Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4063 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 18/02/2011, (ud. 14/01/2011, dep. 18/02/2011), n.4063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14770-2007 proposto da:

C.I.S.I. – CONSORZIO INTERCOMUNALE SERVIZI ISCHIA, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ANTONIO PISANO 16, presso lo studio dell’avvocato LEOPOLDO

VINCENZO, rappresentato e difeso dall’avvocato MAROTTA VITO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 7191/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/12/2006 R.G.N. 8981/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2011 dal Consigliere Dott. ARIENZO Rosa;

udito l’Avvocato OTTATO GAETANO per delega MAROTTA VITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Ischia aveva accolto il ricorso proposto da C.P. e, previa declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati con decorrenza dal 1.9.2000 e di relativa proroga sino al 31.12.2001, accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dal 1.9.2000 con il C.I.S.I., aveva condannato quest’ultimo alla riammissione in servizio del lavoratore ed a corrispondere al predetto la somma mensile di Euro 855,52, da calcolarsi a far tempo dal 1.11,2002 e sino alla effettiva riammissione al lavoro, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza pubblicata il 22.12.2006, notificata il 9.3.2007, in accoglimento parziale del gravame del CISI ed in riforma parziale della decisione, condannava il CISI al pagamento, in favore del lavoratore, del risarcimento del danno nella misura già liquidata dal primo giudice a far tempo dal 1.11.2002 e sino alla data de giudizio di appello, confermando nel resto la decisione e compensando tra le parti le spese del giudizio di appello.

Sosteneva la Corte territoriale che doveva reputarsi corretta la decisione di primo grado nella parte in cui aveva escluso la natura istituzionale del consorzio e l’applicabilità alla fattispecie del disposto di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 36, come sostituito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, stante la esclusione dalla sfera di applicabilità del corpus normativo ivi contenuto di tutti gli enti pubblici economici nazionali, regionali e locali, avendo il legislatore mostrato di salvaguardare la esistente distinzione giuridica fra le tipologie di enti (istituzionali e di rilievo economico-imprenditoriale). Già con il D.L. n. 361 del 1995, convertito in L. n. 437 del 1995, il legislatore aveva, invero, concepito tale discrimine, disponendo che ai consorzi che gestivano attività aventi rilevanza economica ed imprenditoriale, ai consorzi creati per la gestione dei servizi sociali, se previsto nello statuto, si applicassero le norme per le aziende speciali, diversamente che per gli altri consorzi per i quali occorreva fare riferimento alle norme previste per gli enti locali.

Evidenziava la Corte di merito che anche l’atto statutario prevedeva la natura di ente pubblico economico del consorzio, stabilendo che l’attività negoziale si svolgesse secondo le regole del diritto comune per il perseguimento di finalità economiche ed imprenditoriali pure ascritte nell’ambito dell’espletamento di compiti istituzionali di rilevanza pubblica. Neanche poteva attribuirsi rilevanza alla produzione di sentenza del TAR Campania, che aveva attestato il mancato svolgimento di servizi pubblici, essendo stati quelli di rilevanza economica imprenditoriale trasferiti alla EVI dal C.I.S.I., che avrebbe espletato solo funzioni pubbliche inerenti al potere di indirizzo controllo e pianificazione;

la sentenza de qua era stata emanata allorchè era ancora in corso il giudizio di primo grado, onde la relativa produzione era stata ritenuta tardiva. Venivano, pertanto, reputati corretti il disposto ripristino della funzionalità del rapporto, per l’accertata nullità del termine apposto, e la condanna del consorzio al risarcimento del danno dalla data della diffida, sia pure dovendo contenersi i danni in questione sino alla data del giudizio, stante l’impossibilità di liquidare danni futuri. Veniva rilevato, infine, che anche il licenziamento condizionato, irrogato il 1.8.2003, non poteva tenersi in considerazione quale limite temporale dell’obbligo risarcitorio, essendo stata la relativa deduzione formulata solo in appello, pure essendo avvenuta la comunicazione del recesso antecedentemente.

Avverso detta decisione propone ricorso per cassazione il CISI, affidando l’impugnazione a tre motivi.

Il C. è rimasto intimato.

Il consorzio ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo dei motivi di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2 e del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 36, comma 8, come sostituito dal D.Lgs. n. 165 del 2001; la violazione degli artt. 1362 e ss. c.c.; nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dall’appellante e, comunque, rilevabile di ufficio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Si assume l’erronea interpretazione della individuazione dei soggetti giuridici a cui si applica la norma di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 36, comma 8, che attribuisce al lavoratore che deduca la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego il diritto di agire per il risarcimento del danno e non anche per la sostituzione di un rapporto a tempo indeterminato. Per amministrazioni pubbliche soggette all’applicabilità dell’intero testo normativo si intendono “tutte le amministrazioni dello Stato…, le Regioni, le Province, I comuni, le comunità montane e loro consorzi… tutti gli enti pubblici non economici” e non si pone alcuna distinzione tra i vari consorzi possibili, a ciò conseguendo, a dire della ricorrente, che la disciplina di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 2 è applicabile a consorzi tra comuni, quale è il C.I.S.I, formato da enti pubblici territoriali e dotato di personalità giuridica pubblica.

Si rileva, in particolare, che la norma non distingue tra i vari tipi di consorzi tra Comuni, e che, pertanto, l’art. 36 si applica indistintamente a tutti i consorzi costituiti da enti pubblici territoriali, senza distinzioni tra loro. Il consorzio CISI, come attestato dalla sentenza del TAR era divenuto un consorzio solo istituzionale e la distinzione tra consorzi che gestiscono attività economiche e consorzi istituzionali era già presente nel sistema, dettato dal T.U.E.L., onde, se la norma avesse voluto escludere dalla sua sfera di applicabilità un certo tipo di consorzi territoriali avrebbe dovuto espressamente specificarlo. Si pone al riguardo specifico quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

Con il secondo motivo si lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dall’appellante e comunque rilevabile di ufficio;

l’omesso esame di essenziali e decisivi documenti in atti e, infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c..

In particolare, si censura la mancata considerazione del documento costituito dalla raccomandata a. r. del 14.9.2005, successivo alla sentenza di primo grado, prodotto in uno all’appello, e del seguente tenore: “Le comunichiamo che il CDA con Delib. 27 giugno 2005, n. 24 ha preso atto e dichiarato espressamente di volersi avvalere del provvedimento di licenziamento condizionato del 1.8.2003 intimato da CISI Patrimonio srl. Fermo ed impregiudicato quanto sopra, per la denegata ipotesi che l’atto di licenziamento condizionato del 1.8.2003 sia ritenuto comunque inidoneo ad estinguere il rapporto, le comunichiamo il suo nuovo licenziamento determinato da soppressione del suo posto di lavoro”. Si lamenta l’omissione di motivazione della sentenza su tale documento, che avrebbe consentito di attribuire rilevanza all’atto estintivo datoriale del 14.9.2005, estendendo la condanna risarcitoria alla data di ricezione del provvedimento di recesso, quanto meno del 14.9.2005. Anche in relazione a tale motivo si formula quesito di diritto.

Con il terzo motivo sì deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c.; l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dall’appellante e comunque rilevabile di ufficio; infine, l’omesso esame di essenziali e decisivi documenti in atti.

Si rileva cha la tempestività della raccomandata del 1.8.2003 andava esaminata congiuntamente alla comunicazione del 14.9.2005 del Consorzio CISI che ne recepiva gli effetti giuridici nella sfera giuridica di esso ricorrente consorzio. Nella specie, la produzione di detto documento non poteva reputarsi tardiva perchè l’atto era stato adottato dall’amministratore unico di diverso soggetto giuridico (CISI Patrimonio srl, all’epoca subentrato nella gestione del rapporto di lavoro e di tutti i rapporti giuridici). Ed invero, – si assume – che quest’ultimo non lo aveva trasmesso al Consorzio CISI, il quale prima ne ignorava l’esistenza, essendo il detto documento entrato nella sfera giuridica de Consorzio per effetto del contenuto della missiva racc.ta del 14.9.2005 e della relativa ratifica dell’atto ivi operata. Viene posto ex art. 366 bis c.p.c., quesito di diritto.

Osserva la Corte, con riferimento a primo dei motivi, che la norma di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 36, comma 2, che attribuisce al lavoratore che deduca la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego il diritto di agire per il risarcimento del danno e non anche per la sostituzione di un rapporto a tempo indeterminato, si applica incontrovertibilmente alle amministrazioni pubbliche nella definizione contenutane nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2 (“Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato…, le Regioni, le Province, i comuni, le comunità montane e loro consorzi e associazioni… tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali…”) e che nella detta disposizione non si distingue tra i vari consorzi possibili.

Tuttavia, con motivazione corretta sul piano giuridico e conforme ai principi già affermati da questa Corte in relazione alla interpretazione delle norme indicate nel motivo di ricorso, e con richiamo di normative (D.L. n. 361 del 1995 conv. in L. n. 437 del 1995 – in particolare, D.L. cit., art. 5, comma 11 bis) che avvalorano ulteriormente l’assunto, il giudice di merito ha affermato che la mera carenza di una esplicita distinzione tra le diverse categorie di consorzi nel dettato normativo ci cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1 non è idoneo a prevalere sul senso complessivo e sulla ratio della disposizione che esclude comunque dalla tutela apprestata dal compendio normativo gli enti pubblici economici, al cui ambito non possono reputarsi estranei gli enti consortili, la cui struttura è suscettibile di diversamente atteggiarsi, a seconda dell’attività espletata con riferimento agli scopi dell’ente medesimo quale evincibile dalla disciplina statutaria. Sul punto la tesi sostenuta dai giudici di merito risulta conforme a quanto da ultimo sancito da questa Corte con indirizzo giurisprudenziale in base al quale l’indagine rivolta a stabilire se un ente pubblico sia o meno economico deve essere compiuta tenendo presente la disciplina legale e statutaria che ne regola l’attività con riferimento agli scopi dell’ente medesimo, non rilevando, a tal fine, l’oggetto dell’attività stessa (cfr, tra le altre, Cass 15661/2006, Cass 10968/2001 e vedi, anche da ultimo, sia pure in relazione ad una fattispecie riguardante il rapporto fra l’INAIL ed i portieri addetti alla vigilanza e custodia di edifici di proprietà dell’Istituto, Cass 22 aprile 2010 n. 9555, nella quale è stato affermato, tra l’altro, il principio secondo cui la natura dell’ente datore di lavoro non può ritenersi circostanza autonomamente sufficiente per escludere la conversione di contratti a tempo determinato, con termini nulli, in contratto a tempo indeterminato).

Quanto alla rilevata violazione degli artt. 1362 e ss., la doglianza non può che riferirsi alla interpretazione della statuto dell’ente consortile compiuta dalla corte territoriale ai fini della individuazione delle norme statutarie e della convenzione istitutiva del CISI che sancivano l’applicabilità, nel rapporto con le maestranze, della disciplina propria del diritto privato, e ciò in conformità al principio secondo il quale le disposizioni dei regolamenti interni e degli statuti degli enti pubblici non hanno valore normativo, sicchè in sede di legittimità sono denunciabili – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – soltanto per violazione o falsa applicazione dei criteri ermeneutici dettati dall’art. 1362 e segg.

c.c. (cfr. Cass. 24.10.1998 n. 10581). Non risulta prodotto lo statuto in questione e, peraltro, non risultano neanche formulate censure che mirino a contrastare quanto osservato dalla corte territoriale in ordine alla circostanza che nello specifico la personalità giuridica del consorzio si coniugava allo svolgimento delle attività cui l’ente era preposto aventi rilevanza economico- imprenditoriale.

In ordine alla prima osservazione, deve rilevarsi che la carenza evidenziata consente di ritenere proposto il relativo motivo in dispregio del principio di autosufficienza e di quanto prescritto, per i ricorsi relativi a sentenze pubblicate dopo l’entrata in vigore della L. n. 40 del 2006, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione al deposito di atti processuali, documenti, contratti collettivi o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda. Si deve rilevare, anzitutto, la carenza del requisito dell’autosufficienza dell’esposizione del motivo, sotto il profilo che, anche ove le norme statutarie fossero state diligentemente trascritte, il requisito non sarebbe, comunque, soddisfatto, atteso che si è omesso di precisare in quale sede processuale detto documento è stato prodotto nelle fasi di merito e dove, quindi, la Corte potrebbe esaminarli in questa sede, per effetto della produzione del documento già nelle fasi di merito. Al riguardo, è stato, invero osservato, che anche con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, ad integrare il requisito della ed autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione concernente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (ma la stessa cosa dicasi quando la valutazione deve essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio ai sensi dell’art. 360, n. 3 o di un vizio costituente error in procedendo ai sensi dei numeri 1, 2 e 4 di detta norma), la valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali, è necessario non solo che tale contenuto sia riprodotto nel ricorso, ma anche che risulti indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità – essa è rinvenibile. L’esigenza di tale doppia indicazione, in funzione dell’autosufficienza, si giustificava al lume della previsione del vecchio art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, che sanzionava (come, del resto, ora il nuovo) con l’improcedibilità la mancata produzione dei documenti fondanti il ricorso, producibili (in quanto prodotti nelle fasi di merito) ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 1 (cfr. Cass. 25.5.2007 n. 12239; 20437/2008; 4056/2009).

In relazione agli effetti della decisione confermata, non vale poi il richiamo, contenuto nella memoria illustrativa depositata dal CISI ai sensi dell’art. 378 c.p.c., alla disciplina di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, ed in particolare dell’art. 32, commi 5 e 7 della stessa (erroneamente indicato art. 34), atteso che il motivo di impugnazione attiene unicamente alla qualificazione giuridica dell’ente consortile ed alla disciplina applicabile e non riguarda anche specificamente le conseguenze risarcitorie riconnesse alla disciplina applicabile.

Gli ulteriori motivi di impugnazione devono ritenersi inammissibili, atteso che, quanto al secondo motivo, viene del tutto omesso ogni riferimento alla decisività del documento asseritamente non preso in esame dalla corte territoriale (comunicazione del 14.9.2005), posto che soltanto nel presente giudizio, in modo non consentito, non essendo stata formulata alcuna deduzione al riguardo nelle fasi del merito, è stato chiesto per la prima volta di limitare le conseguenze risarcitorie alla data del 14.9.2005, onde la valutazione del contenuto de documento in oggetto non sarebbe comunque funzionale ad una decisione diversa da quella della sentenza impugnata.

Infine, con riguardo al terzo, lo stesso si presenta non rispondente al requisito dell’autosufficienza atteso che, con riguardo al documento costituito dalla raccomandata a.r. adottata in data 1.8.2003 dall’Amministratore unico della CISI Patrimonio srl al fine di confutare il rilievo di tardività della relativa produzione effettuato dalla corte territoriale, si assume che il soggetto giuridico che l’aveva adottato era diverso e che la produzione non tempestiva era giustificata dalla mancanza di conoscenza dello stesso da parte del Consorzio, che solo successivamente ne aveva ratificato il contenuto. Ma anche tale doglianza sì fonda su circostanze che si assumono dedotte già in appello senza che se ne provi il tempo ed il modo della relativa deduzione e che si dimostri che i fatti impeditivi della relativa produzione fossero stati idoneamente e ritualmente esposti nell’atto di gravame, in modo tale da evidenziare la erroneità della motivazione della pronunzia della corte di merito in ordine a fatto controverso e decisivo del giudizio.

Il ricorso deve essere, pertanto, respinto, laddove la peculiarità delle questioni giustifica la compensazione integrale tra le parti anche delle spese di lite del presente giudizio.

PQM

La Corte così provvede:

rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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