Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4058 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 18/02/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 18/02/2011), n.4058

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5057-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso

la DIREZIONE AFFARI LEGALI POSTE ITALIANE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GUADAGNI SIMONETTA,giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO

23, presso lo studio dell’avvocato SALERNI ARTURO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato DE ANGELIS AURELIO, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 20/2006 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 31/01/2006 R.G.N. 1247/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2011 dal Consigliere Dott. NOBILE Vittorio;

udito l’Avvocato URSINO ANNA MARIA per delega GUADAGNI SIMONETTA;

udito l’Avvocato SALERNI ARTURO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per l’accoglimento del terzo

motivo, rigetto altri motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 5-2-2003 A.G. espose di essere stato assunto dalla s.p.a. Poste Italiane con più contratti a termine, stipulati, da ultimo, nel periodo 1998/1999.

La società si costituiva chiedendo il rigetto della domanda.

Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Brindisi, con sentenza del 30- 3-2004, accoglieva la domanda.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.

L’ A. si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza depositata il 31-1-2006, rigettava l’appello e condannava la appellante al pagamento delle spese.

In sintesi la Corte territoriale affermava che seppure “in virtù della “delega in bianco” contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23 l’autonomia sindacale investita da funzioni paralegislative non incontra limiti ed ostacoli di sorta nella tipologia dei nuovi contratti a termine in relazione alle ipotesi che ne legittimano la conclusione, è altrettanto evidente che l’eccezionalità della situazione originata dal processo di ristrutturazione era stata contemplata dagli accordi come causa giustificativa dell’adozione del tipo contrattuale solo ed esclusivamente fino al 30-4-1998. Con la conseguenza che l’assunzione effettuata dopo tale data risulta priva di supporto derogatorio”.

Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso con tre motivi.

L’ A. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, in sostanza deduce che la Corte d’Appello sulla premessa della natura eccezionale della clausola di apposizione del termine, ha ritenuto “arbitrariamente che per ridurre a razionalità il sistema, tale ipotesi dovrebbe essere necessariamente essere correlata ad una precisa limitazione temporale”, così violando il principio della “delega in bianco”.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1362 e ss. c.c. e vizio di motivazione, lamenta che erroneamente ed in violazione dei criteri ermeneutici la Corte di merito ha ritenuto che gli accordi attuativi abbiano fissato un termine alla possibilità di stipula dei contratti a termine e ribadisce che gli stessi accordi avevano natura meramente ricognitiva.

Osserva il Collegio che la Corte territoriale ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto esaminato è stato stipulato, per esigenze eccezionali… – ai sensi dell’art. 8 del CCNL del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al CCNL del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-1-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In tal senso, quindi, non meritano accoglimento i primi due motivi.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia omessa motivazione circa l’aliunde perceptum e lamenta altresì che la Corte di merito ha omesso “qualsivoglia decisione in merito alla richiesta formulata dalla società (in entrambi i gradi di giudizio) volta ad ottenere l’esibizione della documentazione (libretti di lavoro e buste paga) al fine di consentire una corretta determinazione degli eventuali corrispettivi percepiti”.

Il motivo risulta del tutto generico e inammissibile.

Al riguardo la sentenza impugnata ha escluso espressamente la detraibilità di un aliunde perceptum “in assenza di prova (o allegazione specifica) sul punto”.

La ricorrente, nel censurare tale decisione, non specifica come e in quali termini abbia allegato davanti ai giudici di merito un aliunde perceptum (in relazione al quale è pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della prova, pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato – cfr. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8-2007 n. 17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099 -) e neppure indica quando, con quale atto ed in quali termini abbia chiesto l’esibizione di documentazione (la quale comunque non può essere chiesta a fini meramente esplorativi – v. fra le altre Cass. 20-12- 2007 n. 26943 -).

Così ritenuto inammissibile il terzo motivo, in mancanza di altre censure riguardanti le conseguenze economiche della nullità del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno, deve conseguentemente ritenersi irrilevante nella fattispecie lo ius superveniem, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Con riguardo, infatti, alla richiesta di applicazione di tale norma, avanzata in sede di discussione dalla società e contrastata dalla difesa dell’ A., a prescindere dall’esame delle obiezioni svolte in ordine alla problematica relativa alla possibilità di ricomprendere tra i giudizi pendenti cui il comma 7 ora riportato applica i precedenti commi 5 e 6 anche il giudizio di cassazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr.

Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

In tale contesto, è quindi necessario che il motivo di ricorso che investa, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia anche ammissibile.

Non solo, infatti, in caso di assenza, ma anche in caso di inammissibilità del relativo motivo, lo ius superveniens non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità, non sussistendo la condizione sopra richiamata.

Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese in favore dell’ A..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare all’ A. le spese, liquidate in Euro 32,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA