Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4053 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 16/02/2021), n.4053

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7955-2015 proposto da:

SCHNEIDER ELECTRIC INDUSTRIE ITALIA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI SALLUSTRI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI,

CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA SUD S.P.A., – DIREZIONE REGIONALE DELLA CAMPANIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 726/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/03/2014 R.G.N. 7405/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/11/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata l’11.3.2014, la Corte d’appello di Napoli, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta da Schneider Electric Industrie s.p.a. avverso la cartella esattoriale con cui le era stato ingiunto di pagare all’INPS contributi omessi per sgravi indebitamenti fruiti in relazione alla stipula di contratti di formazione e lavoro;

che avverso tale pronuncia Schneider Electric Industrie s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura, successivamente illustrati con memoria, mentre la società concessionaria dei servizi di riscossione è rimasta intimata;

che l’INPS ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della decisione della Commissione Europea dell’11.5.1999, dei Regolamenti CE nn. 69/2001 e 1998/2006, relativi all’attuazione degli artt. 87 e 88 Tr. CEE in tema di aiuti di importanza minore, ed altresì dell’art. 2697 c.c., artt. 414,416,433,214 e 215 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto, da un lato, che la disciplina degli aiuti c.d. de minimis non potesse applicarsi alla fattispecie delle agevolazioni contributive previste in materia di contratti di formazione e lavoro e, dall’altro, che la dichiarazione di parte rassegnata in seno alla CTU svolta in primo grado e concernente la sussistenza delle condizioni per l’applicazione della regola de minimis non potesse avere alcun valore probatorio;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per non avere la Corte territoriale considerato che la CTU svolta in prime cure aveva comunque accertato che il suo obbligo di restituzione concerneva non già l’intero importo esposto nella cartella, bensì la minor somma di Euro 31.218,00, oltre accessori, che il giudice di prime cure aveva ritenuto non dovuta in applicazione della regola de minimis;

che il primo motivo difetta d’interesse nella parte in cui imputa ai giudici territoriali un’errata interpretazione del punto 7 del Preambolo al Regolamento CE n. 69/2001, cit., secondo cui la regola c.d. de minimis non sarebbe applicabile alle agevolazioni contributive relative alla stipula di contratti di formazione e lavoro, avendo comunque la sentenza impugnata fatto applicazione del principio di diritto costantemente affermato da questa Corte in virtù del quale “la sussistenza delle specifiche condizioni concretizzanti l’applicabilità di tale regola costituisc(e) elemento costitutivo del diritto a beneficiare dello sgravio contributivo e, come tale (…), deve essere provato dal soggetto beneficiario” (così la sentenza impugnata, pag. 5), reputando che all’uopo non potesse giovare “la dichiarazione del febbraio 2009 allegata alla CTU di primo grado”, in quanto “mera dichiarazione di parte non suffragata da alcuna allegazione nè, tantomeno, elemento probatorio” (ibid., pag. 6);

che, nel resto, il motivo è infondato, atteso che, nel processo del lavoro, la rilevanza probatoria di una dichiarazione di parte (quale, nella specie, quella di non aver beneficiato nei tre anni precedenti a partire dal 1.1.1997 di alcuna delle agevolazioni, di qualsiasi fonte pubblica, in regime de minimis, e di aver fruito successivamente di agevolazioni nella misura indicata nella dichiarazione cit., siccome trascritta a pagg. 7-8 del ricorso per cassazione) è confinata al suo possibile valore confessorio ovvero alla sua attitudine, unitamente all’altrui non contestazione o ammissione, ad espungere i fatti che ne sono oggetto dal thema probandum, restando altrimenti escluso che la parte possa derivare elementi di prova a proprio favore da proprie dichiarazioni (così, tra le tante, Cass. n. 17358 del 2010);

che, nel caso di specie, affatto priva di rilievo deve ritenersi la circostanza che l’INPS non abbia contestato l’anzidetta dichiarazione, essendosi precisato che l’onere di contestazione, che peraltro sussiste solo rispetto a fatti che siano noti alla parte che se ne vuole onerata, presuppone altresì che la relativa allegazione sia stata compiuta negli atti introduttivi del giudizio, l’udienza ex art. 420 c.p.c., comma 1 costituendo, per ciò che concerne i fatti costitutivi del diritto, il terminus ad quem per attribuire rilevanza preclusiva alla non contestazione (così Cass. S.U. n. 761 del 2002 e innumerevoli successive conformi), restando conseguentemente all’uopo irrilevanti eventuali allegazioni successive;

che a non diverse conclusioni induce l’art. 3, paragrafo 1, del Regolamento CE n. 69/2001 (il cui testo è stato sostanzialmente riprodotto nell’art. 3, paragrafi 1-2, del Regolamento CEn. 1998/2006), secondo cui “quando uno Stato membro concede un aiuto de minimis ad un’impresa, la informa della natura de minimis dell’aiuto stesso e si fa rilasciare dall’impresa informazioni esaurienti su eventuali altri aiuti de minimis dalla stessa ricevuti nei tre anni precedenti”, trattandosi di disposizione che concerne il rapporto tra amministrazioni ed enti pubblici, da un lato, e imprese, dall’altro lato, nell’ambito del procedimento amministrativo preordinato alla concessione dell’aiuto, ma che è ovviamente priva di rilievo in ambito processuale, dove la spettanza o meno dell’aiuto medesimo dev’essere decisa secondo le regole che presiedono alla formazione della prova;

che, con riguardo al secondo motivo, va premesso che secondo quanto è dato leggere sia nel ricorso per cassazione che nella sentenza impugnata – l’INPS appellò la pronuncia di prime cure solo in ordine all’applicazione della regola de minimis, senza contestare l’accertamento compiuto in primo grado in ordine alla misura degli aiuti da rimborsare dall’odierna parte ricorrente, di gran lunga inferiore rispetto a quanto era stato ingiunto con la cartella di pagamento oggetto di opposizione;

che, ciò posto, è evidente che i giudici territoriali, che accogliendo l’appello dell’Istituto hanno rigettato tout court l’opposizione, hanno violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, che in sede di gravame si riassume nel canone tantum devolutum quantum appellatum;

che, nondimeno, è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, ove nel ricorso per cassazione si denunci un error in procedendo (qual è certamente la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato oppure del principio del tantum devolutum quantum appellatum: così Cass. n. 15496 del 2007), pur non essendo indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di all’art. 360 c.p.c., n. 4, occorre pur sempre che il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla violazione denunciata, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (così Cass. S.U. n. 17913 del 2013);

che, nel caso di specie, avendo parte ricorrente prospettato sub specie di omesso esame di un fatto decisivo una doglianza concernente la violazione dell’art. 112 c.p.c. e non avendo denunciato la conseguente nullità della sentenza, non può che rilevarsi l’inammissibilità del motivo di censura; che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Istituto controricorrente, giusta il criterio della soccombenza;

che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore di parte controricorrente, che si liquidano in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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