Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4052 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 18/02/2011, (ud. 24/11/2010, dep. 18/02/2011), n.4052

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10127/2007 proposto da:

FONDAZIONE TEATRO DELL’OPERA DI ROMA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO

38, presso lo studio dell’avvocato GIACCHI Corrado, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2342/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/11/2006 R.G.N. 11252/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

24/11/2010 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato BRUNI ALESSANDRA; udito l’Avvocato GIACCHI CORRADO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 14/3/2006 la Corte d’Appello di Roma – sezione Lavoro respinse l’appello proposto dalla Fondazione Teatro dell’Opera di Roma avverso la decisione del giudice del lavoro del Tribunale di Roma del 18-25.9.2005, con la quale era stato dichiarato il diritto del dipendente N.A. ad essere inquadrato come Funzionario “B” in base al ccnl dei dipendenti degli enti lirici a decorrere dall’1/10/2000 ed era stata condannata, nel contempo, a corrispondergli le relative differenze retributive maturate nel periodo settembre 1999 – settembre 2000, unitamente alle spese del giudizio di secondo grado.

La Corte d’appello pervenne a tale convincimento sulla scorta della ritenuta apoditticità delle contestazioni mosse alla efficacia probatoria degli elementi documentali posti a base della decisione gravata, vale a dire le locandine delle opere teatrali allestite nel periodo settembre 1999 – marzo 2001 (documenti n. 15 e 16 del fascicolo di primo grado dell’appellato) comprovanti lo svolgimento, da parte del N., delle superiori mansioni di direttore di palcoscenico, nonchè le dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio in diverso procedimento giudiziario dal procuratore speciale del Teatro dell’Opera di Roma, dalle quali si evinceva l’assegnazione di queste ultime mansioni al medesimo dipendente.

Inoltre, la Corte territoriale rilevò che la mera riproposizione delle difese di primo grado non investiva in alcun modo i dati evincibili dall’avversa produzione documentale ed era, altresì, inammissibile nella parte in cui introduceva nuove circostanze di fatto che risultavano del tutto svincolate dall’impugnata decisione che, al contrario, poggiava su elementi probatori pretermessi dalla difesa dell’appellante.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Fondazione Teatro dell’Opera di Roma affidando l’impugnazione a due motivi di censura.

Resiste con controricorso N.A..

La ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo di censura la ricorrente denunzia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, assumendo che la Corte territoriale sarebbe incorsa in errore nel confondere il generico rinvio alle difese svolte in primo grado con le argomentazioni sviluppate in appello e coincidenti con quelle di prime cure, ma utilizzate nella sede del gravame al fine di sottoporre la sentenza impugnata a censura nell’ottica del più ampio effetto devolutivo. In pratica, attraverso tale censura la ricorrente intende attaccare la parte della motivazione del giudice d’appello con la quale fu rilevato che la mera riproposizione delle difese di primo grado non investiva in alcun modo i dati evincibili dall’avversa produzione documentale ed era, nel contempo, inammissibile nella parte in cui introduceva nuove circostanze di fatto risultate svincolate dall’impugnata decisione che poggiava, invece, su elementi probatori pretermessi dalla difesa dell’appellante.

Pertanto, la ricorrente formula il seguente questo di diritto: “Se violi gli artt. 342 e 434 c.p.c., in relazione alla esposizione specifica dei motivi di impugnazione, l’appellante che, a scopo di totale censura dell’impugnata sentenza, sottoponga la stessa a critica radicale e completa utilizzando argomentazioni incompatibili con quelle poste dal Giudice di primo grado a fondamento della sua decisione e sostanzialmente coincidenti con quelle utilizzate negli scritti difensivi di primo grado in assenza di un semplice richiamo “per relationem” ad essi”.

Osserva la Corte che tale motivo presenta profili di inammissibilità oltre che di infondatezza.

Anzitutto, non può sfuggire all’esame di questa Corte che il quesito, così come posto, presenta un profilo di inammissibilità perchè non tiene conto sia del principio che la valutazione della specificità dei motivi di gravame rientra in pieno nei compiti del giudice d’appello, compito che nella fattispecie è stato assolto con puntuale motivazione, sia del fatto che quest’ultimo valutò, comunque, gli elementi probatori che portarono all’accoglimento della domanda del lavoratore; in ogni caso, non è dato sapere dalla lettura del motivo sotteso al quesito quali furono nello specifico le censure mosse alla sentenza di primo grado, salvo il fatto che esse consistettero nella riproposizione delle argomentazioni svolte in prime cure.

Inoltre, la ricorrente finisce, in tal modo, per trascurare il dato di fondo essenziale rappresentato dal fatto che la Corte d’appello ritenne apodittiche te contestazioni mosse alla efficacia probatoria degli elementi posti a base della decisione gravata, vale a dire le locandine delle opere teatrali allestite nel periodo settembre 1999 – marzo 2001 (documenti n. 15 e 16 del fascicolo di primo grado dell’appellato) comprovanti lo svolgimento, da parte del N., delle superiori mansioni di direttore di palcoscenico, nonchè le dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio in un diverso procedimento giudiziario dal procuratore speciale del Teatro dell’Opera di Roma, dalle quali si evinceva che queste ultime mansioni erano state assegnate al medesimo dipendente. Inoltre, la Corte territoriale rilevò che la mera riproposizione delle difese di primo grado non incideva in alcun modo sui dati evincibili dall’avversa produzione documentale (fogli da 4 a 6 della memoria difensiva di primo grado e fogli da 6 ad 8 del ricorso d’appello) ed era, altresì, inammissibile nella parte in cui introduceva nuove circostanze di fatto (punti 1, 2 e 3, fogli 6-7 del ricorso d’appello) che risultavano del tutto svincolate dall’impugnata decisione che, al contrario, poggiava su elementi probatori pretermessi dalla difesa dell’appellante. Ebbene, dalla lettura del motivo non è data rinvenire alcuna censura specifica a tali argomentazioni della sentenza impugnata che per la loro indubbia valenza logico-giuridica sfuggono, di conseguenza, ai rilievi di legittimità.

2. Col secondo motivo la ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento alle reali mansioni lavorative svolte dal N..

In pratica, la ricorrente si duole, anzitutto, della omessa disamina dei rilievi svolti sulle caratteristiche che dovevano contraddistinguere la figura del Direttore di palcoscenico, non essendo soddisfacente la soluzione adottata dal primo giudice il quale aveva semplicemente desunto le mansioni di tale figura professionale dalle locandine delle opere prodotte in atti; inoltre, la ricorrente si lamenta della mancata ammissione in appello della prova testimoniale per la verifica della corrispondenza delle mansioni svolte dal N. a quelle rivendicate, nonchè della omessa motivazione su tale mancata ammissione del mezzo istruttorie apparendo insufficiente, a suo giudizio, il richiamo operato dal giudicante alla dichiarazione resa in altro giudizio dal procuratore speciale del Teatro dell’Opera.

Tale motivo è infondato.

Osserva, infatti, la Corte che i vizi motivazionali lamentati sono in realtà inesistenti, posto che il giudice d’appello indicò chiaramente, come sopra specificato, gli elementi documentali e logici sui quali poggiava la decisione di prime cure e rispetto ai quali considerò apodittiche le semplici affermazioni dell’appellante sulla presunta inidoneità del predetto materiale. Nemmeno risponde al vero che dalle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della Fondazione in altro procedimento non si evincevano elementi a supporto dell’ampiezza delle mansioni svolte dal N., dal momento che in sentenza è riportato il passaggio di tali frasi virgolettato.

Egualmente è a rilevarsi che il giudice d’appello si fece carico di accertare, alla luce del contratto collettivo di categoria e dell’Ordinamento funzionale dei servizi e del personale dipendente prodotti in atti, che i compiti della attribuita qualità all’ O., cioè quella di Direttore di scena, esorbitavano dall’inquadramento da lui posseduto del 1^ livello e rientravano in quello richiesto dei Funzionari “B”.

Quanto alla lamentata mancanza di ammissione della prova testimoniale e di motivazione su tale decisione si osserva che questa Corte (Cass. sez. lav. n. 2272 del 2/2/2007) ha già avuto modo di statuire che “il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse”.

in sostanza la decisione impugnata si basa su di un iter argomentativo logico-giuridico fondato su dati documentali e sulle dichiarazioni di una delle parti rese in altro giudizio, il tutto rapportato alle previsioni collettive ed ordinamentali di riferimento, per cui la stessa è assolutamente congrua ed è, pertanto, immune dalle censure mosse nella presente sede.

Il ricorso va, perciò, rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, di cui Euro 37,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorario, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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