Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4056 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2021, n.4056

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 80-2019 proposto da:

F.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANGELO EMO,

147, presso lo studio dell’avvocato ALDO SIPALA, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ALDO SCHIAVI;

– ricorrente –

contro

TERME POMPEO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI, 72,

presso lo studio dell’avvocato SIGISMONDO MEYER VON SCHAUENSEE, che

la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2519/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/06/2018 R.G.N. 4061/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/11/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato EMMA TOSI, per delega verbale Avvocato SIGISMONDO

MEYER VON SCHAUENSEE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2519/2018, pronunciando sugli appelli riuniti avverso la sentenza definitiva n. 369/2016 emessa dal Tribunale di Frosinone, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da Terme Pompeo s.r.l., ha condannato la stessa società al pagamento, in favore dell’appellante incidentale F.L., a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate dal 17.9.2008 sino al 24.1.2014, oltre accessori ex art. 429 c.p.c., previa detrazione dell’aliunde perceptum, rappresentato da tutte le retribuzioni percepite dal F. quale insegnante di educazione fisica presso scuole pubbliche nel medesimo periodo. Ha rigettato nel resto l’appello principale della Terme Pompeo s.r.l. e integralmente l’appello incidentale del F..

2. La sentenza ha riferito, per quanto ancora qui rileva:

– che il ricorso in appello depositato da Terme Pompeo s.r.l. aveva ad oggetto la sentenza con cui il Tribunale di Frosinone aveva dichiarato inefficace il licenziamento intimato il 31.5.2008 al F. con ordine di riammissione in servizio e aveva condannato la società al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni spettanti dal 17.9.2008 fino all’effettiva reintegra;

– che, con precedente sentenza, la Corte di appello di Roma, chiamata a decidere sull’immediata impugnazione della sentenza non definitiva, aveva dichiarato la nullità del contratto a progetto concluso tra le parti in data 14.10.2006 e la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dalla stessa data;

– che il risarcimento del danno doveva essere riconosciuto fino al 24.1.2014, data in cui la società aveva invitato senza esito il F. a riprendere servizio, e che la sua liquidazione, per il periodo dal 17.9.2008 al 24.1.2014, era da parametrare alle retribuzioni perdute con detrazione dell’aliunde perceptum, eccepito dalla società sin dal primo grado e rappresentato da quanto percepito dal F. nello stesso periodo quale insegnate di educazione fisica presso scuole pubbliche;

– che “l’attività svolta dal F. in favore della società è comunque incompatibile con quella di dipendente pubblico ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53”;

– che non poteva essere accolta la domanda restitutoria dalla società, non potendosi conoscere l’ammontare del residuo credito del F.;

– che era corretto utilizzare, come aveva fatto il primo giudice, il CCNL di settore come riferimento parametrico della retribuzione adeguata ex art. 36 Cost., con conseguente esclusione di alcune voci rivendicate dal F..

3. Per la cassazione di tale sentenza F.L. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui ha resistito la Terme Pompeo con controricorso.

4. Il ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) nella parte in cui la Corte di appello, in violazione dell’art. 437 c.p.c., ha ritenuto ammissibile l’eccezione di aliunde perceptum, specificata solo in appello, poichè in primo grado era stata formulata un’eccezione generica di attività svolta presso una scuola pubblica.

2. Il motivo è infondato.

3. Il c.d. aliunde perceptum, non costituendo oggetto di eccezione in senso stretto, è rilevabile d’ufficio dal giudice se le relative circostanze di fatto risultano ritualmente acquisite al processo (Cass. n. 30330 del 2019, n. 18093 del 2013 e n. 26828 del 2013). Tenuto conto, dunque, della sua natura di eccezione in senso lato, l’eccezione di detrazione dell’aliunde perceptum non è subordinata alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (Cass. S.U. 10531 del 2013, conf. Cass. n. 4548 del 2014, n. 27998 del 2018).

4. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e/o omesso esame di fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere la Corte di appello ritenuto detraibili, dal risarcimento del danno dovuto per il periodo dal 17.9.2008 al 24.1.2014, le retribuzioni percepite quale dipendente pubblico.

Sostiene il ricorrente che si detrae, dal risarcimento del danno parametrato alle retribuzioni perdute per l’inadempimento datoriale, quanto il lavoratore abbia guadagnato altrove utilizzando il tempo reso libero dal licenziamento secondo il principio della compensatio lucri cum damno. Tuttavia, la compensazione trova applicazione solo se, e nei limiti in cui, sia il danno che l’incremento patrimoniale o comunque il vantaggio siano conseguenza immediata e diretta dallo stesso fatto, il quale abbia in sè l’idoneità a produrre entrambi gli effetti. In altri termini, la riduzione del risarcimento opera solo se e nei limiti in cui quel lavoro sia temporalmente incompatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa dal licenziamento. Tale ipotesi non ricorre nel caso in cui l’altro lavoro, produttivo di reddito, opposto in compensazione, sia temporalmente compatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa. Sulla base di tali argomenti, sostiene che nel periodo 2006/2008 del contratto di lavoro a progetto, solo ex post ritenuto di lavoro subordinato per effetto del riconoscimento giudiziale, la prestazione lavorativa era stata resa in modo temporalmente compatibile con quella di lavoro a termine resa in favore della pubblica amministrazione.

Con altro ordine di considerazioni sostiene il ricorrente che il divieto posto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 (di svolgimento di altra attività lavorativa, non previamente autorizzata, da parte di un dipendente pubblico) è posto nell’interesse della Pubblica Amministrazione e la relativa violazione, pur potendo causare sanzioni disciplinari, non può esimere il datore di lavoro privato dalle conseguenze giuridiche che abbia causato con il proprio inadempimento.

5. Il motivo è inammissibile.

6. In questa sede, in cui si discute del risarcimento del danno relativo al periodo successivo alla cessazione della prestazione lavorativa svolta dal F. a favore di Terme Pompeo, la questione riguardante la presunta compatibilità nel periodo pregresso tra prestazione di lavoro a progetto e quella che il F. assume di avere reso quale dipendente pubblico nello stesso periodo suppone che il tema (compatibilità del lavoro a progetto e rapporto di lavoro pubblico reso nello stesso periodo) fosse stato già introdotto e trattato in giudizio, mentre nulla risulta dalla sentenza impugnata e quindi la questione è nuova e inammissibile in questa sede. Ne consegue che, non essendovi accertamento in sede di merito circa il presupposto posto a base dell’argomento addotto, nessuna conseguenza può trarsi, neppure a livello presuntivo, circa la non operatività della compensazione per essere distinti il danno prodotto dall’inadempimento datoriale e l’incremento patrimoniale derivante dalla percezione di un’altra retribuzione, in questo caso riferibile ad un rapporto di lavoro pubblico.

7. Trova così applicazione il principio generale per cui le erogazioni patrimoniali commisurate alle mancate retribuzioni, cui è obbligato il datore di lavoro che non proceda al ripristino del rapporto lavorativo, qualificate come risarcitorie, consentono la detraibilità dell’aliunde perceptum che il lavoratore possa avere conseguito svolgendo una qualsiasi attività lucrativa e in tale ambito non può non rientrare la percezione delle retribuzioni di cui si discute.

8. Il riferimento fatto dalla Corte di appello alla incompatibilità di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 è da intendere quale argomento logico-giuridico per cui, in difetto di prova contraria, ossia dell’esistenza di situazioni di deroga o di autorizzazione atte a legittimare la prestazione di lavoro privato in capo ad un dipendente pubblico, l’incompatibilità tra i due impieghi è presunta ex lege, in applicazione della regola generale dell’esclusività del servizio pubblico.

9. In relazione a tale passaggio motivazionale il ricorso è del pari inammissibile, poichè non pertinente al decisum.

10.Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217 e 1223 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e omesso esame di fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Si assume che la detraibilità dell’aliunde perceptum potrebbe riconoscersi solo per il periodo compreso tra la data da cui il giudice di primo grado ha fatto decorrere il risarcimento (1.9.2008) alla data di pubblicazione del dispositivo della sentenza parziale del medesimo Tribunale (21.12.2010), poichè le retribuzioni maturate successivamente a tale data – e precisamente quelle maturate dall’offerta della prestazione lavorativa del 29.12.2010, ribadita il 7.2.2011 – hanno natura retributiva e non risarcitoria, attenendo all’adempimento dell’obbligazione nascente dal sinallagma contrattuale.

11. Anche tale motivo è inammissibile.

12. Come risulta dalla sentenza impugnata, già la sentenza di primo grado aveva statuito che la condanna della società era a titolo risarcitorio per tutto il periodo corrente dal settembre 2008 fino alla data della reintegrazione in servizio. Non risulta dalla sentenza di appello che fosse stata devoluta in sede di gravame dal F. alcuna questione vertente sul titolo della condanna e neppure sul mutamento del titolo (da risarcitorio a retributivo) successivamente alla pubblicazione del dispositivo della sentenza parziale del 21.12.2010. In conclusione, vi è giudicato interno sulla natura risarcitoria delle retribuzioni riconosciute anche dopo la sentenza parziale del 21.12.2010 e fino al 24.1.2014.

13. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

14. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019 e n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.250,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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