Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4068 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 16/02/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 16/02/2021), n.4068

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10118/2020 R.G. proposto da:

S.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Davide Verlato, con

domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della

Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

Avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 4180/19,

depositata il 3 ottobre 2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 gennaio

2021 dal Consigliere Mercolino Guido.

 

Fatto

RILEVATO

che S.D., cittadino del Senegal, ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, avverso la sentenza del 3 ottobre 2019, con cui la Corte d’appello di Venezia ha dichiarato inammissibile il gravame da lui interposto avverso il decreto emesso il 12 luglio 2018, che aveva rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;

che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

Diritto

CONSIDERATO

che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);

che con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, e degli artt. 11 e 12 preleggi, sostenendo che, in quanto proposta in data anteriore all’entrata in vigore del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, art. 1, comma 2, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132, l’impugnazione della decisione di primo grado era soggetta alla disciplina dettata dal testo originario della predetta disposizione, il quale, nel prevedere l’applicazione del rito camerale e l’impugnabilità della decisione con il ricorso per cassazione, si riferiva alle sole controversie di cui all’art. 35, riguardanti il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, e non anche a quelle di cui all’art. 32, aventi ad oggetto il riconoscimento della protezione umanitaria;

che, nel dichiarare inammissibile l’appello, la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto applicabile il D.L. n. 113 del 2018, art. 1, comma 2, lett. b), che ha espressamente esteso la predetta disciplina anche alle controversie in materia di protezione umanitaria, non avendo tenuto conto dell’irretroattività di tale disposizione e del tenore letterale dell’art. 35-bis cit., nel testo vigente alla data di proposizione dell’impugnazione;

che il ricorso è inammissibile;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale ha infatti addotto un duplice ordine di considerazioni, riflettenti rispettivamente la possibilità di estendere in via interpretativa la disciplina originariamente dettata dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, nel testo introdotto dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g), convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, anche alle controversie in materia di protezione umanitaria, e l’operatività del principio generale secondo cui l’individuazione del mezzo d’impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve aver luogo, a tutela dell’affidamento della parte, in base al criterio dell’apparenza, il quale impone di avere riguardo alla disciplina prevista dalla legge per le decisioni emesse in conformità del rito in concreto adottato dal giudice a quo, indipendentemente dalla correttezza della scelta da quest’ultimo compiuta (cfr. Cass., Sez. III, 23/10/2020, n. 23390; Cass., Sez. VI, 9/08/2018, n. 20705; Cass., Sez. lav., 26/05/2017, n. 13381);

che, nel censurare la decisione, il ricorrente si limita a contestare l’interpretazione dell’art. 35-bis cit. fornita dalla Corte territoriale, insistendo sull’irretroattività della norma correttiva introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, art. 1, comma 2, lett. b), senza mettere in discussione l’ulteriore affermazione della sentenza impugnata, configurabile come autonoma ratio decidendi, secondo cui, essendo stato adottato con decreto all’esito di un procedimento svoltosi secondo le forme previste dagli artt. 737 c.p.c. e ss., richiamati dall’art. 35-bis, anzichè con ordinanza emessa all’esito di un procedimento sommario di cognizione, come previsto dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 19, richiamato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 2, nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34, comma 20, lett. b), ed anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, lett. f), n. 1, il provvedimento impugnato non avrebbe comunque potuto costituire oggetto di reclamo dinanzi alla corte d’appello, ai sensi dell’art. 35 cit., comma 11, ma di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 35-bis cit., comma 13, indipendentemente dalla riferibilità di tale disposizione alle controversie in materia di protezione umanitaria, e quindi dalla correttezza giuridica della scelta concretamente compiuta dal Tribunale in ordine al rito applicabile;

che ove, come nella specie, il provvedimento impugnato sia sorretto da una pluralità di ragioni distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di alcune di esse ne comporta il passaggio in giudicato, facendo venir meno l’interesse della parte alle censure riguardanti le altre, il cui accoglimento non potrebbe in alcun caso condurre all’annullamento della statuizione impugnata (cfr. Cass., Sez. I, 27/07/2017, n. 18641; Cass., Sez. VI, 18/04/2017, n. 9752; Cass., Sez. lav., 4/03/2016, n. 4293);

che il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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