irragionevolmente l’attore che agisca con le forme ordinarie.

Nei termini in cui viene enunciata, la questione di costituzionalità presuppone che l’estinzione del Giudizio di opposizione renda sempre esecutivo il decreto ingiuntivo opposto, secondo la previsione dell’art. 653 c.p.c., anche quando si verifichi nella fase di rinvio conseguente a una pronuncia di cassazione, benchè l’art. 393 c.p.c. preveda invece che l’estinzione del giudizio di rinvio comporti l’estinzione dell’intero processo.

Sennonchè, come rilevato dalla seconda sezione civile, questa interpretazione del rapporto tra l’art. 393 c.p.c., e l’art. 653 c.p.c. è controversa nella giurisprudenza di questa corte, che ha espresso in proposito tre distinti orientamenti. Ed è evidente che la questione di costituzionalità proposta dal ricorrente risulterebbe rilevante solo se la soluzione del contrasto giurisprudenziale avvalorasse la conclusione che l’art. 653 c.p.c. è applicabile anche nel caso in esame.

4. Occorre dunque dare conto dei termini del contrasto giurisprudenziale manifestatosi con riferimento alla questione dell’applicabilità dell’art. 393 c.p.c. ovvero dell’art. 653 c.p.c. nel caso in cui l’estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sopravvenga nella fase conseguente a pronuncia di cassazione con rinvio.

Secondo una prima decisione, “qualora alla pronuncia di un decreto ingiuntivo (nella specie, emanato dal giudice di pace) sia seguita opposizione, questa sia stata rigettata con sentenza dichiarata provvisoriamente esecutiva, e tale sentenza sia stata a sua volta cassata con rinvio dalla S.C., alla mancata riassunzione del giudizio in sede di rinvio consegue non già l’estinzione tout court dell’intero procedimento, giusta disposto dell’art. 393 c.p.c. (estinzione destinata a travolgere, per l’effetto, lo stesso procedimento monitorio e la stessa efficacia esecutiva del decreto), bensì la applicazione della (nella specie, prevalente) disposizione di cui al successivo art. 653 c.p.c., che ripone la sua ragion d’essere nella natura stessa del decreto d’ingiunzione (quella, cioè, di una condanna con riserva), sicchè all’estinzione del procedimento di rinvio per mancata riassunzione consegue la definitiva cristallizzazione dell’efficacia esecutivo del decreto medesimo” (Cass., sez. 3, 25 marzo 2003, n. 4378, m. 561406). E come ben chiarisce l’ordinanza di rimessione, secondo questa pronuncia non si tratta di stabilire in astratto se debba prevalere l’art. 653 c.p.c. ovvero l’art. 393 c.p.c., quanto di stabilire caso per caso se nelle fasi e nei gradi precedenti l’estinzione siano state pronunciate decisioni che, secondo un sistema definito anche dagli artt. 310 e 338 c.p.c., precludano la possibilità di riconoscere al decreto ingiuntivo opposto gli effetti previsti dall’art. 653 c.p.c. per il caso di estinzione.

In una seconda decisione, che alla prima esplicitamente si richiama, si è affermato che, “in tema di effetti del giudizio di rinvio sul giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, qualora alla pronuncia del decreto sia seguita opposizione, questa sia stata accolta, e la sentenza di merito sia stata a sua volta cassata con rinvio dalla Corte di cassazione, alla mancata riassunzione del giudizio in sede di rinvio consegue non già l’estinzione dell’intero procedimento, giusta il disposto dell’art. 393 c.p.c., bensì l’applicazione della specifica disciplina di cui al successivo art. 653 c.p.c., a mente del quale in caso di estinzione del processo di opposizione il decreto che non ne sia già munito acquista efficacia esecutiva, che ripone la sua ragion d’essere nella natura di condanna con riserva del decreto d’ingiunzione, sicchè all’estinzione del procedimento di rinvio per mancata riassunzione consegue l’efficacia esecutiva del decreto medesimo. Nè può verificarsi la prescrizione del diritto (ove dall’inizio del procedimento monitorio sia trascorso il tempo necessario per la prescrizione), mettendo nel nulla l’effetto sospensivo permanente previsto dall’art. 2945 c.c. l’atteso che per il disposto della norma citata (allo stesso modo di quanto statuito dall’art. 338 c.p.c. nel caso di estinzione del giudizio d’appello e passaggio in giudicato della sentenza impugnata) l’estinzione del processo consuma il diritto d’opposizione e non incide sul decreto opposto” (Cass., sez. 3, 11 maggio 2005, n. 9876, m. 581434).

Tuttavia questa pronuncia, essendo relativa a un caso in cui. la sentenza cassata con rinvio era stata di accoglimento dell’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo, è solo apparentemente conforme alla prima decisione, relativa, come s’è visto, a un caso in cui la sentenza cassata con rinvio era stata di rigetto dell’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo.

Infatti nella motivazione di Cass. sez. 3, 25 marzo 2003, n. 4378, cit., si era precisato che “se l’opposizione sia accolta in tutto o in parte ed il decreto revocato, l’estinzione del giudizio in appello produrrà il passaggio in giudicato della sentenza e non l’acquisto di esecutorietà del decreto; se l’opposizione sia accolta in parte, la sentenza sia confermata in appello e questa venga cassata con rinvio non sulla esistenza del debito, ma sull’accertamento della sua misura, l’estinzione del giudizio in sede di rinvio non produrrà acquisto di esecutorietà al decreto, ma determinerà il passaggio in giudicato della sentenza d’appello per la parte non cassata”.

Con una terza più recente decisione, infine, si è affermato che, “qualora alla pronunzia sul decreto sia seguita opposizione e questa sia stata accolta, e successivamente la sentenza di merito sia stata a sua volta cassata con rinvio, nel caso in cui il processo non sia stato riassunto in termine non trova applicazione il disposto dell’art. 653 c.p.c., a mente del quale a seguito dell’estinzione del processo di opposizione il decreto che non ne sia munito acquista efficacia esecutiva, ma il disposto dell’art. 393 c.p.c., alla stregua dei quale alla mancata riassunzione consegue l’estinzione dell’intero procedimento e, quindi, l’inefficacia anche del decreto ingiuntivo opposto” (Cass., sez. 1, 15 maggio 2007, n. 11095, in. 596798).

Le decisioni effettivamente in contrasto sono dunque le due più recenti, che propongono soluzioni opposte con riferimento allo stesso caso di cassazione della sentenza di accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo. Mentre una soluzione intermedia è quella proposta dalla prima più risalente decisione, relativa a un caso di cassazione di una sentenza di rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo.

5. Come riconoscono tutte le decisioni citate, la questione in esame, benchè attenga certamente anche alla natura del giudizio di rinvio quale fase rescissoria del giudizio di cassazione, esige nondimeno un inquadramento nell’ambito della più generale disciplina degli effetti dell’estinzione del processo. E in questa prospettiva viene in rilievo .innanzitutto l’art. 338 c.p.c., quale applicazione della più generale disposizione dell’art. 310 c.p.c. sulla sopravvivenza delle sentenze di merito pronunciate nel corso del processo estinto.

Stabilisce infatti l’art. 338 c.p.c. che “l’estinzione del procedimento di appello o di revocazione nei casi previsti nell’art. 395 c.p.c., nn. 4 e 5 passare in giudicato la sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati, nel procedimento estinto”. E la giurisprudenza, come la dottrina prevalente, riconosce che l’art. 653 c.p.c., comma 1 sia applicazione di un principio analogo, perchè, quando prevede che l’estinzione del giudizio di opposizione rende esecutivo il decreto opposto, attribuisce in realtà al decreto efficacia di giudicato (Cass., sez. 3, 17 agosto 1973, n. 2346, m. 365680).

A questa disciplina degli effetti dell’estinzione sembra derogare l’art. 393 c.p.c., che, contrariamente a quanto l’art. 338 c.p.c. dispone per l’estinzione del giudizio d’appello, cui consegue il passaggio in giudicato della sentenza appellata, prevede invece l’estinzione dell’intero processo come conseguenza dell’estinzione del giudizio ai rinvio.

L’art. 393 c.p.c. preserva solo l’efficacia vincolante della pronuncia di cassazione, sebbene si riconosca che l’estinzione non può ovviamente “toccare le sentenze che, avendo definito il giudizio rispetto ad alcune delle domande o ad alcuni capi delle stesse, siano passate in giudicato, non essendo state investite dal ricorso per cassazione, ovvero non avendo formato oggetto della pronunzia di accoglimento di questo” (Cass., sez. 1, 30 dicembre 1994, n. 11296, m. 489466).

Tuttavia la ragione di questa apparente deroga dell’art. 393 c.p.c. al sistema dell’estinzione viene concordemente individuata nell’efficacia della sentenza d’appello, che è sempre sostitutiva della sentenza di primo grado, sia quando la riformi sia quando la confermi. Sicchè non potreboe acquisire efficacia di giudicato una sentenza che, essendo ormai sostituita dalla sentenza d’appello, rimane anch’essa travolta dalla cassazione della decisione sostitutiva. E quindi la deroga è in realtà solo apparente e comunque coerente con il sistema definito dagli artt. 310 e 338 c.p.c., appunto perchè solo dopo la pronuncia del giudice d’appello la sentenza di primo grado perde quell’efficacia cui possa riconoscersi una stabilizzazione in conseguenza dell’estinzione del processo. 6. L’esigenza di preservare la coerenza con il sistema generale degli effetti dell’estinzione, dunque, impone che anche la questione dei rispettivi limiti di applicabilità degli artt. 393 e 653 c.p.c. vada risolta stabilendo se ed eventualmente quando la sentenza che decide sull’opposizione abbia efficacia sostitutiva del decreto opposto. In proposito una giurisprudenza costante e la dottrina prevalente sono concordi nell’affermare che solo la sentenza di accoglimento anche parziale dell’opposizione sostituisce comunque il decreto ingiuntivo opposto, secondo quanto dispone l’art. 653 c.p.c., comma 2 (Cass., sez. 50, 20 maggio 2004, m. 9626, m. 572971, Cass., sez. 3, 12 febbraio 1994, n. 1421, m. 485292). La sentenza di rigetto dell’opposizione, invece, non si sostituisce al decreto opposto, perchè, “in tal caso, il titolo esecutivo è costituito dal decreto ingiuntivo e non dalla sentenza che integralmente lo conferma”, come dispone l’art. 653 c.p.c., comma 1 (Cass., sez. 1, 30 dicembre 1968, n. 4082, m. 337734, Cass., sez. 3, 3 giugno 1978, n. 2795, m. 392219).

Ne consegue che, in coerenza con questa distinzione fondata sul testo dell’art. 653 c.p.c., vanno tratte le seguenti conclusioni:

a) l’estinzione del giudizio di rinvio, conseguente a cassazione di una decisione di rigetto, in primo grado o in appello, dell’opposizione proposta contro un decreto ingiuntivo, fa passare in giudicato il decreto opposto, secondo quanto prevede l’art. 653 c.p.c., comma 1;

b l’estinzione del giudizio di rinvio, conseguente a cassazione di una decisione di accoglimento, in primo grado o in appello, dell’opposizione proposta contro un decreto ingiuntivo, estingue l’intero processo, secondo quanto prevede l’art. 393 c.p.c.. Nè a queste conclusioni è di ostacolo la considerazione per gli effetti vincolanti che l’art. 393 c.p.c. riconosce alla sentenza di cassazione con rinvio, “anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda” dopo l’estinzione del processo.

Infatti l’effetto di vincolo che dalla sentenza di cassazione con rinvio può derivare è solo quello riconosciuto dall’art. 384 c.p.c. all’enunciazione del principio di diritto e alle statuizioni sul processo contenute nella decisione della corte. Sicchè quel vincolo è condizionato all’esito degli accertamenti di fatto demandati al giudice del merito, quando non si tratti. di statuizioni sul processo, che qui non rilevano, perchè comunque direttamente demolitorie degli atti dichiarati invalidi. E dunque il decreto opposto non può’ risultare privato di efficacia senza il previo accertamento dei fatti che la Corte di cassazione non può conoscere.

Il decreto opposto potrebbe risultare immediatamente rimosso solo quando ulteriori accertamenti di fatto non siano necessari, ma perchè in tal caso, secondo quanto prevede l’art. 384 c.p.c., comma 2, la Corte di cassazione deve decidere la causa nel merito, con una pronuncia che può avere gli effetti sostitutivi di una pronuncia di accoglimento anche solo parziale dell’opposizione.

7. Nel caso in esame, come s’è visto, la decisione che fu cassata con rinvio dalla Corte di cassazione aveva in parte accolto l’opposizione del Comune di Ceglie Messapica e revocato dunque il decreto opposto. Ne consegue che la cassazione di quella decisione comportò l’estinzione dell’intero processo, travolgendo anche il decreto già revocato.

Il caso in esame va dunque risolto in applicazione dell’art. 393 c.p.c., non dell’art. 653 c.p.c.; e questa conclusione rende irrilevante la questione di legittimità costituzionale proposta dal ricorrente.

L’ordinanza impugnata va pertanto cassata. Ma non occorre disporre il rinvio della decisione al giudice del merito, perchè, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa corte può decidere nel merito e dichiarare che l’estinzione dell’intero processo si estende alla fase monitoria e priva di effetti anche il decreto ingiuntivo opposto.

Considerata l’incertezza giurisprudenziale che ha dato luogo alla controversia, si giustifica la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e decidendo nel merito, dichiara l’estinzione del processo e privo di effetti il decreto ingiuntivo opposto. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2010

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