Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4061 del 22/02/2010

Cassazione civile sez. un., 22/02/2010, (ud. 12/01/2010, dep. 22/02/2010), n.4061

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. PAPA Enrico – Presidente di sezione –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.A., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via G.

Ferrari n. 4, nello studio dell’avv. Cersosimo Sergio che, con l’avv.

GUERRA Massimo P.G. da Verona, lo rappresenta e difende per procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.A.S. – RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA’ s.p.a., con sede in

(OMISSIS), in persona dei legali rappresentanti, dirigenti

della societa’ dr. A.L.A. e avv. P.E.,

elettivamente domiciliati in Roma alla Via Muzio Clementi n. 48,

presso l’avv. ROMA Michele, che rappresenta e difende la societa’ con

l’avv. Carlo F. Galantini di Milano, per procura speciale per notar

Altiero Fontana di Milano, Rep. n. 106.212, del 7 luglio 2004;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 33 04 del 1

ottobre – 2 dicembre 2003, notificata il 15 aprile 2004;

Udita, all’udienza del 12 gennaio 2010, la relazione del Cons. Dott.

FORTE Fabrizio;

sentiti l’avv. Donatone, per delega dell’avv. Roma e il P.G. Dott.

IANNELLI Domenico, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 31 maggio 2001, accoglieva l’opposizione di R.A. al decreto ingiuntivo dell’allora Pretore della stessa citta’ per il pagamento alla s.p.a.

Riunione adriatica di sicurta’ (da ora R.A.S.) di L. 4.709.800 oltre a L. 12.000.000 a titolo di spese giudiziarie dovute dalla s.r.l.

Righetto di cui l’opponente era socio, in forza della sentenza n. 9786/93 del medesimo tribunale, rimasta ineseguita.

Il tribunale affermava che il credito di R.A.S. era prescritto ai sensi dell’art. 2949 c.c. per effetto della mancata interruzione di essa, dovendosi ritenere inesistente la notifica della citata sentenza del 1993, erroneamente avvenuta presso la sede della societa’, gia’ estinta per la cancellazione dal registro delle imprese verificatasi nel 1985; nella sentenza di primo grado si affermava pure che il R. era privo di legittimazione passiva, sia perche’ la condanna era stata pronunciata nei confronti della societa’ e non del socio, sia perche’ questo non poteva essere evocato in causa senza previa escussione del patrimonio societario.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 2 dicembre 2003, ha accolto l’appello di R.A.S. e in riforma della pronuncia di primo grado ha respinto l’opposizione del R., osservando che la cancellazione della societa’ dal registro delle imprese non ne determinava l’estinzione ai sensi dell’art. 2456 c.c., nel testo vigente prima della riforma delle societa’ di capitali fino a quando permanessero rapporti di debito e credito di essa. La cancellazione aveva infatti mero valore dichiarativo e dava luogo ad una presunzione di estinzione che poteva vincersi dimostrando la pendenza di rapporti giuridici non esauriti nonostante la chiusura delle operazioni di liquidazione. Pertanto la notificazione della sentenza n. 9786 del 2003 del Tribunale di Milano, effettuata in data 11 marzo 1994 presso la sede sociale e a mani della figlia del R., che rivestiva la qualita’ di liquidatore della stessa societa’, era valida, perche’, sino alla estinzione della societa’, ogni notificazione poteva farsi al legale rappresentante, cioe’ al liquidatore. Tale notificazione valida aveva avuto efficacia interruttiva della prescrizione del credito vantato da R.A.S. nei confronti della s.r.l. Righetto, e inoltre trovava applicazione nel caso la prescrizione decennale e non quella quinquennale dell’art. 2949 c.c., non essendo relativa a diritti nascenti da rapporti societari ma da un ordinario rapporto di debito e credito che la societa’ aveva contratto con la R.A.S. identico ad ogni altra obbligazione di qualsiasi soggetto.

Il credito non era scaduto ne’ per la somma di lire dodici milioni relativa alle spese di lite liquidate dalla sentenza n. 9786 del 25 ottobre 1993, cui era seguito il decreto ingiuntivo notificato al R. il 30 aprile 1998 ne’ per il credito in linea capitale di L. 4.709.800, per il quale vi era stata una prima messa in mora della societa’ il 29 maggio 1984, risultante dalla richiamata sentenza cui era seguita la citazione che aveva introdotto il giudizio sospensivo della prescrizione, concluso da detta decisione passata in giudicato il 14 aprile 1994, con la conseguenza che, anche per tale parte del credito, non vi era stata prescrizione alcuna.

Sussisteva la legittimazione passiva del R. in ragione del disposto dell’art. 2456 c.c. che consentiva ai creditori di agire nei confronti dei soci dopo la cancellazione della societa’ dal registro delle imprese, nei limiti di quanto avessero percepito in sede di liquidazione; tali azioni, quella nei confronti dei liquidatori che avessero omesso il pagamento per colpa e quella nei confronti della societa’, sempre ammissibile, erano autonome e la scelta tra esse era rimessa al creditore, sicche’ le stesse dovevano ritenersi tra loro concorrenti.

L’azione nei confronti del socio non era subordinata alla preventiva escussione del patrimonio sociale, perche’ tale requisito non era chiesto dalla legge e perche’ l’avvenuta distribuzione del patrimonio sociale avrebbe reso tale requisito privo di senso sul piano logico prima che giuridico. L’obbligazione del socio era solidale con quella della societa’, con la conseguenza che doveva applicarsi l’art. 1310 c.c. e la interruzione della prescrizione nei confronti della societa’ per la notifica della sentenza n. 9786 del 1993, giovava anche alla R.A.S. nei confronti del R., ai sensi della norma citata. Per la cassazione di tale sentenza del 2 dicembre 2003, notificata al difensore domiciliatario del R. in data 15 aprile 2004, lo stesso ha proposto ricorso articolato in sei motivi e notificato il 4 giugno 2004 e la R.A.S. si e’ difesa con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo di ricorso del R. denuncia difetto e contraddittorieta’ della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e violazione dell’art. 2456 c.c. previgente, per avere la Corte di merito erroneamente affermato il valore dichiarativo della cancellazione della societa’ dal registro delle imprese di cui a tale ultima norma, concludendo nel senso che la iscrizione della cancellazione stessa non comporterebbe la estinzione automatica ma una presunzione semplice di estinzione, in contraddizione con la tesi dichiarativa, anche perche’ non appare dalla pronuncia impugnata in base a quali elementi detta presunzione debba nel caso ritenersi superata.

Il ricorrente, in base alla norma che ha sostituito l’art. 2456 c.c., cioe’ all’art. 2495 c.c. novellato con il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4 (riforma delle societa’ di capitali e cooperative) e alle interpretazioni di tale nuovo articolo gia’ date in piu’ decisioni di questa Corte e rifacendosi alle linee emergenti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 319 del 2000, sostiene che la cancellazione della societa’ dal registro delle imprese ne determina comunque l’estinzione, con conseguente mancanza dell’effetto interruttivo della prescrizione del credito azionato, dalla notifica della sentenza a base degli obblighi di pagamento avutasi nel 1994 alla societa’ gia’ cancellata dal registro delle imprese sin dal 1985.

1.2. Strettamente collegato al primo e’ il secondo motivo di ricorso, che lamenta violazione dell’art. 145 c.p.c. e delle altre norme in tema di notificazione della citazione, dovendosi negare la validita’ della notifica della sentenza n. 9786/93 presso la sede della societa’ gia’ estinta, genericamente avvenuta in persona del suo legale rappresentante.

Anche a ritenere ancora esistente la societa’, la notificazione andava fatta in persona del liquidatore, nella residenza di questo;

la Corte d’appello ha comunque errato nel ritenere che la notifica a mani della figlia del R. fosse valida, dato che il semplice rapporto di parentela che precede non era idoneo a far presumere la conoscenza dell’atto notificato al suo destinatario, dovendosi effettuare presso la sede legale della societa’, con il rito degli irreperibili.

Ai due motivi la controricorrente replica insistendo nel valore dichiarativo della cancellazione e richiamando la giurisprudenza della Corte suprema anche recente in tale senso, per la quale la presunzione di estinzione e’ superata dalla stessa esistenza del rapporto azionato in questa sede, con conseguente validita’ della notifica alla societa’ affermata dalla Corte di merito per l’effetto interruttivo di essa. La questione proposta nei due motivi e’ quindi quella della efficacia della cancellazione della societa’ di capitali e della sua eventuale estinzione, con conseguente perdita della capacita’ processuale sopravvenuta, in relazione ai rapporti in sospeso e non definiti, ovvero se tale capacita’ debba permanere nei medesimi organi che la rappresentavano prima della cancellazione, con conseguente effetto estensivo della domanda di pagamento e della sentenza di condanna notificata alla societa’ dopo la cancellazione e della domanda nei confronti del socio di questa o dei liquidatori, per il permanere della legittimazione passiva di questi ultimi.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 2456, 2946, 1310 c.c. perche’ l’obbligazione del socio non e’ solidale con quella della societa’; nella specie le obbligazioni verso il creditore del socio o del liquidatore, nel caso di colpa di quest’ultimo, sono sussidiarie o alternative e non solidali con quella della societa’, altrimenti il socio rischierebbe di subire una doppia azione, sia come socio proprietario di una parte del patrimonio sociale che come percettore di una quota di esso a lui resa in sede di liquidazione.

Le obbligazioni dovrebbero definirsi alternative in adesione all’indirizzo ermeneutico per il quale il creditore puo’ scegliere liberamente tra le due azioni contro la societa’ e contro il socio;

la scelta tra le due azioni diverrebbe irrevocabile con l’esercizio di una di esse o con la dichiarazione di scelta comunicata all’altra parte con carattere recettizio, con la conseguenza che con la notifica della citazione R.A.S. avrebbe effettuato la sua scelta e non avrebbe quindi agito assolutamente nei confronti del socio.

Non puo’ parlarsi di solidarieta’ data la diversita’ e non identita’ dei titoli dei due obblighi, quello della societa’ fondato sul titolo negoziale o giurisdizionale e quella del socio sulla legge; tale ultima azione dovrebbe qualificarsi azione di arricchimento senza causa e sarebbe un’azione sussidiaria, per cui sarebbe inapplicabile l’art. 1310 c.c. posto a base della opponibilita’ della interruzione al R., che comunque mancherebbe di legittimazione passiva, perche’ R.A.S. avrebbe dovuto previamente escutere la societa’, ove l’obbligazione del socio si ritenga sussidiaria e avrebbe perso la facolta’ di agire contro lo stesso, avendo agito contro la societa’ se l’obbligazione si qualifichi invece alternativa.

1.4. Il quarto motivo di ricorso collegato al terzo lamenta violazione degli artt. 1292 e 2456 c.c. contraddittoreta’ e difetto di motivazione in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non esplicando la sentenza impugnata le ragioni perche’ alle azioni di cui si e’ detto, tra loro autonome, debbano applicarsi i principi della solidarieta’ passiva. Replica al terzo e quarto motivo di ricorso del R. la RAS, per la quale l’azione contro i liquidatori di cui all’art. 2456 c.c., comma 2, ha natura autonoma e puo’ esercitarsi sia cumulativamente che alternativamente con conseguente applicabilita’ al caso dell’art. 1310 c.c..

Con l’art. 2456 c.c. si avrebbe quindi una modificazione del rapporto obbligatorio solo soggettiva, nel senso che all’obbligo della societa’, che non si e’ estinta nonostante la cancellazione si aggiunge pro parte quello dei singoli soci, per cui l’azione, contro questi e’ identica a quella del creditore proponibile anche contro la societa’ e soggetta alla stessa disciplina.

Da tale replica deriverebbe che la interruzione provocata con a notifica alla societa’ estende i suoi effetti anche sugli identici obblighi del socio.

In sintesi la questione proposta e’ quella se l’art. 2456 c.c., come l’attuale art. 2495 c.c., comma 2, regolino una modificazione soggettiva attiva del rapporto tra creditore sociale e societa’ nel senso che a questa obbligazione si aggiunge quella del socio da considerare oggettivamente identica a quella dell’originaria debitrice, nei cui confronti era proponibile la medesima domanda e quindi se la notifica della citazione alla societa’ abbia valore interruttivo anche nei confronti del socio, ex art. 1310 c.c..

1.5 Con il quinto motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art. 2949 c.c., dovendosi la prescrizione quinquennale applicare contrariamente a quanto ritenuto dalla corte di merito, anche nei rapporti giuridici della societa’ con i terzi e alla obbligazione del socio che trova la sua fonte nella detta qualita’ e nel rapporto sociale stesso.

In sostanza, il ricorrente prospetta a questa corte di valutare se la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2949 c.c. comprenda solo i diritti al cui sorgere e’ essenziale il carattere sociale dell’ente debitore o che derivino dallo svolgimento organico della vita societaria ovvero si estenda alle posizioni soggettive che trovano il loro titolo negli ordinari rapporti giuridici, che una societa’ puo’ contrarre, cosi’ come ogni altro soggetto dell’ordinamento.

1.6. Infine il R. lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c. in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e difetto e contraddittorieta’ della motivazione, nella distinzione ai fini della prescrizione, operata nella sentenza oggetto di ricorso, tra credito in linea capitale e credito per le spese di lite, che sarebbe effetto di una ultrapetizione.

Invero la R.A.S. non aveva proposto domanda riconvenzionale per cui la revoca del decreto ingiuntivo avrebbe dovuto comportare il solo rigetto della domanda da essa proposta, non potendosi scindere le sue richieste e potendosi l’ingiunzione interamente confermare o revocare, a prescindere dai singoli crediti con la ingiunzione effettivamente escussi.

2. Sul predetto ricorso, la prima sezione civile di questa Corte, con ordinanza n. 19804 dell’8 luglio – 15 settembre 2009, premesse le circostanze di fatto gia’ richiamate, ha affermato “che in tema d’interpretazione del nuovo diritto societario, la modifica dell’art. 2495 c.c., del D.Lgs. n. 6 del 2003, ex art. 4 secondo la quale la cancellazione dal registro delle imprese, contrariamente a quanto previsto per la disciplina previgente dall’art. 2456 c.c. determina l’estinzione della societa’, si applica anche alle societa’ di persone, nonostante la prescrizione normativa indichi esclusivamente quelle di capitali e cooperative ed inoltre la norma, per la sua funzione ricognitiva, e’ retroattiva e trova applicazione anche in ordine alle cancellazioni intervenute anteriormente al 1 gennaio 2004, data di entrata in vigore delle modifiche introdotte dal citato D.Lgs. n. 6 del 2003, con la sola esclusione dei rapporti esauriti e degli effetti gia’ irreversibilmente verificatisi (Cass. 28 agosto 2006 n. 18618, 18 settembre 2007 n. 19347, 15 ottobre 2008 n. 25192 e 12 dicembre 2008 n. 29242). Nella fattispecie, oggetto di Cass. 18618 del 2006, in una opposizione alla dichiarazione di fallimento, si e’ ritenuto che nel caso questa sia chiesta da una societa’ successivamente cancellata dal registro delle imprese, non occorre procedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti di essa, non avendo il giudizio ad oggetto l’accertamento del diritto di questa a chiedere il fallimento ne’ vertendosi in una ipotesi di litisconsorzio sostanziale, giustificato dalla qualita’ di parte del rapporto controverso, ma in un caso di litisconsorzio processuale, per la quale la cancellazione della societa’ istante esclude la possibilita’ di un’integrazione del contraddittorio nei confronti della stessa, in quanto estinta, ben potendo il processo proseguire tra le altre parti”.

Esaminato il contenuto di Cass. n. 29242 del 2008, anche esso a sfondo processuale, per avere dichiarato inammissibile il ricorso di una societa’ in nome collettivo, cancellata dal registro delle imprese dopo la notifica dell’atto di appello, senza la dichiarazione di tale evento ad opera del difensore nel grado di merito e in mancanza della conseguente interruzione e i casi analoghi di Cass. n.ri 19347/07 e 25192/08, relativi rispettivamente ad un consorzio e ad una societa’ in nome collettivo, entrambi cancellati prima della proposizione dei ricorsi per Cassazione, considerati provenienti quindi da soggetti inesistenti e come tali inammissibili, l’ordinanza interlocutoria di cui sopra ha poi richiamato l’orientamento prevalente della giurisprudenza di questa Corte, considerato diritto vivente dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 319 del 2000, per cui, in rapporto alla disciplina vigente prima della riforma delle societa’, si e’ ritenuto “con riguardo sia alle societa’ di persone che alle societa’ di capitali che l’atto formale di cancellazione di una societa’ dal registro delle imprese, cosi’ come il suo scioglimento con la instaurazione della fase di liquidazione, non determina l’estinzione della societa’, ove non siano esauriti tutti i rapporti ad essa facenti capo a seguito della liquidazione, ovvero non siano definite le controversie giudiziarie in corso con i terzi e non in causa, in relazione a detti rapporti rimasti in sospeso la perdita della legittimazione processuale e un mutamento della rappresentanza sostanziale e processuale della societa’ stessa, che permane per i medesimi organi che la rappresentavano prima della cancellazione” (sono citati in tal senso, tra altri, Cass. 15 gennaio 2007 n. 646, 25 maggio 2006 n. 12114, 2 marzo 2006 n. 4652, 28 maggio 2004 n. 10314, 12 giugno 2000 n. 7972, 17 marzo 1998 n. 2869, 2 aprile 1999 n. 3221 e 11 giugno 1968 n. 1849). Il nuovo orientamento favorevole all’effetto estintivo della societa’, a seguito della cancellazione della iscrizione di essa dal registro delle imprese, si fonda sul rilievo che “il nuovo testo dell’art. 2945 c.c., comma 2, antepone al vecchio testo dell’art. 2456 c.c. da esso sostituito, relativo alle azioni dei creditori della societa’ insoddisfatti nei confronti dei soci e liquidatori, la seguente proposizione ferma restando l’estinzione della societa’; frase con la quale il legislatore della riforma avrebbe chiaramente manifestato la volonta’ di stabilire la natura costitutiva – estintiva della cancellazione, per effetto della quale si produce quindi la estinzione irreversibile della societa’ anche in presenza di crediti insoddisfatti e di rapporti di altro tipo non definiti. Tale volonta’ sarebbe implicitamente confermata dalla previsione che i creditori insoddisfatti possono, entro un anno dalla cancellazione, notificare presso l’ultima sede della societa’, la domanda proposta nei confronti dei soci e liquidatori: si tratterebbe di una agevolazione che riproduce esattamente quella prevista dall’art. 303 c.p.c., comma 2, per la notifica della riassunzione agli eredi della parte defunta”.

Per la nuova giurisprudenza, che sostiene il carattere estintivo della cancellazione della societa’, l’art. 2495 c.c. che, dal 1 gennaio 2004 data di entrata in vigore della riforma delle societa’ di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, ha sostituito l’art. 2456 c.c., su cui si fondava la unanime interpretazione contraria, avrebbe regolato non la cancellazione ma i suoi effetti, cioe’ la vicenda con essa prodotta per la societa’ cancellata. Per la irretroattivita’ della legge nuova, essa non si puo’ applicare di regola ai rapporti esauriti in precedenza ovvero a quelli ancora in vita qualora, con tale applicazione, si disconoscano gli effetti gia’ verificatisi del fatto passato o si tolga efficacia in tutto o in parte a conseguenze attuali o future di tale fatto.

Per il medesimo principio, la legge nuova va applicata a situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore in conseguenza a fatto passato, quando gli stessi debbano considerarsi indipendentemente dal fatto che li ha generati, cosi che non si modifica la disciplina del fatto anteriore con la applicazione della modifica normativa. In tal senso, pertanto, ad avviso dell’ordinanza interlocutoria della prima sezione civile, “l’art. 2945 c.c. novellato non avrebbe disciplinato le condizioni per la cancellazione della societa’ che presuppone sempre la liquidazione e l’approvazione del relativo bilancio finale, ma i soli effetti della cancellazione.

La nuova disciplina, pertanto, troverebbe applicazione retroattivamente con attribuzione ex nunc di effetti nuovi a fatti pregressi”.

La sezione semplice ritiene irrilevante per la risoluzione della questione la sentenza della Corte Costituzionale n. 319 del 2000 relativa al previgente L. Fall., art. 10, dichiarato illegittimo per il differente trattamento delle imprese individuali e collettive, in ordine alla decorrenza del termine annuale per la dichiarazione di fallimento, dalla cancellazione per entrambi i tipi di imprese, che anzi presupponeva l’orientamento ermeneutico prevalente ritenuto diritto vivente, che escludeva l’estinzione della societa’ per il permanere di rapporti in capo ad essa, nonostante gli inviti del giudice delle legge ad una lettura in senso costituzionale del quadro normativo relativo alla cancellazione.

Nell’ordinanza si sostiene che il “modesto supporto della lettera della legge”, cioe’ la proposizione “Ferma restando l’estinzione della societa’”, che apre il novellato art. 2495 c.c., non puo’ assumere rilevanza particolare, se si considera che la legge delega (L. 3 ottobre 2001, n. 366, art. 8, comma 1, lett. a) stabilisce solo che le norme delegate regolino “gli effetti della cancellazione della societa’ dal registro delle imprese” e che il legislatore delegato della riforma societaria, modificando le disposizioni di attuazione del codice civile, in particolare all’art. 223 bis c.c. e segg. di dette disposizioni, in nessun modo e’ intervenuto a regolare il passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina, nella materia relativa alla vicenda della cancellazione. Ad avviso dell’ordinanza interlocutoria, il nuovo orientamento non fa propria la prevalente interpretazione della dottrina favorevole alla natura costitutivo – estintiva della cancellazione, in contrasto con il diritto vivente in passato elaborato dalla giurisprudenza, affermando invece che “la nuova norma detti una disposizione d’interpretazione autentica della vecchia disciplina, come pure e’ stato sostenuto” (in tal senso, Cass. n. 25192 del 2008), limitandosi a rilevare che “la nuova disposizione contenuta nell’art. 2495 c.c. si applica anche alle cancellazioni poste in essere anteriormente all’entrata in vigore della nuova normativa”(cosi’ a pag. 18).

Poiche’ nelle decisioni sostenitrici del nuovo orientamento ermeneutico si sono considerati solo e sempre gli effetti processuali di questo e non quelli sostanziali, come nella presente fattispecie relativa invece all’efficacia interruttiva della prescrizione di un atto di esercizio del diritto nei confronti di una societa’ cancellata, la sezione semplice ha chiesto l’intervento delle sezioni unite per la risoluzione del contrasto, anche per la particolare rilevanza della questione.

3. Il primo motivo di ricorso del R., che censura la decisione di merito che ha adottato la soluzione ermeneutica prevalente nella lettura dell’allora vigente art. 2456 c.c. e chiede di applicare il nuovo orientamento favorevole alla efficacia estintiva delle societa’ di capitali il cui atto costitutivo sia stato depositato nella cancelleria del tribunale ai sensi dell’art. 2296 c.c. oggi ufficio del registro delle imprese istituito con la L. 29 dicembre 1993, n. 580, art. 8 e’ logicamente preliminare a tutti gli altri.

3.1. Come si e’ detto, fino alla riforma organica della disciplina delle societa’ di capitali e cooperative di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, era stata unanime la scelta ermeneutica dei giudici di legittimita’ di ritenere la cancellazione dal registro delle imprese della iscrizione di una societa’ commerciale, di persone o di capitali, mera pubblicita’ dichiarativa, che non produceva l’estinzione della societa’ stessa, in difetto dell’esaurimento di tutti i rapporti giuridici pendenti facenti capo ad essa, per cui permaneva la legittimazione processuale di essa e il processo gia’ iniziato proseguiva nei confronti o su iniziativa delle persone che gia’ la rappresentavano in giudizio o dei soci, anche con riferimento alle fasi di impugnazione (con le gia’ citate Cass. n. 646/07, 12114/06, 7972/00, 3221/99, cfr. pure Cass. 21 agosto 2004 n. 16500, 28 maggio 2004 n. 10324, 20 ottobre 2003 n. 15691, 2 agosto 2001 n. 10555, 1 luglio 2000 n. 8842, 15 giugno 1999 n. 5941, 20 ottobre 1998 n. 10380, 16 novembre 1996 n. 10065, tra altre) ovvero negli eventuali procedimenti di esecuzione, relativi ai medesimi rapporti accertati con sentenza costituente titolo esecutivo a base dei crediti da esigere (Cass. 8 agosto 1964 n. 2273). Dal punto di vista formale, la Relazione al libro del lavoro del codice civile, sul neo istituito registro delle imprese (n.ri 98 e ss.), afferma che lo stesso (art. 2188 c.c. e segg. modificati dalla citata L. 29 dicembre 1993, n. 580 istitutiva del registro di cui sopra presso le Camere di commercio, sotto la vigilanza del giudice delegato) ha avuto lo scopo “di attuare un sistema completo ed organico di pubblicita’ legale, idoneo a portare a conoscenza del pubblico l’organizzazione dell’impresa, le sue vicende e le sue trasformazioni” (n. 99).

Chiarisce la relazione che l'”iscrizione ha normalmente efficacia dichiarativa. Eccezionalmente, e solo in quanto la legge espressamente lo dichiari, come avviene ad. es. per la costituzione delle societa’ per azioni, delle societa’ in accomandita per azioni, delle societa’ a responsabilita’ limitata e delle cooperative, la iscrizione ha efficacia costitutiva” (n. 100)”, e “crea la presunzione juris et de iure” che i fatti iscritti siano noti a tutti” (n. 100).

Il rilievo di regola solo dichiarativo della pubblicita’ attuata con l’iscrizione nel registro delle imprese e’ riaffermato nell’art. 2193 c.c. per il quale le iscrizioni delle vicende societarie rendono opponibili le stesse ai terzi; il regime speciale di pubblicita’ vuole tutelare la esigenza dei terzi, in specie dei creditori sociali, di conoscere le vicende dell’impresa collettiva e accertare da esse sia la capienza del patrimonio sociale per la responsabilita’ della societa’ per i debiti di essa che la eventuale estensione di detta responsabilita’ ai soci, con riferimento alle societa’ che svolgono attivita’ di impresa e si qualificano commerciali, di cui ai capi 3^ e ss. del Titolo 5^ del Libro 5^ del c.c. (art. 2200 c.c.), siano esse di persone e prive di personalita’ giuridica (s.n.c. ed s.a.s.)o persone giuridiche (s.p.a., in accomandita p.a., s.r.l e cooperative ex artt. 2325, 2518 c.c. e segg.).

Le iscrizioni nel citato registro riguardano vicende della impresa collettiva, dalla nascita alla cessazione delle sue attivita’ che determina l’estinzione della societa’, fino alla quale e’ esclusa ogni responsabilita’ dei soci per le societa’ persone giuridiche, il cui patrimonio e’ totalmente autonomo rispetto a quelli dei soci, costituendo la personalita’ il limite e la misura della capacita’ di essere titolare e di gestire i beni conferiti all’impresa collettiva, sussistendo comunque una capacita’ giuridica delle societa’ iscritte ritenute “soggetti” di diritto diversi e distinti dai soci, anche quando non vi sia la personalita’ giuridica.

Iscritta la cancellazione dell’iscrizione delle societa’ (artt. 2191 e 2192 c.c.), su istanza dei liquidatori o di ufficio, viene comunque meno la opponibilita’ delle vicende dell’impresa collettiva ai terzi, anche se questa puo’ conservare una soggettivita’ limitata e per singoli atti, non diversa da quella delle societa’ semplici o di fatto (art. 2297 c.c.). In tale contesto normativo anteriore alla riforma del 2003 delle societa’ di capitali, pienamente giustificato era l’indirizzo ermeneutico giurisprudenziale, sostanzialmente unanime in sede di legittimita’, favorevole alla prosecuzione della capacita’ giuridica e della soggettivita’ delle societa’ commerciali, anche dopo la cancellazione della iscrizione nel registro delle imprese e dopo il loro scioglimento e la successiva liquidazione del patrimonio sociale.

Tale posizione, oltre a rispettare la natura dichiarativa della pubblicita’, garantiva il ceto creditorio con l’affermazione del permanere di una soggettivita’ attenuata e di una limitata prosecuzione della capacita’ processuale della societa’ la cui iscrizione era stata cancellata (su tale tipo di soggettivita’ cfr., in particolare, Cass. 15 giugno 1999 n. 5941 e 13 luglio 1995 n. 7650), consentendosi l’assoggettamento di tale societa’ alla procedura fallimentare anche successivamente all’anno dalla c.d.

“formalita’” della cancellazione dell’iscrizione a sua volta iscritta, delle societa’ commerciali di persone (art. 2312 c.c.) e di quelle per azioni (art. 2456 c.c.), cosi’ semplificando il recupero dei crediti, senza costringere i loro titolari ad agire contro una pluralita’ di soci, con le incertezze conseguenti, gia’ in rapporto alla loro individuazione, pur a riconoscere loro una posizione poziore rispetto a quella dei creditori particolari dei soci. Mentre di regola i creditori della societa’, per il principio di responsabilita’ patrimoniale (art. 2740 c.c.), possono rifarsi sul patrimonio di essa finche’ e’ in vita, essi, dopo l’estinzione, non possono che soddisfarsi sui singoli soci, con prelazione sui creditori personali dei soci stessi (art. 2280 c.c. applicabile ai sensi del previgente art. 2452 c.c., comma 1, anche alle societa’ di capitali e per l’art. 2297 c.c. a quelle commerciali di persone, per le quali e’ prevista la previa escussione del patrimonio sociale ex art. 2268 c.c.), essendo comunque meno garantiti per la soddisfazione dei loro diritti.

La posizione giurisprudenziale esposta, costituente ius receptum, era stata criticata da quasi tutta la dottrina, in base alla lettera del combinato disposto dei gia’ vigenti artt. 2312, 2324 e 2456 c.c., norme per le quali, “dopo la cancellazione” delle iscrizioni, sia delle societa’ di persone che di quelle di capitali, “i creditori sociali possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci” delle societa’ in nome collettivo e di quelli accomandatari delle s.a.s., illimitatamente, e nei confronti dei soci delle societa’ persone giuridiche in proporzione alla rispettiva quota di riparto, per questa parte cosi’ come con l’attuale art. 2495 c.c., giacche’ la novella del 2003 per le societa’ con personalita’ giuridica ha lasciato in sostanza immutata la previgente disciplina. Peraltro la mancata espressa previsione, nella previgente normativa, di una estinzione della societa’ con personalita’ giuridica e di una perdita della capacita’ giuridica e della soggettivita’ delle societa’ commerciali di persone, quale effetto della cancellazione della iscrizione della societa’ e la previsione dell’azione dei creditori sociali anche contro i liquidatori se vi e’ loro colpa nell’inadempimento e non quali successori dell’impresa collettiva estinta ma per responsabilita’ extracontrattuale, sono state circostanze che in diritto hanno concorso a formare il richiamato indirizzo ermeneutico dei giudici di legittimita’, che, in rapporto al previgente art. 2456 c.c., per la natura dichiarativa della pubblicita’ anche in ordine agli atti di scioglimento e di messa in liquidazione della societa’, affermavano correttamente che, nella scansione degli eventi relativi alla vita della societa’ resi pubblici, non la cancellazione ma solo la cessazione di ogni attivita’ imprenditoriale (art. 2195 c.c.) ne determinava la estinzione. Quest’ultima non era una vicenda resa opponibile ai terzi con la pubblicita’ della cancellazione che comunque da sola era inidonea a produrre l’effetto estintivo per cui, in caso di sopravvenienze attive o passive della societa’ stessa e della pendenza di processi nei quali essa quale parte, alla stessa doveva riconoscersi una limitata soggettivita’ e capacita’ giuridica, come societa’ semplice o di fatto (art. 2268 c.c.), per legittimarla a proseguire il processo.

3.2. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 319 del 21 luglio 2000, ha rilevato come la lettura delle norme sugli effetti della pubblicita’ della cancellazione delle societa’ espressione dell’allora diritto vivente comportasse una chiara disparita’ di trattamento tra imprese individuali e imprese collettive ai fini della dichiarazione di fallimento, in quanto per l’imprenditore persona fisica la stessa era consentita entro un anno dalla cancellazione mentre per le imprese collettive, rimaneva sempre incerto il momento della loro fine o estinzione, da cui far decorrere il termine di un anno entro cui, ai sensi della L. Fall., art. 10 previgente poteva essere dichiarato il loro stato di insolvenza.

Per i giudici della legge l’approccio ermeneutico della Corte di cassazione era irrazionale, perche’ poteva escludere in fatto la stessa possibilita’ dello stato d’insolvenza dell’imprenditore collettivo, da accertare in rapporto ad un soggetto non operativo per il quale quindi non potevano sussistere la pluralita’ di inadempienze che da luogo a detto stato; cosi’ come per l’imprenditore individuale la cancellazione costituiva il momento finale dell’attivita’ d’impresa e quello di decorrenza del termine di un anno di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 10 anche per le societa’ commerciali, con o senza personalita’ giuridica, la stessa vicenda doveva determinare l’inizio del termine di decadenza, non potendo avere rilevanza le sopravvenienze attive e passive e la pendenza di processi per escludere ai fini del fallimento la loro estinzione. La sentenza della Corte costituzionale da leggere in collegamento con la precedente decisione n. 66 del 12 marzo 1999, che aveva invano sollecitato i giudici di legittimita’ a dare una interpretazione del sistema normativo di riferimento costituzionalmente orientata, fissando per ogni impresa una data certa, cioe’ quella della cancellazione dell’iscrizione della societa’ dal registro delle imprese, quale dies a quo di decorrenza del termine annuale per dichiarare il fallimento del citato L. Fall., art. 10, oggi sostituito dall’art. 9 della riforma delle procedure concorsuali (D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5). Proprio il permanere dell’interpretazione prevalente di cui sopra ha determinato la Corte costituzionale a dichiarare illegittimo, perche’ in contrasto con l’art. 3 della carta fondamentale e con il principio della certezza dei rapporti giuridici, l’art. 10 sopra citato, “nella parte in cui prevede(va) che il termine di un anno dalla cessazione dell’impresa, entro il quale puo’ intervenire la dichiarazione di fallimento, decorra, per l’impresa collettiva, dalla liquidazione effettiva dei rapporti facenti capo alla societa’ invece che dalla cancellazione della societa’ stessa dal registro delle imprese”.

Affermare la irrilevanza di tale pronuncia sulla questione, cosi’ come sembra dirsi nell’ordinanza interlocutoria della 1A sezione civile che ha rimesso il contrasto a queste sezioni unite, per essere essa relativa solo alla disparita’ di trattamento dell’impresa individuale rispetto a quella collettiva in ordine ai tempi per dichiararne il fallimento, non e’ condivisibile, se si tiene conto del citato dispositivo della sentenza del giudice delle leggi, da cui appare chiaro il rilievo che per essa ha la disciplina della cancellazione della societa’, da equiparare alla liquidazione di tutti i rapporti facenti capo alla stessa, alla fine della sua capacita’ giuridica e alla estinzione della sua soggettivita’ o personalita’, cosi’ equiparando impresa individuale e collettiva ai fini del loro fallimento dopo la cancellazione. Per la Corte costituzionale, nel sistema, cosi’ come la cessazione dell’impresa commerciale individuale si presume assolutamente per l’iscrizione della cancellazione di essa dal registro delle imprese (art. 2196 c.c.), per non lasciare indefinito il termine entro cui chiedere il fallimento dell’imprenditore collettivo con ogni conseguenza in rapporto ai singoli soci, e’ indispensabile individuare l’identico dies a quo del termine annuale di cui alla L. Fall., art. 10 per dichiarare il fallimento, facendolo decorrere dalla cancellazione della iscrizione della societa’ nel registro delle imprese, al fine di garantire la certezza dei rapporti e la tutela dell’affidamento dei terzi e riconoscendo la rilevanza di tale pubblicita’ ai fini dell’estinzione non riconosciuta invece in sede giurisdizionale, in caso di permanenza delle attivita’ d’impresa.

Pur potendo il legislatore regolare diversamente l’impresa collettiva e quella individuale, per la eguaglianza dei terzi creditori nelle due fattispecie, la Corte costituzionale e’ quindi intervenuta sul previgente L. Fall., art. 10, per il quale la cessazione dell’impresa consentiva di dichiarare il fallimento entro un anno da essa solamente “se la insolvenza si e’ manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo”, rilevando che, come per l’imprenditore individuale, la norma comporta che il termine di cui sopra decorra dalla iscrizione della cancellazione nel registro che rende nota ai terzi la cessazione dell’attivita’, altrettanto e’ a dirsi per le societa’ commerciali di capitali e di persone.

Il giudice delle leggi, pur non qualificando la iscrizione della cancellazione delle societa’ costitutiva della estinzione, ha chiarito che, ai fini del fallimento, la qualifica di impresa dei soggetti operanti in forma societaria, deve presumersi venuta meno con la cancellazione, la quale, per le imprese collettive, comportava anche la fine della loro personalita’ o soggettivita’ coincidente con la misura della capacita’ giuridica delle societa’ non persone giuridiche, per cui, solo entro un anno da tale pubblicita’, anche sussistendo rapporti pendenti, della societa’ poteva dichiararsi lo stato di insolvenza delle stesse.

3.3. L’anno successivo alla citata sentenza della Corte Costituzionale c’e’ stata la legge di delega per la riforma del diritto societario n. 366 del 2001, che all’art. 8, relativo allo scioglimento e alla liquidazione della societa’, al comma 1 lett. a, prevede che la legge delegata semplifichi le procedure di accertamento delle cause di scioglimento e dei procedimenti di nomina dei liquidatori, dando mandato al legislatore delegato di provvedere “a disciplinare gli effetti della cancellazione della societa’ dal registro delle imprese”.

All’art. 9 della stessa legge relativo alla “cancellazione” della iscrizione della societa’ dal registro delle imprese si dispone che il futuro decreto legislativo semplifichi e precisi le circostanze in presenza delle quali devono cancellarsi le societa’ di capitali dal registro delle imprese, prevedendo pure “forme di pubblicita’ della cancellazione dal registro” che, nella legge di delega, e’ considerata vicenda societaria da iscrivere nel registro, con gli effetti sostanziali e processuali di cui all’art. 2495 c.c. tra i quali, per la prima volta, espressamente si prevede la estinzione della personalita’ delle societa’ di capitali e di quelle cooperative.

La riforma delle societa’ di capitali e cooperative di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, entra in vigore il 1 gennaio 2004 e in essa vi e’ l’art. 2495 c.c. novellato con il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4 e sostitutivo del previgente art. 2456 c.c., il cui contenuto e’ rimasto immutato nella previsione del primo comma delle condizioni e presupposti della cancellazione, costituiti dallo scioglimento della societa’ e dalla procedura di liquidazione, essendosi modificato il solo comma 2, con l’inserimento in esso dell’inciso preliminare “ferma restando l’estinzione della societa’” dopo la cancellazione e la nuova previsione della notifica, entro un anno da detto effetto estintivo, presso la sede della societa’ estinta, delle domande dei creditori sociali nei confronti dei soci, che risponderanno di tali debiti nei limiti della parte di capitale a ciascuno di loro ripartito o dei liquidatori in colpa per l’inadempimento, con disciplina analoga a quella della notificazione dell’atto riassuntivo della causa ai successori, in caso di morte della persona fisica parte del processo.

La riforma introdotta tiene conto della cancellazione della iscrizione della societa’ come istituto sostanziale da pubblicizzare, di cui alla legge di delega, e prevede che resta “ferma… la estinzione della societa’, dopo la cancellazione”, considerando quindi la prima effetto della seconda, secondo la lettera della legge, che e’ in palese contrasto con il diritto vivente elaborato da questa Corte, ritenuto emendabile dal giudice delle leggi con una lettura costituzionalmente orientata della L. Fall., art. 10 previgente. Nessun eccesso vi e’ stato dai limiti della delega della riforma societaria per la quale erano da disciplinare, come detto, “gli effetti della cancellazione della societa’ dal registro delle imprese”, non precisandosi se questa dovesse essersi avuta prima o dopo l’entrata in vigore della legge delegata che, per i dati testuali dell’art. 2495 c.c. e’ ultrattiva, e produce i suoi effetti, tra cui quello di estinzione della societa’ per cancellazione, solo dal 1 gennaio 2004, data d’entrata in vigore della novella (cfr. pure art. 223 bis disp. att. c.c.). Non puo’ non rilevarsi che, ai sensi dell’art. 2193 c.c. e della richiamata relazione al codice civile in materia di pubblicita’ nel registro delle imprese, soltanto la previsione “espressa” per legge puo’ provocare l’effetto estintivo, cioe’ costitutivo, della cancellazione dell’iscrizione delle societa’ di capitali e cooperative, e tale previsione si e’ avuta per la prima volta con l’art. 2495 c.c. novellato; cio’ comporta che l’estinzione puo’ aversi, per le cancellazioni precedenti alla data di entrata in vigore del l’gennaio 2004, del D.Lgs. n. 6 del 2003, solo a detta data, dovendosi ritenere contestuale per l’avvenire con ciascuna cancellazione successiva, per il principio di ultrattivita’ delle norme, di cui agli artt. 10 e 11 preleggi e dall’art. 73 Cost. che consentono solo deroghe espresse alla regola per cui ogni legge e anche l’art. 2495 c.c. opera solo per l’avvenire, salvo a volere riconoscere una natura “interpretativa” che non sembra giustificarsi sulla base della lettera del dato normativo, che, anzi, con l’art. 218 disp. att. c.c. e l’art. 223 bis disp. att. c.c., u.c., novellati, conferma l’ultrattivita’ della disciplina non contestabile per i profili processuali dell’articolo regolati in base al principio “tempus regit actum”.

Resta dunque l’interrogativo se – fermo restando che anche le societa’ cancellate prima di tale data, a partire dal 1 gennaio 2004 debbono considerarsi estinte a causa della entrata in vigore della nuova legge – gli effetti di tale estinzione debbano essere fatti risalire a tale data o a quella della precedente cancellazione.

In tale ultimo senso sembra orientata la sentenza n. 18618 del 2006 che, per la prima volta, da rilevanza ermeneutica generale, nella disciplina dei rapporti tra creditori e societa’, alla previsione dell’art. 2495 c.c., in rapporto alla pubblicita’ delle cancellazioni precedenti e anche ai fini del fallimento delle imprese collettive, cui avevano fatto riferimento le sentenze citate della Corte Costituzionale, per rilevare l’incidenza della nuova disciplina della pubblicita’ nel registro con effetti su altri tipi di societa’ sia pure su un piano meramente processuale. Si afferma infatti, in tale sentenza, che, nell’applicare la L. Fall., art. 10 in rapporto ad una societa’ di fatto venuta meno con il trasferimento dell’azienda di questa ad una societa’ di capitali, operato con atto notarile avente data certa e pubblicizzato nel registro delle imprese in cui era iscritta detta societa’, il termine annuale per la dichiarazione di insolvenza della societa’ di fatto, non poteva che decorrere da tale richiamata pubblicita’, pur essa estintiva della limitata soggettivita’ della societa’ dante causa, a garanzia delle esigenze di certezza nei rapporti con i terzi sottostanti la disciplina legale, cui si era dato rilievo con la sentenza della Corte costituzionale n. 319/2000, tenuto pure conto delle sentenze della stessa Consulta n. 361 del 7 novembre 2001 e 131 dell’11 aprile 2002.

Tali interventi del giudice delle leggi avevano dato identico rilievo alla pubblicita’ della cessazione della attivita’ delle imprese individuali e di quelle collettive, piu’ che alla prosecuzione dell’attivita’ di questa in fatto, per escludere la violazione di norme costituzionali e del principio di eguaglianza tra i loro creditori e quelli delle societa’, dopo la riforma del registro delle imprese di cui alla L. n. 580 del 1993. Per la prima volta si afferma dalla Corte di legittimita’ che il carattere dichiarativo della pubblicita’ non comporta che la cessazione di fatto dell’attivita’ di impresa possa prevalere sulla cancellazione iscritta nel registro, che rende certa e opponibile ai terzi la diversa data di detta cessazione dell’attivita’ d’impresa, producendo l’opponibilita’ del venir meno della capacita’ giuridica della societa’, anche ai fini della decorrenza del termine annuale per la declaratoria di insolvenza, facendo presumere detto adempimento formale la conclusione dell’attivita’ imprenditoriale, a garanzia dei terzi che dalle iscrizioni degli eventi relativi alle imprese hanno conoscenza “legale” di essi, con ogni riflesso anche processuale di tale affermazione.

3.4. Tuttavia la citata sentenza del 2006 della Cassazione afferma che il nuovo art. 2495 c.c. “non disciplinando le condizioni per la cancellazione ma gli effetti della stessa, cioe’ la estinzione della societa’ cancellata, si applica anche alle cancellazioni intervenute in epoca anteriore alla sua entrata in vigore”, senza nulla osservare in ordine alla retroattivita’ o ultrattivita’ degli effetti della legge.

Appare evidente l’incidenza sui giudici di questa Corte della legge di delega che tali effetti aveva espressamente chiesto di disciplinare, senza precisare se gli stessi potessero retroagire, ma non escludendo che la legge delegata potesse riferirsi anche a cancellazioni gia’ avvenute, con la conseguenza che per le cancellazioni anteriori all’entrata in vigore della riforma, l’effetto dell’estinzione non poteva che riconoscersi e “restare fermo” alla data del 1 gennaio 2004.

Lo stesso novello art. 2495 c.c. e’ scritto in modo da regolare i soli effetti estintivi a decorrere dall’entrata in vigore della riforma del diritto societario anche in rapporto alle cancellazioni precedenti, avendo carattere di jus superveniens ultrattivo e produttivo di effetti estintivi nuovi, anche per le pregresse cancellazioni, in rapporto a quanto previsto nelle preleggi e in Costituzione (cfr. sul tema Cass. 5 marzo 2007 n. 5048) e non emergendo dal suo contenuto una pretesa natura meramente interpretativa e ricognitiva della norma, che ne avrebbe comportato la retroattivita’ e il superamento per il passato del pregresso diritto vivente superato con la novella. Non puo’ quindi configurarsi l’art. 2495 c.c. introdotto dal D.Lgs. n. 6 del 2003, art. 4 che ha sostituito il previgente art. 2456 c.c., come norma interpretativa della pregressa disciplina e retroattiva, espressione di una lettura in consapevole contrasto con il precedente ius receptum, che negava natura costitutiva alla cancellazione della iscrizione della societa’ dal registro delle imprese, come afferma invece la citata sentenza di questa Corte n. 25192 del 2008, per la quale la novella costituirebbe solo una lettura orientata costituzionalmente del sistema normativo precedente.

Anche la tutela dell’affidamento dei cittadini in rapporto agli effetti della loro conoscenza dell’iscrizione della cancellazione che all’epoca in cui la stessa avvenne non escludeva la continuazione dell’esistenza in vita della societa’ e l’effetto estintivo di cui alla novella, induce a ritenere, la irretroattivita’ delle norme, non prevista testualmente dalla legge nei sensi indicati.

La citata pronuncia del 2008 deve invece condividersi, per la parte in cui afferma che se per le societa’ con personalita’ giuridica si riconosce dalla nuova norma la erroneita’ del pregresso indirizzo giurisprudenziale prevalente, nel sistema e’ logico riconoscere al novellato art. 2495 c.c. un effetto espansivo che impone un ripensamento della pregressa giurisprudenza anche per le societa’ commerciali di persone, in adesione ad una lettura costituzionale della norma. Le societa’ in nome collettivo e in accomandita semplice non hanno personalita’ giuridica ma solo una limitata capacita’ per singoli atti di impresa e, con la cancellazione della loro iscrizione dal registro, come si estingue per l’art. 2495 c.c. la misura massima di detta capacita’, cioe’ la personalita’ delle societa’ che di essa sono dotate, deve logicamente presumersi che venga meno anche detta ridotta capacita’ delle societa’ di persone, rendendola opponibile ai terzi, con una pubblicita’ solo dichiarativa della fine della vita di esse, della stessa natura cioe’ di quella della loro iscrizione nel registro a decorrere dal 1 gennaio 2004 e per l’avvenire, come sopra gia’ precisato.

Pertanto, anche per le societa’ di persone, puo’ presumersi, che la cancellazione dell’iscrizione nel registro delle imprese comporti la fine della capacita’ e soggettivita’ limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le societa’ di capitali e le cooperative, anche se si era correttamente negata in passato la estinzione della societa’ e della sua capacita’, fino al momento della liquidazione totale dei rapporti facenti ad essa capo, in difetto di una espressa previsione normativa dell’effetto estintivo per le societa’ di capitali. Tale soluzione ermeneutica, oltre che nelle indicate ragioni logiche e sistematiche che inducono a uniformare la disciplina dei diversi tipi di societa’, trova giustificazione anche nella L. Fall., art. 10, come novellato con il citato D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 9 il cui comma 1 consente, per gli imprenditori individuali e collettivi, come gia’ detto, la dichiarazione di fallimento “entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se la insolvenza si e’ manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo”, con chiaro identico rilievo dell’iscrizione della cancellazione per ogni tipo di societa’ commerciale, sia di persone che di capitali.

Non si viola in tal modo l’art. 2193 c.c. ne’ il rigido formalismo della relazione al codice sul carattere assoluto della presunzione di conoscenza delle vicende societarie iscritte nel registro, facendo salvo la L. Fall., art. 10, comma 2, la facolta’ di dimostrare “il momento dell’effettiva cessazione dell’attivita’” imprenditoriale, “da cui decorrere il termine del comma 1” per la declaratoria del fallimento, per entrambi i tipi di societa’, solo nel caso la cancellazione sia stata ordinata di ufficio e non sia quindi dovuta a richiesta dei liquidatori, potendo le societa’, in tale condizione peculiare, considerarsi cessate ed estinte anche in un momento diverso dalla cancellazione stessa se si dimostri che il provvedimento si fondava su dati di fatto errati. Il riconoscimento alla cancellazione delle societa’ di persone di un effetto solo dichiarativo della estinzione della stesse da riconoscere al primo gennaio 2004 o successivamente, resta confermato dalla disciplina delle azioni dei creditori sociali nei confronti dei soci per debiti della societa’ di persone, riconosciuta dall’art. 2312 c.c. come accade per quelle con personalita’ giuridica cancellate ed era gia’ previsto dal previgente art. 2456 c.c. e risulta confermato dall’attuale art. 2495 c.c., con una chiara differenza delle due discipline delle azioni nei due casi, connessa alla natura dei due tipi societari. Differenti sono infatti i limiti della responsabilita’ dei soci, nelle societa’ di persone di regola illimitata, dopo l’escussione del capitale sociale, ai sensi dell’art. 2304 e 2324 c.c. (cfr. pure artt. 2267 e 2268 c.c. per le societa’ semplici), e invece, in quelle di capitali e nelle cooperative, coerentemente con il sistema, limitata fino alla concorrenza di quanto riscosso nel riparto del capitale sociale, dal socio chiamato a rispondere dei crediti sociali, in ragione dell’accentuata e totale autonomia del patrimonio delle societa’ aventi personalita’ giuridica, che non consente una soddisfazione che superi quanto di esso e’ stato ripartito tra i soci e resta comunque destinato a soddisfare i creditori della societa’, nei limiti della sua capienza anche dopo la ripartizione.

Consegue quindi che l’inciso “ferma restando la estinzione della societa’”, che la novella ha inserito con riferimento espresso alle societa’ di capitali e alle cooperative, integra comunque il presupposto logico, nel sistema, per una lettura della cancellazione delle iscrizioni di societa’ di persone dichiarativa della cessazione della loro attivita’ dal momento dell’entrata in vigore della legge anche per le cancellazioni precedenti e dalla data della cancellazione dell’iscrizione per quelle successive al l’gennaio 2004, al fine di dar luogo a quella interpretazione costituzionalmente orientata delle norme da sempre sollecitata dal giudice delle leggi e favorevole ad un identico trattamento di tutti i creditori delle imprese individuali e collettive di qualsiasi tipo, oggi possibile in ragione della riforma del 2003. Infatti il venir meno della societa’ costituisce il medesimo presupposto della analoga disciplina delle azioni dei creditori delle societa’ contro i soci di cui all’art. 2312 c.c., comma 2, e dell’art. 2324 c.c. soggetti che rispondono per l’eventuale inadempimento, in solido e illimitatamente, previa escussione del patrimonio sociale, ove sia cessata la vita della societa’. Per le societa’ di persone, sembra logico ritenere che l’espressa disciplina della responsabilita’ dei soci subentrati alla societa’ verso i creditori sociali per effetto della cancellazione ha come presupposto, il venir meno della soggettivita’ e della capacita’ giuridica limitata di esse, parallelo all’effetto costitutivo – estintivo della cancellazione dell’iscrizione delle societa’ di capitali di cui all’art. 2495 c.c. (cosi’ le cit. Cass. n. 19347/07, relativa a societa’ consorziate e 29242/08), riaffermandosi, per le societa’ commerciali senza personalita’ giuridica, la natura dichiarativa dell’effetto al 1 gennaio 2004 per le cancellazioni precedenti l’entrata in vigore della novella e quella contestuale alla pubblicita’ per quelle future.

3.5. Deve quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “L’art. 2495 c.c., comma 2, come modificato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4, e’ norma innovativa e ultrattiva, che, in attuazione della legge di delega, disciplina gli effetti delle cancellazioni delle iscrizioni di societa’ di capitali e cooperative intervenute anche precedentemente alla sua entrata in vigore (1 gennaio 2004), prevedendo a tale data la loro estinzione in conseguenza dell’indicata pubblicita’ e quella contestuale alle iscrizioni delle stesse cancellazioni per l’avvenire e riconoscendo, come in passato, le azioni dei creditori sociali nei confronti dei soci, dopo l’entrata in vigore della norma, con le novita’ previste agli effetti processuali per le notifiche intraannuali di dette citazioni, in applicazione degli artt. 10 e 11 preleggi e dell’art. 73 Cost, u.c..

Il citato articolo, incidendo nel sistema, impone una modifica del diverso e unanime pregresso orientamento della giurisprudenza di legittimita’ fondato sulla natura all’epoca non costitutiva della iscrizione della cancellazione che invece dal 1 gennaio 2004 estingue le societa’ di capitali nei sensi indicati. Dalla stessa data per le societa’ di persone, esclusa l’efficacia costitutiva della cancellazione iscritta nel registro, impossibile in difetto di analoga efficacia per legge della loro iscrizione, per ragioni logiche e di sistema, puo’ affermarsi la efficacia dichiarativa della pubblicita’ della cessazione dell’attivita’ dell’impresa collettiva, opponibile dal 1 luglio 2004 ai creditori che agiscano contro i soci, ai sensi degli artt. 2312 e 2324 c.c. norme in base alle quali si giunge ad una presunzione del venir meno della capacita’ e legittimazione di esse, operante negli stessi limiti temporali indicati, anche se perdurino rapporti o azioni in cui le stesse societa’ sono parti, in attuazione di una lettura costituzionalmente orientata delle norme relative a tale tipo di societa’, da leggere in parallelo ai nuovi effetti costituivi della cancellazione delle societa’ di capitali per la novella.

La natura costitutiva riconosciuta per legge, a decorrere dal 1 gennaio 2004, degli effetti delle cancellazioni gia’ iscritte e di quelle future per le societa’ di capitali che con esse si estinguono, comporta, anche per quelle di persone, che, a garanzia della parita’ di trattamento dei terzi creditori di entrambi i tipi di societa’, si abbia una vicenda estintiva analoga con la fine della vita di queste contestuale alla pubblicita’, che resta dichiarativa degli effetti da desumere dall’insieme delle norme pregresse e di quelle novellate, che, per analogia iuris determinano una interpretazione nuova della disciplina pregressa delle societa’ di persone.

Per queste ultime, come la loro iscrizione nel registro delle imprese ha natura dichiarativa, anche la fine della loro legittimazione e soggettivita’ e’ soggetta a pubblicita’ della stessa natura, desumendosi l’estinzione di esse dagli effetti della novella dell’art. 2495 c.c. sull’intero titolo 5^ del Libro 5^ del c.c. dopo la riforma parziale di esso, ed e’ evento sostanziale che la cancellazione rende opponibile ai terzi (art. 2193 c.c.) negli stessi limiti temporali indicati per la perdita della personalita’ delle societa’ oggetto di riforma”. L’enunciato principio relativo agli effetti della cancellazione dell’iscrizione del registro dell’impresa delle societa’ garantisce una soluzione unitaria al problema degli effetti della iscrizione della cancellazione di tutti i tipi di societa’ o imprese collettive ed e’ coerente anche con la L. Fall., art. 10 novellata, facendo comunque decorrere dalla data della iscrizione della cancellazione stessa, l’anno per la dichiarazione di fallimento ed evitando incertezze su tale punto.

4.1. In ordine al ricorso del R., i primi due motivi di esso sono infondati in base alla soluzione adottata del contrasto non potendosi con essa conciliare il riconoscimento dell’effetto estintivo della societa’ di cui egli era stato socio, a seguito della sua cancellazione dal registro delle imprese iscritta nel 1985, che tale estinzione ha prodotto solo il 1 gennaio 2004. La affermata esistenza in vita della s.r.l. Righetto alla data della notifica della sentenza n. 9876 del 1993 (11 marzo 1994), in base al diritto vivente dell’epoca fondato sul previgente testo dell’art. 2456 c.c., conferma che la notifica ad essa in quanto ancora non liquidati tutti i suoi rapporti, ha determinato per essa la messa in mora e l’interruzione della prescrizione del credito di cui si chiedeva il pagamento e che e’ lo stesso per cui la R.A.S. ha ingiunto nel 2001 all’odierno ricorrente di pagare quanto dovuto dalla societa’ e ad essa chiesto quando ancora doveva ritenersi il permanere della sua legittimazione a ricevere la notifica presso la sede sociale, del titolo a base del decreto ingiuntivo a carico del R. del 2001.

Consegue alla osservazione che precede che ogni diritto dei creditori nei confronti della societa’ dopo il riparto tra i soci del patrimonio sociale era esercitabile anche dopo la cancellazione fino alla sua estinzione intervenuta il 1 gennaio 2004, nei confronti della societa’ stessa in liquidazione, potendosi comunque agire anche contro il socio ai sensi del previgente art. 2456 c.c., rispondendo quest’ultimo quale debitore del dovuto con la societa’ nei limiti della quota di riparto a lui restituita.

Nessun rilievo puo’ riconoscersi alle questioni poste con il secondo motivo di ricorso in ordine alla notifica presso la sede sociale della societa’, una volta che questa esisteva alla data della notificazione, e cio’ comporta il rigetto anche del secondo motivo di ricorso, dovendosi riconoscere efficacia alla notificazione, pur in presenza dei pretesi vizi formali emergenti dalla relata, connessi alla consegna dell’atto alla figlia convivente del liquidatore e socio R., configurandosi cosi’ una messa in mora della societa’, del liquidatore e del socio, cioe’ dei tre debitori nei cui confronti potevano agire creditori della societa’ per l’art. 2456 c.c., come esattamente rilevato dalla Corte territoriale.

4.2. Entro tali limiti va riconosciuta la solidarieta’ tra societa’ e socio per la presunzione dell’art. 1294 c.c. cui fa cenno la sentenza impugnata, essendo identico il titolo azionato verso la societa’ e il R.; esattamente si e’ quindi esteso, ai sensi dell’art. 1310 c.c. l’effetto interruttivo della prescrizione, anche al socio condebitore in solido con la societa’, della notificazione della sentenza avvenuta nella sede di questa. Pertanto, in ordine alla dedotta mancanza della solidarieta’ tra ricorrente e s.r.l.

R. per il debito oggetto di decreto ingiuntivo, denunciato con il terzo motivo di ricorso, e’ errata l’affermazione del R. in ordine alla diversita’ dei titoli a base degli obblighi di tali soggetti; in realta’, come chiarito, la personalita’ giuridica delle societa’ comporta una piena autonomia del patrimonio di essa, rispetto a quello dei soci, che estende la separatezza di tali patrimoni pure dopo che si siano restituiti pro quota i conferimenti a ciascuno dei soci che li hanno corrisposti, entro i limiti di quanto ricevuto con vincolo di destinazione a soddisfare gli obblighi della societa’.

4.3. Il R., nella presente causa, risponde della stessa obbligazione della societa’ verso la R.A.S. accertata giudizialmente per il medesimo titolo a base del debito della societa’; tale situazione giustifica la presunzione di solidarieta’ di cui all’art. 1294 c.c., ritenuta correttamente in sede di merito, con palese infondatezza del quarto motivo di ricorso. In rapporto alla pretesa natura di crediti “sociali” dei diritti oggetto di causa, cui si applicherebbe la durata quinquennale della prescrizione dell’art. 2949 c.c., e’ palese la infondatezza del quinto motivo di ricorso che invoca l’applicazione di tale norma con riferimento ad un debito della societa’ verso terzi, derivante da actio iudicati all’esito di una causa tra R.A.S. e societa’ Righetto, mancando quindi un’obbligazione tra soci o della societa’ verso i soci o gli amministratori, per cui deve essere applicata, come affermato nel merito, la prescrizione decennale dell’art. 2946 c.c. con conseguente infondatezza del quinto motivo di ricorso.

Inammissibile e’ poi il sesto motivo che denuncia una ultrapetizione, non comprensibile come denunciata, in rapporto alla domanda riconvenzionale della R.A.S. che, in ricorso, si dice mai essere stata proposta, perche’ condizionata comunque all’accoglimento dell’opposizione e alla revoca del decreto ingiuntivo, che non vi e’ stata per il rigetto dell’opposizione del R..

5. Il rigetto di tutti i motivi del ricorso, dovuto soprattutto alla risoluzione del contrasto, evidenzia l’esistenza delle perplessita’ che possono avere indotto il ricorrente R. all’impugnazione, evidenziando i giusti motivi per disporre la totale compensazione delle spese tra le parti del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e compensa le spese della presente fase di legittimita’ tra le parti.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, il 12 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2010

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