Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4069 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 16/02/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 16/02/2021), n.4069

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10252/2020 R.G. proposto da:

B.I., rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo Rizzato,

con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile

della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 4615/19,

depositata il 24 ottobre 2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 gennaio

2021 dal Consigliere Mercolino Guido.

 

Fatto

RILEVATO

che B.I., cittadino della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, avverso la sentenza del 24 ottobre 2019, con cui la Corte d’appello di Venezia ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 23 novembre 2017 dal Tribunale di Venezia, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;

che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

Diritto

CONSIDERATO

che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);

che con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), sostenendo che, nell’escludere la configurabilità di una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato, la sentenza impugnata non ha considerato che a tal fine non risulta necessario che sia in atto una guerra civile, ma è sufficiente che gli scontri o le forme di violenza tra opposti gruppi di potere o fazioni diverse abbiano assunto connotati di persistenza e stabilità e livelli significativi di diffusione, sfuggendo al controllo delle autorità statali o giovandosi della continuità culturale e politica delle stesse;

che, nel ritenere insussistente la predetta situazione, la Corte territoriale ha omesso di valutare la frequenza degli attentati posti in essere dai gruppi terroristici di matrice islamica operanti in Nigeria nei confronti di enti governativi ed in luoghi di aggregazione dei cristiani, per effetto dei quali esso ricorrente si troverebbe esposto ad un rischio concreto ed attuale, in caso di rimpatrio;

che il motivo è infondato;

che, nell’escludere la configurabilità della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la sentenza impugnata si è infatti attenuta puntualmente al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sent. 30 gennaio 2014, in causa C-285/12, Diakitè; 17 febbraio 2009, in C-465/07, Elgafaji), nel senso che il conflitto armato interno può venire in considerazione soltanto in via eccezionale, ove possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, comportino una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, nel senso che la situazione di violenza indiscriminata dagli stessi determinata abbia raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione di provenienza, si troverebbe esposto, per la sua sola presenza sul territorio, al rischio effettivo di subire un danno grave alla vita o alla persona (cfr. da ultimo, Cass., Sez. II 17/07/2020, n. 15317; Cass., Sez. VI, 8/07/2019, n. 18306; 31/05/2018, n. 13858);

che alla stregua di tale principio, pur avendo rilevato che la Nigeria è interessata nell’area nordorientale dal fenomeno del terrorismo integralista di matrice islamica, in quella centrale da contrasti tra gruppi nomadi e pastori, nella regione del Biafra da persistenti spinte secessioniste ed in quella del delta del Niger da un conflitto a bassa intensità, la Corte territoriale ha escluso che il Paese possa considerarsi totalmente sfuggito al controllo dell’autorità statale, osservando che solo in alcune delle zone interessate dal terrorismo islamico si registra una situazione di violenza diffusa ed indiscriminata, dovuta agli scontri tra il gruppo terroristico denominato Boko Haram e le forze di sicurezza governative, e tale da esporre a rischio la popolazione civile, costringendola a migrazioni forzate anche verso gli Stati confinanti, mentre nelle altre regioni si riscontrano solo limitazioni delle libertà civili, tensioni sociali, forme di criminalità comune ed attentati terroristici, in misura non diversa da quella rilevabile in altri Stati del continente africano;

che, nel contestare tale apprezzamento, il ricorrente invoca una nozione di conflitto interno che, in quanto imperniata sulla diffusione e l’intensità degli scontri e sulla conseguente perdita del controllo del territorio da parte delle autorità statali, piuttosto che sulla configurabilità di un vero e proprio stato di guerra civile, non si differenzia significativamente da quella fatta propria dalla sentenza impugnata, la quale ha distinto la violenza indiscriminata determinata dall’attività sistematicamente svolta dai gruppi terroristici nell’area nordorientale del Paese dalle forme di violenza occasionale e circoscritta diffuse in altre regioni;

che, nel richiamare la diversa valutazione emergente da altre pronunce di merito, il ricorrente mira invece a sollecitare, attraverso l’apparente deduzione della violazione di legge, una nuovo apprezzamento dei fatti, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, nonchè la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, a seguito della sostituzione del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/ 2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8/10/2014, n. 21257);

che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, del inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dAllo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

 

 

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