Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4051 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 18/02/2011, (ud. 24/11/2010, dep. 18/02/2011), n.4051

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9876-2007 proposto da:

FONDAZIONE TEATRO DELL’OPERA DI ROMA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO

38, presso lo studio dell’avvocato GIACCHI CORRADO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2346/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/11/2006 R.G.N. 4739/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2010 dal Consigliere Dott. BERRINO Umberto;

udito l’Avvocato BRUNI Alessandra;

udito l’Avvocato GIACCHI Corrado;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 14/3/2006 la Corte d’Appello di Roma – sezione Lavoro respinse l’appello proposto dalla Fondazione Teatro dell’Opera di Roma avverso la decisione dei giudice del lavoro del Tribunale di Roma del 24.2 – 4.3.2005, con la quale le era stata respinta l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso dallo stesso Tribunale in data 3/3/04, e la condannò alle spese del grado. Con tale decreto era stato intimato alla suddetta Fondazione il pagamento della somma di Euro 7280,88 in favore del dipendente N.A. a titolo di differenze retributive maturate nel periodo aprile 2001 – dicembre 2003 per il riconosciuto diritto al superiore inquadramento del medesimo nel livello di Funzionario “B”, di cui al ceni di settore, per effetto della sentenza resa in tal senso dallo stesso organo giudicante in data 18-25.9.2003.

La Corte d’appello pervenne a tale convincimento sulla base della ritenuta genericità del gravame, attraverso il quale non risultavano essere stati censurati gli argomenti decisori della sentenza impugnata e nemmeno risultavano formulate delle specifiche contestazioni ai conteggi utilizzati nella fase monitoria per la quantificazione delle spettanze reclamate.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Fondazione Teatro dell’Opera di Roma affidando l’impugnazione a due motivi di censura.

Resiste con controricorso N.A.. La ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo di censura la ricorrente denunzia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 342 e 434 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, assumendo che la Corte territoriale sarebbe incorsa in errore nel confondere il generico rinvio alle difese svolte in primo grado con le argomentazioni sviluppate in appello e coincidenti con quelle di prime cure, ma utilizzate nella sede del gravame al fine di sottoporre la sentenza impugnata a censura nell’ottica del più ampio effetto devolutivo. In pratica, attraverso tale censura la ricorrente intende attaccare la parte della motivazione del giudice d’appello con la quale fu rilevato che la mera riproposizione delle difese di primo grado non investiva in alcun modo gli argomenti decisori della sentenza gravata ed era, perciò, inammissibile. Pertanto, la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “Se violi gli artt. 342 e 434 c.p.c., in relazione alla esposizione specifica dei motivi di impugnazione, l’appellante che, a scopo di totale censura della pronuncia impugnata, sottoponga la stessa a critica radicale e completa utilizzando argomentazioni incompatibili con quelle poste dal Giudice di primo grado a fondamento della sua decisione e sostanzialmente coincidenti con quelle utilizzate negli scritti difensivi di primo grado in assenza, tuttavia, di un mero richiamo per relationem ad essi”. Osserva la Corte che il motivo in esame presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.

Anzitutto, non può sfuggire all’esame di questa Corte che il quesito, così come posto, presenta un profilo di inammissibilità perchè non tiene conto sia del principio che la valutazione della specificità dei motivi di gravame rientra in pieno nei compiti del giudice d’appello, compito che nella fattispecie è stato assolto con puntuale motivazione, sia del fatto che quest’ultimo valutò, comunque, gli elementi probatori che condussero al rigetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo emesso in favore del lavoratore per le differenze retributive dal medesimo vantate in conseguenza del riconoscimento del diritto al superiore inquadramento nel livello di Funzionario “B”, di cui al ceni di settore, per effetto della sentenza resa in tal senso dallo stesso organo giudicante.

Inoltre, la ricorrente finisce, in tal modo, per trascurare anche il dato di fondo essenziale rappresentato dal fatto che la Corte d’appello approdò alla dichiarazione di inammissibilità de gravame per effetto della rilevata mancanza di censure specifiche agli argomenti decisori della sentenza impugnata, argomenti costituiti dalla accertata provvisoria esecutività ex lege della declaratoria al superiore inquadramento, dalla non esercitata facoltà di sospensione del procedimento ai sensi dell’art. 337 c.p.c., u.c., e dalla utilizzazione dei conteggi allegati nella fase monitoria e non specificamente contestati. Quindi, contrariamente a quanto supposto dalla ricorrente, non furono sollevate affatto censure specifiche alla sentenza di primo grado, per cui è esatto quanto affermato dal giudice d’appello in ordine alla rilevata mancanza delle stesse ai fini della valutazione dell’ammissibilità del gravame.

Nè dalla lettura del presente motivo è data rinvenire alcuna censura specifica alle argomentazioni della sentenza d’appello che per la loro indubbia valenza logico-giuridica sfuggono, di conseguenza, ai rilievi di legittimità.

2. Col secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 634 e 645 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 ritenendo che la sentenza di accertamento del diritto del N. all’inquadramento rivendicato, con condanna della datrice di lavoro alla corresponsione del relativo trattamento economico, non poteva equipararsi ad una condanna specifica ai fini della determinazione del “quantum” della pretesa, tanto più se il relativo calcolo era stato eseguito da un’associazione sindacale e non dalla parte, per cui il documento sindacale contenente un tale computo avrebbe potuto essere fatto valere, tutt’al più, solo in sede monitoria.

La ricorrente conclude, quindi, il motivo col seguente quesito di diritto: “Se i documenti di formazione unilaterale, utilizzabili come prove scritte del credito ai fini del procedimento monitorio, siano idonei a costituire piena prova nel giudizio ordinario di cognizione instaurato con l’opposizione a decreto ingiuntivo”. Il motivo è infondato.

Anzitutto, vi è da rilevare che la censura non supera in alcun modo la questione di fondo evidenziata dal giudice d’appello, vale a dire la mancata contestazione specifica degli stessi conteggi, utilizzati nella fase monitoria, in entrambi i precedenti gradi del giudizio, cioè il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel quale fu azionata la sentenza di riconoscimento del diritto al superiore inquadramento e di condanna al relativo trattamento economico, ed il conseguente giudizio d’appello, conclusosi con la decisione oggi impugnata. La decisione del giudice d’appello è sul punto ineccepibile solo se si osserva che questa Corte ha già avuto modo di statuire (Cass. sez. lav. n. 9285 del 10/6/2003) che “nel rito del lavoro, il convenuto ha l’onere della specifica contestazione dei conteggi elaborati dall’attore, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., comma 1, e art. 416 c.p.c., comma 3, con la conseguenza che la mancata o generica contestazione in primo grado – rappresentando, in positivo e di per sè, l’adozione di una linea incompatibile con la negazione del fatto – rende i conteggi accertati in via definitiva, vincolando in tal senso il giudice, e la contestazione successiva in grado di appello è tardiva ed inammissibile.

Si è, altresì, precisato (Cass. sez. lav. n. 945 del 19/1/2006) che “nel processo del lavoro, l’onere di contestare specificamente i conteggi relativi al quantum – la cui inosservanza costituisce elemento valutabile dal giudice in sede di verifica del fondamento della domanda – opera anche quando il convenuto contesti in radice la sussistenza del credito, poichè la negazione del titolo degli emolumenti pretesi non implica necessariamente l’affermazione dell’erroneità della quantificazione, mentre la contestazione dell’esattezza del calcolo ha una sua funzione autonoma, sia pure subordinata, in relazione alle caratteristiche generali del rito del lavoro, fondato su un sistema di preclusioni diretto a consentire all’attore di conseguire rapidamente la pronuncia riguardo al bene della vita reclamato.” Egualmente infondata è la parte del motivo col quale la ricorrente pone in dubbio il fatto che dalla sentenza azionata, concernente il riconoscimento del diritto al superiore inquadramento reclamato, potessero trarsi elementi per la condanna specifica al pagamento delle differenze retributive, in quanto quella sentenza conteneva anche il capo di condanna al pagamento del relativo trattamento economico, per cui dalla stessa erano in ogni caso enucleagli, come di fatto avvenuto, gli elementi necessari per la quantificazione delle differenze pretese, essendo poi indifferente che quest’ultima operazione venisse eseguita dalla parte o da chi l’assisteva in sede sindacale.

Si è, infatti, avuto modo di precisare (Cass., sez. lav., 02-04- 2002, n. 4653) che “se l’attore ha chiesto la condanna del convenuto al pagamento di una somma di denaro determinata o determinabile (c.d.

condanna specifica) il giudice non può, in assenza dell’accordo delle parti o quanto meno della opposizione del convenuto alla relativa richiesta dell’attore, rinviare a separato giudizio la liquidazione della somma dovuta limitandosi alla condanna all’an debeatur (c.d. condanna generica), ma deve decidere anche in ordine al quantum debeatur accogliendo la domanda, se sorretta da prova, ovvero respingendola in caso contrario, fermo restando che non può considerarsi generica la condanna al pagamento di una somma di denaro che, anche se non indicata nel suo preciso ammontare, sia facilmente determinabile con semplici operazioni di calcolo aritmetico sulla base degli elementi forniti dalla sentenza stessa”. Il ricorso va, perciò, rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, di cui Euro 37,00 – per esborsi ed Euro 3000,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 24 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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