Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4058 del 20/02/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4058 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: CARRATO ALDO

percezione di
contributi
comunitari

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 13667/’14) proposto da:
AVV. PALOPOLI GIAMPIERO (C.F.: PLP GPR 48R17 H579E), rappresentato e
difeso da se stesso e, in forza di procura speciale in calce al ricorso,
congiuntamente e disgiuntamente, dall’Avv. Giuseppe Tucci, elettivamente
domiciliato presso l’Avv. Raffaella Palumbo, studio legale De Gregorio, in Roma,
v. di Santa Costanza, 35; – ricorrente contro
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI, in
persona del Ministro in carica, rappresentata e difesa “ex lege” dall’Avvocatura
Generale dello Stato ed elettivamente domiciliato presso i suoi uffici, in Roma,
alla v. dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 372/2014, depositata
il 12 marzo 2014 (e notificata il 26 marzo 2014 );
Udita

la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28

novembre 2017 dal Consigliere relatore Aldo Carrato;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
Lucio Capasso, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Data pubblicazione: 20/02/2018

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udito l’Avv. Giampiero Palopoli, quale difensore di se stesso;
FATTI DI CAUSA
Con ricorso depositato 1’11 gennaio 2007 l’avv. Palopoli Giampiero adiva il
Tribunale di Rossano Calabro proponendo opposizione all’ordinanza-ingiunzione
n. 205/2006 emessa dal Direttore dell’Ufficio di Cosenza dell’Ispettorato

veniva irrogata la sanzione di euro 20.253,00 per la violazione di cui all’art. 3
della legge n. 898/1986, sul presupposto che egli avesse indebitamente
percepito un aiuto comunitario di pari importo a titolo di contributo per
l’esecuzione di interventi di miglioramento boschivo. A sostegno della domanda
eccepiva l’incompetenza territoriale dell’organo accertatore e, nel merito,
l’insussistenza dell’addebito. Nella costituzione dell’opposta P.A., il suddetto
Tribunale – con sentenza depositata il 14 settembre 2010 – accoglieva
l’opposizione del Palopoli e, per l’effetto, annullava l’impugnata ordinanzaingiunzione.
Avverso la indicata sentenza avanzava appello il Ministero della Politiche
agricole, alimentari e forestali (riferito a due motivi). L’appellato si costituiva in
giudizio invocando, in ogni caso, il rigetto del gravame ma eccependo, in via
pregiudiziale, che, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, la sentenza
di primo grado era stata notificata il 21 ottobre 2010 ed era passata in
giudicato, giusta attestazione del Tribunale di Rossano, con la conseguenza che
l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.
Con sentenza n. 372/2014 (depositata il 12 marzo 2014), la Corte di appello di
Catanzaro, in riforma della gravata sentenza ed in accoglimento della formulata
impugnazione, rigettava l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione proposta dal
Palopoli, che condannava, in quanto risultato definitivamente soccombente, alla
rifusione delle spese del doppio grado di giudizio.
A sostegno dell’adottata decisione il giudice di secondo grado riteneva, in primo
luogo, infondate le eccezioni di giudicato esterno e di difetto di specificità dei
motivi prospettate dall’appellato. Respingeva, altresì, l’eccezione di nullità
dell’ordinanza-ingiunzione opposta sull’asserito presupposto della incompetenza
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Centrale Repressione Frodi (notificata il 13 dicembre 2006), con la quale gli

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territoriale della Guardia di Finanza di Catanzaro a procedere alla contestazione
dell’illecito amministrativo accertato nei riguardi del Palopoli (malgrado egli non
fosse stato iscritto nel registro degli indagati nel procedimento penale avviato
dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro); rigettava,
inoltre, l’ulteriore eccezione relativa alla dedotta tardività della contestazione
(cui sarebbe seguita l’estinzione della sanzione amministrativa) e, esaminando

sussistenza delle condizioni per la configurazione dell’accertata violazione in
danno dell’appellante, con il derivante accoglimento del gravame formulato dal
suddetto Ministero.
Avverso la sentenza di appello proponeva ricorso per cassazione il Palopoli
Giampiero, cui resisteva – costituendosi con controricorso – l’intimato Ministero
della Politiche agricole, alimentari e forestali. Lo stesso ricorrente depositava,
infine, memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo, complesso, motivo il ricorrente ha dedotto la nullità della
sentenza per asserita violazione dell’art. 112 c.p.c. e per ritenuta
inammissibilità dell’appello proposto avverso sentenza diversa da quella
notificata (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), nonché la violazione e falsa
applicazione degli artt. 101,115 e 324 c.p.c., 124 disp. att. c.p.c. e 2697 c.c.
(art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) e l’omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n.
5, c.p.c.), consistito nel non aver valutato la Corte di appello di Catanzaro
l’attestazione/certificazione del 23 febbraio 2011 del cancelliere del Tribunale
di Rossano Calabro di passaggio in giudicato della sentenza n. 247/2010.
1.1. Rileva il collegio che la censura è infondata e deve, pertanto, essere
rigettata.
Invero, nella sentenza impugnata, la Corte catanzarese ha complessivamente
valutato l’eccezione di inammissibilità dell’appello formulata dal Ministero delle
Politiche agricole, alimentari e forestali, dando atto che, effettivamente, in
esso, per un mero errore materiale era stato indicato un numero di sentenza
3

propriamente il merito delle censure mosse dall’appellante, ravvisava la

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sbagliato (n. 812/2009 anziché n. 247/2010), ma che tale inesattezza non era
idonea ad inficiare la proposta impugnazione, dal momento che, dal contenuto
del gravame, era emerso univocamente quale fosse la sentenza oggetto
dell’appello (appunto la n. 247/2010 del Tribunale di Rossano), avuto riguardo
all’individuazione delle parti e dell’organo giudicante, alla data della sua

all’esatta individuazione dell’ordinanza-ingiunzione opposta e degli atti
processuali correlati alla conseguente opposizione in sede giudiziale dinanzi al
suddetto Tribunale. Pertanto, correttamente, la Corte territoriale ha ritenuto
che la richiamata inesattezza materiale non aveva comportato alcun
pregiudizio per la difesa dell’appellato che, invero, aveva resistito
compiutamente anche sul merito delle doglianze sostenute in appello
dall’impugnante Ministero.
Allo stesso modo la Corte di appello ha dato atto di aver documentalnnente
verificato (e tale riscontro ha trovato corrispondenza anche nell’ammissibile
verifica compiuta in questa sede di legittimità, trattandosi della denuncia di un
vizio processuale) che l’appello del Ministero era stato tempestivamente
proposto, essendo stato il relativo atto consegnato all’ufficiale giudiziario per la
notificazione il giorno 19 novembre 2010 (momento, questo, dirimente al fine
di valutare la tempestività della notifica per il notificante: cfr., da ultimo, Cass.
n. 3755/2015) e, quindi, prima che scadesse il termine di trenta giorni
dall’intervenuta notificazione della sentenza di primo grado eseguita il 21
ottobre 2010. Di conseguenza, a fronte di questo inequivoco accertamento
desumibile ex actis, la Corte di secondo grado ha disatteso (quantomeno
implicitamente, donde l’insussistenza del dedotto vizio di omessa pronuncia)
l’eccezione di giudicato esterno sollevata nell’interesse del Paolopoli, fondata
sulla produzione della sentenza n. 274/2010 del Tribunale di Rossano Calabro
corredata dalla relazione di notificazione alla controparte e dell’attestazione basata, evidentemente, su un presupposto errato (e, quindi, recessiva rispetto
all’accertamento compiuto dalla Corte di appello in ordine alla ravvisata
tempestività della proposizione del gravame) – da parte del cancelliere
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pubblicazione, delle parti del giudizio di primo grado e del relativo oggetto,

s

dell’avvenuto passaggio in giudicato il giorno 22 novembre 2010 (per il
ritenuto – ma, come visto, erroneamente – decorso del termine breve di 30
giorni dalla notificazione alla parte avversaria), malgrado – come già posto in
risalto – l’atto di appello, in applicazione del noto principio della scissione degli
effetti soggettivi tra notificante e notificatario, dovesse considerarsi

occorrendo avere riguardo, a tale scopo, alla data di consegna dell’atto di
appello all’ufficiale giudiziario (19 novembre 2010, antecedente a quella del 22
novembre 2010 a cui risulta erroneamente riferito il certificato ex art. 124
disp. att. c.p.c. del cancelliere dell’ufficio giudiziario di primo grado), non
rilevando – a detto fine – la successiva ricezione dell’atto notificato da parte
dell’appellato in data 26 novembre 2010.
Alla luce delle esplicate ragioni la Corte territoriale non è, perciò, incorsa nelle
prospettate violazioni di legge né nell’omesso esame della circostanza relativa
all’assunta formazione del giudicato né nel vizio di omessa pronuncia
sull’eccezione relativa al giudicato stesso. A quest’ultimo proposito è opportuno
ribadire il principio (cfr. Cass. n. 13649/2005 e, più recentemente, Cass. n.
706/2014) secondo cui non è configurabile il vizio di omesso esame di una
questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di
nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che
tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise – sia pure con una
pronuncia implicita della loro irrilevanza o di infondatezza – in quanto superate
e travolte , anche se non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione
di altra questione, il cui solo esame comporti e presupponga, come necessario
antecedente logico-giuridico, la detta irrilevanza o infondatezza; peraltro, il
mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione
puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il
quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può
assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi
al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di
norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione
5

tempestivamente formulato entro il termine di cui all’art. 325 c.p.c.,

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implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (invece,
nella fattispecie, esattamente individuata).
2. Con la seconda censura il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa
applicazione degli artt. 14, 17 e 24 della legge n. 689/1981, oltre che dell’art.

1 del d.P.R. n. 529 del 2 ottobre 1996, dell’art. 4 della legge n. 898/1986,

comma 1, n. 3, c.p.c.).
2.1. Anche questa doglianza è priva di fondamento giuridico e va respinta.
Con essa il ricorrente ha inteso dedurre la (supposta) illegittimità della
sentenza impugnata nella parte in cui – rispondendo alla relativa eccezione
formulata dallo stesso appellato avv. Palopoli – la Corte di appello, pur avendo
ritenuto applicabile al medesimo ricorrente – ancorché soggetto non indagato
in procedimento penale – l’ipotesi di cui all’art.

14, comma 3, della legge n.

689 del 1981, non aveva poi, erroneamente, dichiarato in via consequenziale
l’incompetenza territoriale di detto organo accertatore (avendo ravvisato la
legittimazione della Guardia di finanza di Catanzaro che aveva svolto le
indagini penali a carico di altre persone, nonostante il presunto illecito
amministrativo fosse stato commesso da parte del Palopoli in Rossano,
rientrante in altro territorio di competenza riferibile ad altri organi di
accertamento), così violando le norme denunciate nel rigettare l’eccezione di
nullità dell’opposta ordinanza-ingiunzione siccome fondata su un verbale di
accertamento di infrazione amministrativa compiuta da un organo accertatore
territorialmente incompetente.
Osserva, tuttavia, il collegio che la doglianza non coglie nel segno in punto di
diritto, poiché – per come pacificamente accertato anche dalla Corte territoriale
– la violazione amministrativa era stata accertata nel corso dell’espletamento di
indagini, delegate dal P.M. presso il Tribunale di Catanzaro, da parte della
Guardia di finanza di Catanzaro, la quale era stata autorizzata ad utilizzare gli
esiti degli accertamenti penali anche ai fini amministrativi e, quindi, in un
quadro unitario di attività investigativa che legittimava, conseguentemente, lo
stesso organo preposto alle indagini in sede penale a procedere alla
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dell’art. 2697 c.c., degli artt. 132 c.p.c. e 111 Cost. (in relazione all’art. 360,

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contestazione dell’illecito amministrativo accertato nei riguardi dell’avv.
Palopoli, indipendentemente dalla sua acquisizione della qualità di indagato
nello stesso procedimento penale. Infatti, la supposta necessità della
sussistenza di questo presupposto soggettivo in capo a colui nei cui confronti si
ravvisino eventuali estremi per procedere ad un accertamento rilevante anche

alcuna disposizione normativa né dal coacervo di norme a cui pone riferimento
il ricorrente, il quale richiama anche la sentenza di questa Corte n. 23477 del
2009, dalle cui argomentazioni – riguardanti la decorrenza dei termini per la
contestazione della violazione amministrativa – non si desume, però, alcuna
inequivoca ragione logica che conforti la tesi perorata dal ricorrente. Il principio
che si ricava dalla predetta decisione (confermata anche da Cass. n.
7754/2010) è, infatti, quello secondo cui, in tema di sanzioni amministrative,
qualora gli elementi integranti un illecito amministrativo emergano dagli atti di
un procedimento penale, il termine stabilito dall’art. 14, secondo comma, della
legge 24 novembre 1981, n. 689, per la contestazione della violazione decorre
dalla ricezione, da parte dell’autorità amministrativa, degli atti trasmessi
dall’autorità giudiziaria. Ma ciò non incide sulla legittimità della condotta
relativa alla contestazione di un illecito amministrativo da parte dell’organo
accertatore che l’abbia rilevato nel corso dell’espletamento di apposite indagini
penali delegate dal competente P.M., a condizione, però, che ad emettere la
conseguente ordinanza-ingiunzione sanzionatoria sia, poi, l’autorità
amministrativa individuata – in relazione al criterio della materia – dall’art. 17,
comma 1, della stessa legge n. 689/1981 e, sotto il profilo territoriale, l’ufficio
riferibile a detta autorità competente nel luogo in cui è stata commessa la
violazione, ai sensi del comma 5 del medesimo art. 17 (ragion per cui solo
nell’eventualità dell’incompetenza di questa autorità verrebbe a configurarsi
una ipotesi di nullità conseguente del provvedimento amministrativo
sanzionatorio). E, nella fattispecie, occorre proprio considerare che la
legittimità – nell’unitarietà dell’attività di controllo espletata dalla polizia
giudiziaria in sede di indagini penali delegate dal suddetto P.M. – del
7

in funzione sanzionatoria amministrativa non si evince specificamente da

8

procedimento di contestazione presupposto a carico dell’avv. Palopoli è
desumibile dall’intervenuta adozione dell’ordinanza-ingiunzione da parte del
Direttore dell’Ufficio di Cosenza dell’Ispettorato centrale repressione frodi
effettivamente competente con riferimento al luogo – Rossano Calabro
(Comune, per l’appunto, in provincia di Cosenza) – dell’accertata commissione

3. Con la terza doglianza il ricorrente ha prospettato la violazione e falsa
applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., nonché degli artt. 132 c.p.c. e
111 Cost. (in ordine all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), avuto riguardo alle
valutazioni compiute dalla Corte distrettuale in ordine alle risultanze relative
all’erogazione del contributo per l’imboschimento in favore dello stesso avv.
Palopoli, ritenuto illegittimo sulla base della ravvisata inveridicità dell’apposita
dichiarazione presentata (in data 24 novembre 1999) dal richiedente per
l’esecuzione di tutti i lavori relativi al progetto approvato. Peraltro, nello
svolgimento della censura (ma senza alcun richiamo nella rubrica), il ricorrente
lamenta anche il vizio di motivazione per assunta perplessità della stessa oltre
che per costituire frutto di un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili
(con conseguente denuncia anche della violazione degli artt. 132 c.p.c. e 111
Cost.).
4.

Con il quarto motivo il ricorrente ha lamentato la violazione e falsa

applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 898 del 1986, degli artt. 3,4,5,6 e
17 del D.M. n. 494 del 1998, degli artt. 8, 11 e 12 Allegato alla delibera Giunta
reg. Calabria n. 2699 del 27 luglio 1999, degli artt. 132 c.p.c. e 111 Cost.,
congiuntamente all’art. 3 della legge n. 689/1981 (ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 3, c.p.c.), oltre al vizio di omesso esame circa un fatto decisivo
per il giudizio che aveva costituito oggetto di discussione fra le parti.
4.1. I due appena riportati motivi – esaminabili congiuntamente poiché
strettamente connessi – sono, così come complessivamente prospettati,
inammissibili perché, attraverso gli stessi, il ricorrente sollecita, in effetti, un
riesame delle valutazioni di merito concernenti le risultanze probatorie
valorizzate ai fini della rilevata responsabilità (sul piano oggettivo e soggettivo)
8

della rilevata infrazione.

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del ricorrente in ordine all’illegittimità della richiesta del contributo comunitario
per i suddetti lavori di imboschimento, come tale inammissibile nella presente
sede di legittimità (cfr., ex multis, Cass. n. 17477/2007 e, da ultimo, Cass. n.
19547/2017, ord.). Peraltro, anche i supposti vizi logici non sono, “ratione
temporis” (risultando depositata la sentenza impugnata in data 12 marzo
2014), riconducibili nell’orbita del modificato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.,

a quanto lamentato dall’avv. Palopoli né ha – in ordine all’impostazione del
ragionamento logico-giuridico addotto a sostegno dell’impugnata sentenza fornito una motivazione incomprensibile o assolutamente contraddittoria in
senso intrinseco (v. Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014, per tutte).
Invero il giudice di secondo grado ha espresso, sulla circostanza fattuale che il
ricorrente ha inteso confutare, una motivazione assolutamente conferente,
dettagliata, coerente e logica, mediante la quale (v., soprattutto e
diffusamente, le pagg. 10-14 della sentenza stessa) ha, in primo luogo, dato
atto delle risultanze istruttorie acquisite, della sequenzialità del procedimento
autorizzatorio per il richiesto riconoscimento del contributo comunitario, dello
svolgimento del procedimento di accertamento (al quale è seguito quello di
irrogazione della sanzione), per poi procedere alla constatazione della mancata
corrispondenza al vero del contenuto della dichiarazione presentata dall’avv.
Palopoli il 24 novembre 1999 riguardante la realizzazione dei lavori inerenti al
progetto approvato, in dipendenza della quale (siccome ponente riguardo ad
un inserimento inesatto negli elenchi di liquidazione), secondo un rapporto di
causalità diretto, l’ente erogante era stato indotto in errore nel riconoscimento
del contributo, perciò ricevuto indebitamente (ovvero quale frutto di un
obiettivo sviamento del pertinente

iter amministrativo). Da ciò la Corte

territoriale ha, in modo coerente, inferito anche la sussistenza dell’elemento
soggettivo della violazione amministrativa presupposta dall’ordinanzaingiunzione impugnata dal ricorrente.
Peraltro, sul piano generale, va ribadito (cfr., ad es., Cass. n. 13610/20017 e
Cass. Sez. U. n. 20930/2009) che, in tema di sanzioni amministrative, ai sensi
9

perché la Corte territoriale non ha omesso l’esame di fatti decisivi in relazione

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dell’art. 3 della legge n. 689 del 1981, per le violazioni colpite da sanzione
amministrativa è necessaria e al tempo stesso sufficiente la coscienza e
volontà della condotta attiva o omissiva, senza che occorra la concreta
dimostrazione del dolo o della colpa, giacché la norma pone una presunzione di
colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso,
riservando poi a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa. Ne deriva

disciplinato dalla legge n. 689 del 1981, rileva come causa di esclusione della
responsabilità amministrativa – al pari di quanto avviene per la responsabilità
penale, in materia di contravvenzioni – solo quando sussistano elementi positivi
idonei a ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità
della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto quanto possibile
per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli
mosso. Occorre, oltretutto, rimarcare che, sempre con riferimento all’ambito
delle sanzioni amministrative, la valutazione circa l’offensività, in concreto, del
comportamento del trasgressore non rileva (salva la sua sussumibilità
nell’esimente della buona fede, quale causa di esclusione della responsabilità,
insussistente nella fattispecie), giacché l’idoneità della condotta a realizzare
l’effetto vietato è da ritenersi che sia stata valutata “ex ante” dal legislatore
con la previsione della norma sanzionatoria (v., da ultimo, Cass. n.
2956/2016).
5. Con la quinta ed ultima censura il ricorrente ha denunciato la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2 REG. CEE n. 2080/92, dell’art. 7, comma 3, del
D.M. n. 494/1998, degli artt. 4, 5.1. e 5.3. dell’Allegato alla delibera della
Giunta regionale calabra 27 luglio 1999, n. 2999 (in relazione all’art. 360,
comma 1°, n. 3, c.p.c.), deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza
laddove, in accoglimento del secondo motivo di gravame, aveva ritenuto che
anche gli aiuti per il mancato reddito e per le spese di manutenzione (relativi
agli interventi di imboschimento) erano stati percepiti indebitamente dall’avv.
Palopoli, in quanto il medesimo, diversamente da come attestato nella
domanda del 7 settembre 1999, non rivestiva la qualifica di imprenditore
10

che l’esimente della buona fede, applicabile anche all’illecito amministrativo

11

agricolo, per come previsto dal citato art. 7 del D.M. n. 494/1998, confermato
dalla suddetta delibera della Giunta calabra.
5.1. Quest’ultima doglianza è, ad avviso del collegio, fondata per le ragioni che
seguono.
La Corte di appello di Catanzaro, al fine dell’accoglimento del gravame

la sua decisione anche sul presupposto che, per ottenere il contributo
comunitario in questione, fosse necessario che il soggetto richiedente avesse la
qualità di imprenditore agricolo – non posseduta, invece, dal ricorrente – da
accertare sulla base oltre che della definizione rinvenibile nell’art. 2135 c.c.,
anche sulla scorta della previsione di cui all’art. 8 del già indicato D.M. n.
494/1998, recante le norme di attuazione del regolamento CEE n. 2080/1992.
Tuttavia, nell’esaminare questo profilo, la Corte territoriale ha del tutto
obliterato di considerare la rilevanza e l’efficacia della fonte normativa primaria
sovranazionale costituita dal suddetto regolamento CEE n. 2080/1992 che corrispondentemente a quanto dedotto dal ricorrente – sia nella premessa sia
nell’apposito art. 2, paragrafo 2, stabilisce che, ai fini dell’ottenimento del
contributo per le spese di imboschimento, non è previsto quale requisito
essenziale che la domanda provenga da un imprenditore agricolo in senso
proprio, potendo pronnanare anche da una mera persona fisica (o giuridica) che
intenda, per l’appunto, procedere all’imboschimento di superfici agricole,
oppure da imprenditori agricoli che non fruiscano del regime di
prepensionamento previsto dal Regolamento CEE n. 2079/1992.
Orbene, sulla base di questa premessa, occorre mettere in risalto come la
giurisprudenza di questa Corte sia concorde nel ritenere che, al pari delle altre
disposizioni comunitarie, anche i regolamenti sono fonti normative
direttamente efficaci nell’ordinamento interno e prevalgono sulle disposizioni di
quest’ultimo, con conseguente inapplicabilità della normativa nazionale,
precedente o successiva, se in contrasto con quella comunitaria, e senza che,
per ciò stesso, la norma statale possa legittimamente dirsi caducata od
abrogata. In tale ipotesi, difatti, la fattispecie sottoposta all’esame del
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formulato dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, ha basato

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giudicante risulta attratta, “ratione materiae”, nella sfera di applicazione della
normativa comunitaria, realizzandosi, così, l’adeguamento automatico dei due
ordinamenti, demandato al controllo dello stesso giudice interno (cfr., per
tutte, Cass. n. 3999/1999). E, con riferimento alla fattispecie, sarebbe stato,
perciò, necessario che il giudice di secondo grado avesse valutato l’ambito di

temporis”) e avesse raccordato il testo delle sue norme rilevanti nel caso
specifico alle disposizioni normative nazionali in concreto considerate
erroneamente in modo esclusivo, coincidenti con quelle evincibili dall’art. 7 del
D.M. n. 494/1998, unitamente al contenuto della delibera della Giunta
regionale calabra n. 2999 del 27 luglio 1999. E ciò assume una peculiare
incidenza nell’ipotesi che ci occupa laddove si ponga in rilievo che la Corte
distrettuale ha inteso evidenziare la precisa portata – ed influenza sul piano
interpretativo – dell’art. 7, comma 3, del citato D.M., ai sensi del quale, “per le
misure che presuppongono la qualifica di imprenditore agricolo”, avrebbe
dovuto essere accertato che almeno il 25% del reddito complessivo del
beneficiario derivasse direttamente dall’attività agricola, da ciò ricavando
l’essenzialità del requisito del rivestimento – da parte del richiedente il
contributo – della qualifica di imprenditore agricolo, omettendo, però, di
valutare la rilevanza e la possibile applicabilità diretta delle richiamate
disposizioni del Regolamento CEE n. 2080/1992, le quali, invece, prevedono
che i contributi per spese di manutenzione e per mancato reddito in ordine ai
lavori di imboschimento non presuppongono necessariamente tale qualifica.
In questi termini deve, quindi, essere accolta la quinta doglianza formulata dal
ricorrente.
6. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni che precedono,
vanno respinti i primi quattro motivi del ricorso e deve, invece, essere accolto
il quinto, con conseguente relativa cassazione della sentenza impugnata ed il
rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte
di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che si atterrà – con
riferimento all’accolto vizio di violazione e falsa applicazione di legge – al
12

applicabilità del citato Regolamento CEE n. 2080/1992 (vigente “ratione

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principio di diritto riportato sub paragrafo 5), in relazione alla diretta e
prevalente applicabilità delle conferenti disposizioni normative del Regolamento
CEE n. 2080/1992 (istitutivo di un regime comunitario di aiuti alle misure
forestali nel settore agricolo) con riferimento al mancato rilievo della non
necessità della sussistenza, in capo al soggetto richiedente i contributi
comunitari per l’attività di imboschimento, della qualifica di imprenditore

annullata).
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi quattro motivi del ricorso ed accoglie il quinto; cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese
del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Catanzaro in diversa
composizione.

Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 28
novembre 2017.

Il Presidente

Il Consigliere estensore

zti

ano Giudizierie
‘a NERI

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Roma,

20 FEB. 2018

agricolo (come diversamente ritenuto nella parte della sentenza in questa sede

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