Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4057 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 16/02/2021), n.4057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4525-2019 proposto da:

G.F., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR PU presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato SALVATORE GALLUZZO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del Ministro pro tempore, USR – UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE

PER L’EMILIA ROMAGNA in persona del legale rappresentante pro

tempore, tutti rappresentati e difesi ope legis dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, ALLA

VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrenti –

nonchè contro

USP – UFFICIO XII – AMBITO TERRITORIALE PER LA PROVINCIA DI MODENA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 783/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 02/08/2018 R.G.N. 788/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/11/2020 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIOVANNI GRECO (per Avvocatura dello Stato).

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Bologna, con la Sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso proposto da G.F. nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dell’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna e dell’Ufficio XII ambito territoriale per la Provincia di Modena, ricorso volto alla dichiarazione di illegittimità, inefficacia o nullità del licenziamento intimatogli dall’Amministrazione scolastica e alla condanna degli enti convenuti al pagamento, a titolo risarcitorio, dell’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione ed al versamento dei corrispondenti contributi previdenziali ed assistenziali.

2. La Corte territoriale ha rilevato in fatto che:

3. il G. aveva partecipato al concorso per titoli ed esami per l’anno scolastico 2009-2010 per l’accesso al profilo professionale di collaboratore scolastico; il bando di concorso all’art. 7 aveva previsto quali requisiti di ammissione la cittadinanza italiana, l’età anagrafica (18-65 anni), il godimento di diritti politici, l’idoneità fisica all’impego, la posizione regolare rispetto all’obbligo di leva, e aveva stabilito anche l’impossibilità di partecipare alla procedura concorsuale per coloro che fossero esclusi dall’elettorato attivo politico, destituiti o dispensati dall’impiego presso una pubblica amministrazione per persistente, insufficiente rendimento, dichiarati decaduti dall’impiego statale per avere conseguito l’impiego tramite documenti falsi o viziati da invalidità, che si trovassero in una delle condizioni ostative di cui alla L. 18 gennaio 1992, n. 16, gli interdetti e i dipendenti collocati a riposo; tra i requisiti di cui alla L. n. 16 del 1992, abrogato dal D.Lgs. n. 267 del 2000 e riprodotto dall’art. 58 medesimo decreto, alla lett. d) era prevista l’esclusione per coloro che erano stati condannati ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo; il G. era stato condannato, con sentenza passata in giudicato il 20.3.2004 alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione e di Euro 14.000 di multa e alla interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque per i reati di cessione e detenzione di sostanze stupefacenti D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ex art. 73, comma 5.

4. In diritto, ha osservato che:

5. il D.P.R. n. 3 del 1957, art. 2 e il D.P.R. n. 487 del 1994, art. 2 rubricati quali requisiti generali per l’accesso al pubblico impiego, enucleano le condizioni minime di accesso e non ostano alla individuazione di requisiti di accesso ulteriori e diversi nell’ambito di concorsi speciali riservati a una determinata categoria di dipendenti;

6. il bando di concorso, costituendo lex specialis del concorso per l’accesso all’impiego pubblico, comporta che le regole in esso contenute vincolano rigidamente l’operato dell’Amministrazione pubblica, obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità a tutela dei principi dell’affidamento e di tutela della parità di trattamento tra i concorrenti;

7. i partecipanti che assumono la illegittimità delle regole del bando sono tenuti ad impugnarlo qualora esso comporti una lesione concreta ed attuale della situazione soggettiva dell’interessato, pena il definitivo consolidamento delle regole in esso contenute; ciò tutte le volte in cui le clausole che prescrivono requisiti di partecipazione risultano esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla selezione stessa e non condizionate dal suo svolgimento e, per questo, in condizioni di ledere immediatamente e direttamente l’interesse sostanziale del soggetto che ha chiesto di partecipare alla procedura concorsuale.

8. Ha ritenuto che:

9. il bando relativo alla procedura dedotta in giudizio non consentiva l’accesso a coloro che si trovavano in una delle condizioni ostative di cui alla L. n. 16 del 1992 e che fossero stati condannati a pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo;

10. la mancata impugnativa del bando, in parte qua immediatamente lesiva per il G., che al momento del bando risultava già condannato alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione per delitto non colposo, e sottoposto alla interdizione temporanea dai pubblici uffici (cinque anni) aveva consolidato il contenuto del bando, precludendo nel giudizio la valutazione delle relative clausole;

11. doveva, pertanto, escludersi la disapplicazione del bando, atto con il quale l’amministrazione si era autovincolata nell’esercizio delle potestà connesse alla conduzione della procedura concorsuale;

12. era irrilevante il fatto che l’art. 58 del TUEL attribuisce rilievo ai soli delitti concernenti la produzione ed il traffico di stupefacenti in quanto l’impossibilità di partecipazione al concorso conseguiva alla condanna irrevocabile a pena superiore ai due anni di reclusione;

13. il giudice di primo grado aveva correttamente affermato che il contratto individuale stipulato in difetto dei requisiti del bando è affetto da nullità per contrasto con norma imperativa e tale non aveva qualificato le regole del bando di concorso;

14. l’assunzione effettuata in violazione dei requisiti previsti dal bando doveva ritenersi posta in essere in assenza di una valida procedura concorsuale, viziata dalla immissione in graduatoria, poi utilizzata per l’individuazione del contraente-aspirante privo dei requisiti per partecipare al concorso e, quindi, in violazione della norma imperativa costituita dall’art. 97 Cost. e dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35;

15. secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione espresso nelle decisioni n. 19626 del 2015, n. 13800 del 2017 e nei precedenti richiamati da tale ultima decisione, la revoca dell’assunzione per nullità dell’atto equivale alla condotta del contraente che non osservi il contratto stipulato ritenendolo inefficace perchè nullo;

16. Avverso questa sentenza G.F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, al quale ha resistito con controricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Sintesi dei motivi.

17. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 1 in relazione al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 2 e al D.P.R. n. 487de1 1994, art. 2.

18. Addebita alla Corte territoriale di avere errato nell’affermare la validità della previsione del bando relativa al requisito dell’elettorato passivo di cui alla L. n. 16 del 1992 e che l’amministrazione può introdurre requisiti ulteriori e diversi nell’ambito dei concorsi speciali riservati a una determinata categoria di lavoratori e nello statuire che la mancata impugnativa del bando preclude ogni valutazione in ordine alla sua legittimità.

19. Assume che l’Amministrazione aveva il potere di revocare il bando esercitando i poteri di autotutela e deduce che di fatto tanto era accaduto perchè l’Amministrazione aveva ammesso esso ricorrente al concorso a fronte della conclamata mancanza dei requisiti previsti dal bando (esso ricorrente aveva dichiarato l’esistenza della condanna nella domanda di partecipazione al concorso). Asserisce che, ai sensi dell’art. 63, comma 1, il giudice ordinario può disapplicare incidenter tantum l’atto amministrativo illegittimo e che l’interesse di esso ricorrente ad impugnare il bando poteva nascere solo in caso di mancata ammissione alla procedura.

20. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Sostiene che la assunzione di esso ricorrente era legittima perchè disposta in osservanza dei criteri dettati dalla legge e che il bando non è norma imperativa dalla cui violazione possa conseguire la nullità dell’assunzione.

Esame dei motivi.

21. Devono essere rigettati entrambi i motivi, da esaminare congiuntamente in ragione del legame di stretta connessione logica e giuridica che lega tra loro le censure formulate e le prospettazioni difensive che le sorreggono.

22. Ciò nei termini e per le ragioni di seguito indicate.

23. Il Collegio reputa opportuno soffermarsi sul quadro legislativo in cui si inserisce la controversia.

24. Nell’ambito dei requisiti generali per l’accesso all’impiego pubblico, il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 – Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato – all’art. 2, comma 5 indica i “requisiti generali” di “ammissione agli impieghi” e dispone, per quanto rileva nella presente controversia, che “Non possono accedere agli impieghi coloro che siano esclusi dall’elettorato attivo politico e coloro che siano stati destituiti o dispensati dall’impiego presso una pubblica amministrazione”.

25. Analoga previsione è contenuta nel D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 – Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi -, che all’art. 2 (“Requisiti generali”), comma 3 dispone che “Non possono accedere agli impieghi coloro che siano esclusi dall’elettorato politico attivo e coloro che siano stati destituiti o dispensati dall’impiego presso una pubblica amministrazione per persistente insufficiente rendimento, ovvero siano stati dichiarati decaduti da un impiego statale, ai sensi dell’art. 127, comma 1, lett. d) testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3”.

26. Entrambi gli articoli innanzi citati stabiliscono (D.P.R. n. 3 del 1957, art. 2, comma 7, D.P.R. n. 487 del 1994, art. 2, comma 7), che i requisiti prescritti devono essere posseduti alla data di scadenza del termine stabilito nel bando di concorso per la presentazione della domanda di ammissione.

27. La possibilità di prescrivere ulteriori requisiti di ammissione è prevista dal D.P.R. n. 3 del 1957, art. 2, comma 3 (per l’ammissione “a particolari carriere”) e dall’art. 2, comma 2 (per l’ammissione “a particolari profili professionali di qualifica o categoria”).

28. Il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in materia di reclutamento del personale, all’art. 70, comma 13 richiama la disciplina prevista dal D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, art. 2, comma 3 e successive modificazioni ed integrazioni, “per le parti non incompatibili con quanto previsto dagli artt. 35 e 36 salvo che la materia venga regolata, in coerenza con i principi ivi previsti, nell’ambito dei rispettivi ordinamenti”.

29. Con riferimento al personale della scuola, il relativo testo unico (D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 402, comma 4) richiede “il possesso dei requisiti per l’ammissione ai concorsi di accesso agli impieghi civili dello Stato” e precisa che essi devono essere posseduti “Alla data di scadenza dei termini di presentazione della domanda”.

30. Il D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223 (Approvazione del testo unico delle leggi per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali), nel testo applicabile ratione temporis (il bando dedotto in giudizio è stato pubblicato il 19 marzo 2010, controricorso pg 3 2 capv), prevede che “Non sono elettori: b) coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, alle misure di prevenzione di cui alla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 3 come da ultimo modificato dalla L. 3 agosto 1988, n. 327, art. 4 finchè durano gli effetti dei provvedimenti stessi; c) coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, a misure di sicurezza detentive o alla libertà vigilata o al divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province, a norma dell’art. 215 c.p., finchè durano gli effetti dei provvedimenti stessi; d) i condannati a pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici; e) coloro che sono sottoposti all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata. 2. Le sentenze penali producono la perdita del diritto elettorale solo quando sono passate in giudicato. La sospensione condizionale della pena non ha effetto ai fini della privazione del diritto di elettorato”.

31. La L. 18 gennaio 1992, n. 16, alla quale fa riferimento l’art. 7.1, lett. c) e art. 7.3, lett. d) del bando della procedura concorsuale alla quale ha partecipato il ricorrente (riprodotto nel ricorso, pgg. 9-11; controricorso pgg.4-5), prevede, per quanto rileva nella presente controversia, che “Non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e, non possono comunque ricoprire le cariche di presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale, presidente della giunta provinciale, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui alla L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 23 amministratore e componente degli organi comunque denominati delle unità sanitarie locali, presidente e componente degli organi esecutivi delle comunità montane: a) coloro che hanno riportato condanna, anche non definitiva, per un delitto di cui all’art. 73 citato testo unico (si tratta del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ndr.), concernente la produzione o il traffico di dette sostanze…coloro che, per lo stesso fatto, sono stati condannati con sentenza definitiva o con sentenza di primo grado, confermata in appello, ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo”.

32. Il contenuto di tale disposizione, a seguito dell’abrogazione della L. n. 16 del 1992, ad opera del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il testo unico delle disposizioni relative all’ordinamento degli enti locali, è stato riprodotto nel citato D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 58 e 59 (applicabili ratione temporis alla vicenda dedotta in giudizio), e l’art. 275 medesimo decreto stabilisce espressamente che, salvo diverse disposizioni del decreto medesimo e fuori dei casi di abrogazione per incompatibilità, qualora legge regolamenti o altre norme facciano riferimento a “disposizioni espressamente abrogate dagli articoli contenuti nel presente capo, il riferimento si intende alle corrispondenti disposizioni del presente testo unico, come riportate da ciascun articolo”.

33. A tali disposizioni deve, pertanto, deve essere inteso il riferimento (rinvio recettizio ovvero fisso) operato dall’art. 7.1 e 7.3. del bando dedotto in giudizio alla L. n. 16 del 1992 al fine di individuare la specifica ipotesi fattuale che escludeva la ammissione al concorso.

34. Va rilevato che è indiscusso tra le parti (ricorso pg. 1 e 2, controricorso, pg. 2) che il G., con provvedimento del 7 febbraio 2011, è stato dichiarato decaduto dalla graduatoria provinciale approvata con DD del 18.10.2010 ed è stato conseguentemente licenziato perchè era risultato accertato che con sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria, passata in giudicato il 20 marzo 2004, era stato condannato, per i reati di cessione e detenzione di sostanze stupefacenti D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ex art. 73, comma 5, alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa e sottoposto alla interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni.

35. La difesa dell’odierno ricorrente, sviluppata nei giudizi di merito poggia, essenzialmente, sull’assunto della illegittimità del bando di concorso nella parte in cui ha previsto i requisiti di accesso all’impiego richiamando la normativa in materia di elettorato passivo negli Enti locali (come detto, la L. n. 16 del 1992) laddove le disposizioni dettate dal D.P.R. n. 3 del 1957 e D.P.R. n. 487 del 1994 fanno riferimento alle sole norme sull’elettorato attivo (si tratta di quelle contenute nel D.P.R. n. 223 del 1967).

36. Questa tesi difensiva è riproposta a fondamento delle censure (primo motivo del ricorso) che addebitano alla Corte territoriale di avere errato nell’escludere la disapplicazione del bando e nell’affermare che le Pubbliche Amministrazioni possono integrare i cd. requisiti minimi di partecipazione di cui ai citati D.P.R. n. 1957 e del 1994 prevedendone altri, diversi ed ulteriori, in relazione a particolari categorie di lavoratori.

37. La questione giuridica dedotta in giudizio attiene, quindi, in primo luogo, alla legittimità della scelta della Pubblica Amministraziorge di inserire nel bando di concorso finalizzato al reclutamento del personale ATA, tra i requisiti generali di ammissione al concorso quelli previsti dalla L. n. 16 del 1992 (successivamente D.Lgs. n. 267 del 200, art. 58 cfr. punto n. 30 di questa sentenza) e alla eventuale disapplicazione delle clausole del bando nelle quali tale scelta si è espressa.

38. Il Collegio ritiene che, diversamente da quanto opina il ricorrente, l’introduzione tra i requisiti di partecipazione al concorso anche di quello della insussistenza delle condizioni ostative previste dalla L. n. 16 del 1992 (poi D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 58) rientra nella discrezionalità della pubblica amministrazione.

39. Ciò perchè essa corrisponde ad un’esigenza di difesa avanzata dell’Amministrazione che, alla luce delle esigenze peculiari di determinati impieghi pubblici, può legittimamente individuare circostanze ritenute ostative alla ammissione alla procedura concorsuale, e alla successiva assunzione, del candidato in ragione del danno che esse paiono suscettibili di arrecare all’interesse pubblico (Cons. Stato, n. 3542 del 2016, Cons. Stato n. 2181 del 2013).

40. Siffatta scelta nella fattispecie in esame, lungi dall’essere irragionevole o macroscopicamente contraria ai principi dell’ordinamento, risponde alle esigenze proprie di un settore, quale è quello scolastico, che presiede alla funzione educativa e che è connotato da un ordinamento che poggia sull’elevato grado di affidamento richiesto dalla specificità delle mansioni proprie delle categorie del personale dipendente (personale docente e personale ATA) e che anche nell’ambito della disciplina negoziale collettiva richiama il D.Lgs. n. 297 del 2001, art. 58 (art. 95 del CCNL Comparto Scuola del 29.11.2007).

41. E’, quindi, infondato l’assunto difensivo secondo cui il requisito aggiuntivo richiesto dal bando non trovi fondamento in una specifica norma di carattere generale propria dell’ordinamento del personale scolastica, posto che è proprio l’assetto normativo ordinamentale complessivo del personale scolastico a consentire l’esercizio della facoltà concessa alle pubbliche Amministrazioni di prescrivere ulteriori requisiti di ammissione rispetto a quelli “minimi” o di carattere generale previsti dal D.P.R. n. 3 del 1957, art. 2, comma 3 e dal D.P.R. n. 487 del 1994, art. 2, comma 2 facoltà, come detto, attribuita da entrambi i compendi normativi, richiamati dal D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 402, comma 4 per l’ammissione a particolari carriere, ovvero per l’ammissione a particolari profili professionali di qualifica o categoria.

42. E’, del pari, infondata la prospettazione difensiva del ricorrente (primo motivo) che, muovendo dal potere di annullamento delle clausole illegittime del bando da parte della P.A. in sede di autotutela, mira ad affermare che di fatto tanto sarebbe accaduto nella vicenda dedotta in giudizio a seguito della ammissione al concorso di esso ricorrente “pur nella conclamata mancanza dei requisiti previsti dal bando (il sig. G. aveva dichiarato l’esistenza della condanna…)”.

43. E’ innegabile che l’Amministrazione ha l’obbligo di verificare tempestivamente la sussistenza dei requisiti di ammissione al concorso e, comunque, di concludere il procedimento di verifica prima dell’immissione in ruolo.

44. Nondimeno, la patologica inversione procedimentale, che sovente si sostanzia nella prassi della verifica postuma all’ammissione al concorso e anche all’immissione in ruolo, può eventualmente rilevare a fini risarcitori, se sussistono i presupposti dell’azione di danno, ove il candidato abbia fatto affidamento sul comportamento della Amministrazione (Cass. Sez. Un. 8236/2020) ma non vale certo ad escludere rilievo, ai fini della assunzione e del successivo svolgimento del rapporto di lavoro, alla mancanza dei requisiti di ammissione alla procedura concorsuale.

45. Non vi è dubbio che, a partire dalla conclusione del contratto, la Pubblica Amministrazione non eserciti più poteri di carattere autoritativo, ma agisca con le capacità proprie del datore di lavoro privato, sicchè non può far valere la mancanza o il vizio della procedura concorsuale attraverso lo strumento tecnico-giuridico dell’autotutela.

46. Ciò, però, non significa che le norme inderogabili di legge che disciplinano le modalità e le forme del reclutamento non condizionino la validità del contratto concluso, bensì solo che, definita la fase concorsuale ed individuato sulla base della graduatoria il destinatario della proposta di assunzione, il vizio del negozio deve essere necessariamente ricondotto ad una delle categorie note al diritto civile ed assoggettato alla relativa disciplina.

47. Muovendo da detta premessa questa Corte hà da tempo affermato che l’erronea autoqualificazione dei potere in termini di autotutela non comporta che per ciò solo l’agire dell’ente debba integrare inadempimento, perchè il datore di lavoro pubblico è sempre tenuto al rispetto della legalità ed a conformare la propria condotta ai precetti inderogabili di legge, con la conseguenza che il giudice ordinario ben può diversamente qualificare l’atto adottato, ritenendolo illegittimo solo qualora riscontri l’insussistenza del vizio fatto valere dalla P.A. (Cass. n. 25761 del 2008).

48. E’ stato, pertanto, affermato, e deve essere qui ribadito, che l’atto con il quale l’amministrazione revochi un’assunzione o un incarico a seguito dell’annullamento della procedura concorsuale o dell’inosservanza dell’ordine di graduatoria “equivale alla condotta del contraente che non osservi il contratto stipulato ritenendolo inefficace perchè affetto da nullità, trattandosi di un comportamento con cui si fa valere l’assenza di un vincolo contrattuale” (Cass. n. 17128 del 2019, Cass. n 11951 del 2019, Cass. n. 194 del 2019, Cass. n. 7054 del 2018, Cass. n. 13800 del 2017, Cass. n. 19626 del 2015, Cass. n. 8328 del 2010).

49. Quanto al rapporto fra procedura concorsuale e contratto di impiego è stato evidenziato che gli atti principali della procedura presentano una duplicità di natura giuridica, poichè il bando e la graduatoria finale, pur inserendosi nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, hanno anche la natura sostanziale, rispettivamente, di proposta al pubblico e di atto di individuazione del futuro contraente (Cass. sez. Un. 16728 del 2012, Cass. Sez. Un. 4648 del 2010, Cass. Sez. Un. 8951 del 2007).

50. Da tali principi è stata tratta la conseguenza che la procedura concorsuale costituisce l’atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validità, sicchè, sia l’assenza sia l’illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35 attuativo del principio costituzionale affermato dall’art. 97 Cost., comma 4 (Cass. n. 11951 del 2019, Cass. n. 34557 del 2019, Cass. 13800 del 2017, che ha ritenuto che nel settore scolastico fossero affetti da nullità i contratti stipulati in violazione delle norme speciali che disciplinano le modalità di reclutamento; Cass. 13884 del 2016).

51. E’ stato osservato al riguardo (tra le molte, Cass. 11951 del 2019) che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 ha sempre previsto, nelle diverse versioni succedutesi nel tempo, che “in ogni caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni ” e che la norma, per come formulata, ha una portata generale che va oltre il più ristretto ambito di applicazione indicato dalla rubrica dell’articolo ed è idonea ad attrarre nella sfera della nullità anche il mancato rispetto delle procedure imposte per le assunzioni a tempo indeterminato dall’art. 35 cit. decreto.

52. E’ stato, inoltre, evidenziato che la disposizione ricalca esattamente la formulazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 36, comma 8 come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 22 che disciplinava tutte le forme di reclutamento del personale, anche le assunzioni a tempo indeterminato, e non a caso il legislatore, ogniqualvolta ha qualificato il vizio del rapporto di impiego derivato dalla violazione delle norme inderogabili che disciplinano forme e requisiti per l’assunzione, si è espresso per la nullità della nomina o del vincolo contrattuale (D.P.R. n. 3 del 1957, art. 3, L. n. 448 del 2011, art. 19, L. n. 111 del 2011, art. 15), nullità che è stata ravvisata anche in presenza di operazioni concorsuali espletate in forza di norma di legge dichiarata poi incostituzionale (L. n. 111 del 2011, art. 16);

53. Occorre, poi, aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nell’individuare i casi in cui la violazione di norme inderogabili rende nullo il contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, pur ribadendo la tradizionale distinzione tra norme di ‘comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto, hanno precisato che a quest’ultima tipologia vanno attratte non solo quelle disposizioni che si riferiscono alla struttura ed al contenuto del regolamento negoziale ma anche quelle che “in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come è il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalla legge, o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto, e simili. Se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni – se così può dirsi – ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo.” (Cass. S.U. n. 26724 del 2007).

54. Deve, pertanto, ribadirsi che la regola che impone l’individuazione del contraente sulla base di una graduatoria formulata all’esito della procedura concorsuale nel rispetto dei criteri imposti dalla legge e dal bando, seppure non direttamente attinente al contenuto delle obbligazioni contrattuali, si riflette necessariamente, per quanto sopra detto, sulla validità del negozio, perchè individua un requisito che deve imprescindibilmente sussistere in capo al contraente, di talchè, ove si consentisse lo svolgimento del rapporto con soggetto privo del requisito in parola, si finirebbe per porre nel nulla la norma inderogabile, posta a tutela di interessi pubblici alla cui realizzazione, secondo il Costituente, deve essere costantemente orientata l’azione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici;

55. A fronte di detti plurimi argomenti, testuali e sistematici, questa Corte (di recente, Cass. n. 17128 del 2019, 11951/2019) ha ritenuto infondata la tesi che riconduce il vizio all’annullabilità e non alla nullità e che a tal fine fa leva sul tenore letterale del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 2, seconda parte, secondo cui le sentenze con le quali il giudice riconosce “il diritto all’assunzione, ovvero accerta che l’assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro”.

56. Tanto sul rilievo che l’art. 63, comma 2, prima parte, prevede, in via generale, il potere del giudice ordinario di adottare tutti i provvedimenti richiesti dalla natura dei diritti tutelati e tale principio non è certamente derogato, ma soltanto esplicitato, dalla seconda parte di esso, sicchè, per quanto la norma sembri evocare un effetto costitutivo della pronuncia, come tale incompatibile con la natura dichiarativa dell’accertamento della nullità, tuttavia è proprio l’automatica derivazione della “estinzione” dall’accertamento della violazione delle norme inerenti l’assunzione che finisce per smentire la riconducibilità del vizio all’azione di annullamento, confermando che appunto di nullità si tratta, perchè solo quest’ultima può operare d’ufficio e per il solo fatto dell’accertata violazione della norma inderogabile, richiedendo l’annullamento per errore ulteriori presupposti (la domanda della parte legittimata e, soprattutto, la riconoscibilità dell’errore), dai quali, invece, il legislatore ha voluto prescindere nel prevedere un’automatica incidenza della pronuncia sulle sorti del rapporto.

57. Non è, poi, privo di rilievo osservare che la disposizione, per il suo carattere generale, si riferisce a tutte le assunzioni, anche a quelle per le quali il D.Lgs. n. 165 del 2001 o le norme speciali prevedono nullità testuali, sicchè della stessa deve essere fornita un’interpretazione che la renda coerente con i principi generali richiamati nei punti che precedono.

58. Dalle considerazioni sopra esposte discende l’infondatezza delle censure formulate nel secondo motivo.

59. Va precisato che, diversamente da quanto opina il ricorrente, la Corte territoriale, lungi dall’affermare che la norma imperativa determinante la nullità del contratto di lavoro era costituita dalla regola sui requisiti di partecipazione contenuta nel bando di concorso, ha affermato che la nullità del contratto conseguiva all’assenza di una valida procedura concorsuale a causa dell’avvenuto inserimento nella graduatoria di un candidato (il G.) privo dei requisiti per partecipare al concorso e, dunque, a causa della violazione del principio di cui all’art. 97 Cost., che impone il superamento di un pubblico concorso per l’accesso agli impieghi nella pubblica amministrazione e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35 che costituisce attuazione concreta del precetto costituzionale.

60. Essa, quindi, ha fatto corretta applicazione dei principi innanzi richiamati alla fattispecie dedotta in giudizio che si connota per il fatto che il contratto di assunzione è stato stipulato con un soggetto privo dei requisiti necessari previsti dal bando di concorso.

61. Come detto, infatti, il ricorrente con sentenza passata in giudicato il 20 marzo 2004, era stato condannato, per i reati di cessione e detenzione di sostanze stupefacenti D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ex art. 73, comma 5, alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa e sottoposto alla interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni.

62. Le osservazioni innanzi svolte (pp. Nn. da 45 a 60 di questa sentenza) assumono carattere assorbente rispetto alla questione (primo motivo del ricorso) della possibilità da parte del giudice ordinario di disapplicare il bando di concorso non impugnato dal ricorrente. Come già evidenziato, nella controversia in esame la P.A. dichiarando la risoluzione del rapporto di lavoro ha fatto valere la nullità del rapporto per mancanza in capo al ricorrente dei requisiti richiesti dal bando.

63. In conclusione, il ricorso va rigettato.

64. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

65. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

LA CORTE

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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