Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4052 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2021, (ud. 28/10/2020, dep. 16/02/2021), n.4052

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9941-2016 proposto da:

S.G.P.L., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE TRIBULATO;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO AUTOSTRADE SICILIANE, ENTE PUBBLICO NON ECONOMICO, in

persona del legale rappresentante pro 2263 tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, LARGO BOCCEA 34, presso lo studio dell’avvocato

ANNA RITA FERA, rappresentato e difeso dall’avvocato CARMELO

MATAFU’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1176/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 13/10/2015 R.G.N. 1717/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/10/2020 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– con sentenza del 13 ottobre 2015, la Corte di Appello di Messina ha riformato la decisione del locale Tribunale che aveva dichiarato la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi a partire dall’anno 1991 tra S.G.P. ed il Consorzio Autostrade Siciliane (d’ora in avanti: Consorzio) e condannato quest’ultimo al risarcimento del danno in favore del lavoratore, quantificato in venti mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria;

– in particolare, la Corte territoriale ha evidenziato che, nonostante dovesse reputarsi generica la clausola concernente l’esigenza di sopperire all’esazione dei pedaggi, la possibilità di controllo sulle ragioni poste a sostegno dei contratti a termine stipulati potesse reputarsi garantita allorquando il Consorzio aveva provveduto, d’intesa con le Organizzazioni Sindacali, con Delib. 18 novembre 2002, a formare un’unica graduatoria di lavoratori stagionali, recependo l’accordo nazionale del 20 luglio 2002;

– ha ritenuto, quindi, che soltanto per i contratti stipulati in forza di tale accordo doveva escludersi un profilo di responsabilità dell’Amministrazione foriero di danno;

– ha concluso, pertanto, per la sussistenza di un danno risarcibile in favore del dipendente esclusivamente con riguardo ai contratti stipulati precedentemente all’accordo, che ha considerato privi di giustificazione causale, per la cui liquidazione ha ritenuto utilizzabile il sistema indennitario onnicomprensivo di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 in un importo pari a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto;

– per la cassazione della sentenza propone ricorso, assistito da memoria, S.G.P., affidandolo a tre motivi;

– resiste, con controricorso, il Consorzio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 con riguardo alla ritenuta legittimità dei contratti conclusi in data successiva al 2001, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c.;

– con il secondo motivo parte ricorrente censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 36 e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 51;

– con il terzo motivo parte ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 D.Lgs. cit. nonchè della L. n. 183 del 2010, art. 32 e l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti con riguardo all’anzianità maturata;

– i tre motivi, da esaminare congiuntamente per l’intima connessione, sono fondati e, pertanto, devono essere accolti nei termini di cui in motivazione;

– va premesso che sulla natura di ente pubblico non economico del Consorzio Autostrade Siciliane questa Corte si è già pronunciata (cfr. Cass. 26.5.2015 n. 10823);

– orbene, la Corte territoriale, pur avendo dato conto della necessità di forma scritta ed in particolare dell’obbligo di specificazione delle ragioni giustificatrici del contratto escludendo l’ammissibilità di clausole di carattere generale, ha, poi, reputato adeguato e sufficiente il riferimento, contenuto nei contratti, alla necessità di “sopperire alle temporanee esigenze del servizio di esazione pedaggi”;

– in particolare, il giudice di secondo grado, sottolineando come il riferimento alle ragioni giustificatrici possa essere desunto “per relationem” da altri atti quali gli accordi sindacali, ha ritenuto che, nel caso di specie, dovesse comunque reputarsi incontestabile la conoscenza, da parte del lavoratore, delle ragioni organizzative che avevano giustificato la sua assunzione, risalenti all’intesa intercorsa tra il Consorzio e le Organizzazioni Sindacali, volta a regolamentare l’assunzione di lavoratori stagionali, esigenza che aveva determinato la predisposizione di apposita graduatoria cui attingere;

– invero, la motivazione fornita dalla Corte distrettuale, riferita, per i contratti stipulati dopo l’anno 2002, ad accordi con le OO.SS. che avrebbero costituito la base legittimante della stipulazione a termine, deve considerarsi meramente apparente, in quanto ciò che rileva nel presente giudizio, in ambito di lavoro pubblico privatizzato, è unicamente l’abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione, che si riflette in termini di illegittima precarizzazione del rapporto di impiego;

– la direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE (Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato) pur non contenendo una disciplina generale del contratto a tempo determinato, pone principi specifici che, per gli ordinamenti giuridici degli Stati membri, valgono come obiettivi da raggiungere ed attuare, tra cui appunto il principio di contrasto dell’abuso del datore di lavoro, privato o pubblico, nella successione di contratti a tempo determinato (clausola 5). Questa è la portata dell’accordo quadro e segnatamente della sua clausola 5, come precisato dalla Corte di giustizia (7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04, cit.), secondo cui “l’obiettivo di quest’ultimo è quello di creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”;

– giova, quindi, rilevare, con riguardo alle conseguenze dell’abuso nella reiterazione che, posta l’impossibilità della conversione, la illegittimità conseguente all’abuso deve riferirsi, per quanto sopra osservato, a tutti i contratti oggetto di causa e non solo quindi, a quelli successivi alla stipula dell’accordo – in particolare, il giudice di secondo grado, sottolineando come il riferimento alle ragioni giustificatrici possa essere desunto “per relationem” da altri atti quali gli accordi sindacali, ha ritenuto che, nel caso di specie, dovesse comunque reputarsi incontestabile la conoscenza, da parte del lavoratore, delle ragioni organizzative che avevano giustificato la sua assunzione, risalenti all’intesa intercorsa tra il Consorzio e le Organizzazioni Sindacali, volta a regolamentare l’assunzione di lavoratori stagionali, esigenza che aveva determinato la predisposizione di apposita graduatoria cui attingere;

– invero, la motivazione fornita dalla Corte distrettuale, riferita, per i contratti stipulati dopo l’anno 2002, ad accordi con le OO.SS. che avrebbero costituito la base legittimante della stipulazione a termine, deve considerarsi meramente apparente, in quanto ciò che rileva nel presente giudizio, in ambito di lavoro pubblico privatizzato, è unicamente l’abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione, che si riflette in termini di illegittima precarizzazione del rapporto di impiego;

– la direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE (Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato) pur non contenendo una disciplina generale del contratto a tempo determinato, pone principi specifici che, per gli ordinamenti giuridici degli Stati membri, valgono come obiettivi da raggiungere ed attuare, tra cui appunto il principio di contrasto dell’abuso del datore di lavoro, privato o pubblico, nella successione di contratti a tempo determinato (clausola 5). Questa è la portata dell’accordo quadro e segnatamente della sua clausola 5, come precisato dalla Corte di giustizia (7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04, cit.), secondo cui “l’obiettivo di quest’ultimo è quello di creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”;

– giova, quindi, rilevare, con riguardo alle conseguenze dell’abuso nella reiterazione che, posta l’impossibilità della conversione, la illegittimità conseguente all’abuso deve riferirsi, per quanto sopra osservato, a tutti i contratti oggetto di causa e non solo quindi, a quelli successivi alla stipula dell’accordo sindacale, del tutto irrilevante nella specie, con riflessi sulla stessa quantificazione del risarcimento del danno quanto alla corretta individuazione del criterio di liquidazione applicabile, alla luce di quanto disposto a partire dalla pronuncia a S. U. 15.3.2016 n. 5072;

– in conformità a quanto affermato in tale pronuncia, nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato, in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione, il dipendente che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, comma 5, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8;

– il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite questa Corte (cfr. Cass. S.U. 15/03/2016 n. 5072) con riferimento alla norma contenuta nel T.U. n. 165 del 2001, art. 36, è quello alla cui stregua “nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione, il pregiudizio economico oggetto di risarcimento non può essere collegato alla mancata conversione del rapporto: quest’ultima, infatti, è esclusa per legge e trattasi di esclusione affatto legittima sia secondo i parametri costituzionali che secondo quelli comunitari”;

– piuttosto, dando atto che l’efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore, che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno e rilevato che il pregiudizio è normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile, le Sezioni Unite hanno rinvenuto nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, esonera il lavoratore dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori (cfr., da ultimo, anche Cass. 4.3.2020 n. 6097, Cass. 23.6.2020 n. 12363);

– la Corte di giustizia, pronunziandosi sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di Trapani, con la ordinanza del 5 settembre 2016, partendo dai principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, sopra richiamati, ha osservato, sotto il profilo specifico del principio di effettività della misura sanzionatoria: – che gli Stati membri non sono tenuti, alla luce della clausola 5 dell’accordo quadro, a prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, sicchè non può nemmeno essere loro imposto di concedere in assenza di ciò un’indennità destinata a compensare la mancanza di una siffatta trasformazione del contratto (sentenza Corte di Giustizia UE 7 marzo 2018 in causa C 494/2016, punto 47); – che, tenuto conto delle difficoltà inerenti alla dimostrazione dell’esistenza di una perdita di opportunità, il ricorso a presunzioni dirette a garantire ad un lavoratore che abbia sofferto – a causa dell’uso abusivo di contratti a tempo determinato stipulati in successione – una perdita di opportunità di lavoro, la possibilità di cancellare le conseguenze di una siffatta violazione del diritto dell’Unione è tale da soddisfare il principio di effettività (sentenza Corte di Giustizia UE cit., punto 50);

– il giudice Europeo ha poi confutato la tesi secondo cui la indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32 debba essere liquidata in ragione di ogni singolo contratto per il quale venga accertata la illegittimità del termine, in quanto la stessa non tiene conto del fatto che il danno comunitario presunto, L. n. 183 del 2010, ex art. 32 nel settore pubblico, non è quello derivante dalla nullità del termine del contratto di lavoro, ma è quello conseguente all’abuso per l'”utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”, come prevede la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE;

– l’illecito si consuma non in relazione ai singoli contratti a termine ma soltanto dal momento e per effetto della loro successione abusiva e, pertanto, il danno presunto dovrà essere liquidato una sola volta, nel limite minimo e massimo fissato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 considerando nella liquidazione dell’unica indennità il numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti sotto il profilo della gravità della violazione (cfr. in tali termini, Cass. 3.12.2018 n. 31175);

– ogni altro rilievo teso a valorizzare l’anzianità maturata quale precario deve essere disatteso, posto che questa Corte ha ritenuto che il riconoscimento dell’anzianità di servizio può riferirsi soltanto a quella maturata precedentemente all’acquisizione dello status di lavoratore a tempo indeterminato, allorchè le funzioni svolte siano identiche a quelle precedentemente esercitate nell’ambito del contratto a termine, mirando le condizioni di stabilizzazione fissate dal legislatore proprio a consentire l’assunzione dei soli lavoratori a tempo determinato la cui situazione poteva essere assimilata a quella dei dipendenti di ruolo (cfr., da ultimo, Cass. 16.7.2020 n. 15231);

– alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere accolto;

– la sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione alle censure mosse nei tre motivi di ricorso il cui accoglimento impone una nuova valutazione anche delle conseguenze risarcitorie, da parametrare al criterio indicato;

– la causa va rimessa alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione, che, nel procedere a nuovo esame, si atterrà ai principi indicati, provvedendo, altresì, anche alla liquidazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, anche in ordine alle spese relative al giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

 

 

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