Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4055 del 12/02/2019

Cassazione civile sez. trib., 12/02/2019, (ud. 16/01/2019, dep. 12/02/2019), n.4055

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20920-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

E.B.B., in qualità di unica erede di

S.G., C.F., elettivamente domiciliata in ROMA V.LE DELLE

MILIZIE 76, presso lo studio dell’avvocato EMANUELA GARAVELLI,

rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO VENTURI giusta delega

a margine;

B.C., elettivamente domiciliata in ROMA VIA CASSIODORO 55,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO VENTURI, che la rappresenta

e difende giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 23/2013 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA,

depositata il 05/02/2013;

udita la relazione della causa svelta nella pubblica udienza del

16/01/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO MONDINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per ili ricorrente l’Avvocato CAMASSA che si riporta e chiede

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato VENTURI che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI DELLA CAUSA

1. La controversia vertente tra la Agenzia delle Entrate, da un lato, B.C., E.B.B., erede di S.G., e C.F., dall’altro, concerne la legittimità, negata dalla commissione tributarla regionale dell’Umbria con la sentenza n. 23/3/13, depositata il 5 febbraio 2013, dell’avviso di liquidazione emesso dalla Agenzia, in rettifica, ai fini dell’imposta di registro, del valore imponibile (di un immobile ad uso ufficio e, per quanto ancora interessa,) di un immobile ad uso abitativo, con rendita catastale non definitivamente attribuita ma solo proposta tramite la procedura di cui al D.M. 19 aprile 1994, n. 701, (procedura DOCFA), venduto dalla B. al S. con atto del (OMISSIS), ai rogiti del notaio C., nel quale le parti avevano dichiarato di volersi avvalere del regime di cui alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, ma non avevano dichiarato altresì -come, secondo l’amministrazione, avrebbero dovuto fare e come, invece, secondo la commissione, in base ad una interpretazione di buona fede del contratto di compravendita, doveva intendersi avessero fatto per implicito laddove avevano indicato la rendita catastale ed avevano manifestato la volontà che l’imposta venisse applicata secondo la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497-, di voler avvalersi del regime di cui al D.L. n. 70 del 1988, art. 12, comma 1, primo periodo, convertito dalla L. n. 154 del 1988, come richiesto dal comma 2-bis, inserito nello stesso D.L. 26 giugno 1996, n. 323, art. 12.

2. L’Agenzia ricorre per la cassazione della sentenza della commissione tributaria regionale lamentando, in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.L. n. 70 del 1988, art. 12, comma 1 e comma 2-bis, convertito dalla L. n. 154 del 1988, art. 1, comma 497, della L. n. 266 del 2005, anche in rapporto del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, art. 1362 c.c. e L. n. 212 del 2000, art. 10.

3. B.C. e E.B.B. hanno depositato controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.

4. C.F. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è fondato:

1.1. la L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 497, in vigore dal 1 gennaio 2006, ha introdotto, ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, “per le sole cessioni fra persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze”, il regime del c.d. prezzo-valore in forza del quale, a richiesta dell’acquirente, la base imponibile è costituita dal valore dell’immobile, determinato, in deroga al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 43, ed “indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell’atto”, ai sensi del predetto D.P.R., art. 52, commi 4 e 5, ossia in un multiplo della rendita catastale definitivamente attribuita all’immobile medesimo, senza possibilità di rettifica da parte della amministrazione;

1.2. Il D.L. n. 70 del 1988, art. 12, comma 2 bis, riconosce la possibilità di avvalersi del regime di valutazione secondo il valore catastale anche per gli immobili privi di rendita e per gli immobili – come quello oggetto del contratto tra la B. e il S.- con rendita catastale non definitivamente attribuita ma solo proposta con la procedura di cui al D.M. 19 aprile 1994, n. 701 (procedura DOCFA);

1.3. La norma subordina questa facoltà alla “condizione che il contribuente dichiari nell’atto di volersi avvalere delle Disp. del presente art.” 12;

1.4. La tesi dei giudici di appello – secondo cui la circostanza che nel contratto è stata indicata la rendita catastale dell’immobile, è stato indicato un prezzo notevolmente superiore al valore catastale, è stata chiesta l’applicazione dell’art. 1, comma 497, cit., se valutata alla stregua del principio di buona fede e tenendo conto del comportamento assunto dai contraenti dopo la stipula (comportamento consistito nella corresponsione dell’imposta sulla base del valore catastale), induce a ritenere che le parti, pur se per implicito, abbiano chiesto l’applicazione del D.L. n. 70 del 1988, art. 12 -, non solo e non tanto trascura i diversi presupposti tra il regime dell’art. 1, comma 497, (relativo alle sole cessioni fra persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, iscritti in catasto con attribuzione definitiva di rendita) e l’art. 12, comma 2-bis, (relativo ad unità immobiliari urbane, denunciate in catasto con procedura DOCFA e attribuzione provvisoria di rendita), ma contrasta con il dettato normativo evocato dalla Agenzia delle Entrate nel motivo di ricorso e segnatamente con la lettera del cit. D.L., art. 12, comma 2 bis, come già evidenziato, subordina l’avvalimento del regime di cui trattasi alla condizione che il contribuente “dichiari nell’atto di volersi avvalere delle Disp. del presente art.”;

1.5. la lettera della legge impone quindi una richiesta specificamente riferita all’art. 12 e comporta, come questa Corte ha già puntualizzato con affermazione riferita all’art. 12, comma 1, ma riferibile anche al comma 2-bis (per identità di formulazione tra i due commi), “che la richiesta del beneficio debba essere esplicita, non essendo perciò idonea alcuna istanza implicita” (Cass. n. 17704/2009).

2. Il ricorso va dunque accolto.

3. La sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendovi accertamenti in fatto da svolgere, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con rigetto degli iniziali ricorsi dei contribuenti anche per quanto riguarda la rettifica dell’immobile ad uso abitativo di cui trattasi.

4. Le spese dell’intero giudizio devono essere compensate in mancanza dì giurisprudenza specificamente sul punto controverso.

PQM

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta gli iniziali ricorsi dei contribuenti anche per quanto riguarda la rettifica dell’immobile ad uso abitativo di cui trattasi;

compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2019

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