Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4049 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. I, 18/02/2011, (ud. 07/02/2011, dep. 18/02/2011), n.4049

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – rel. Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in Napoli, Centro

Direzionale, ed. G1 – Via Giovanni Porzio, presso l’avv. MARRA

Alfonso Luigi, che lo rappresenta e difende per procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del ministro in

carica, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, n, 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e

difende per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’Appello di Napoli n. 721, pubblicato

il 25 novembre 2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

febbraio 2011 dal Relatore Pres. Dott. VITRONE Ugo;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto in data 21-25 novembre 2008 la Corte d’Appello di Napoli condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento della somma di Euro 5.400,00 a favore di P.A. a titolo di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo da lui instaurato con ricorso del 24 luglio 2000 dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale della Campania per ottenere la declaratoria del proprio diritto al computo delle maggio razioni per lavoro notturno e ulteriori indennità nella retribuzione utile per la determinazione dell’indennità di buonuscita maturata al 31 maggio 1982 da includere nel trattamento di fine rapporto, con la condanna della Gestione Governativa della Circumvesuviana al pagamento delle somme spettanti con rivalutazione monetaria e interessi; il giudizio era tuttora pendente. Osservava la Corte che il processo si era protratto oltre i limiti della ragionevole durata per un periodo di cinque anni e quattro mesi e che pertanto il pregiudizio per il danno non patrimoniale poteva essere indennizzato in misura di Euro 5.400,00.

Contro il decreto ricorre per cassazione P.A. con otto motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi sei motivi di ricorso il ricorrente si duole sotto vari profili dell’esiguità dell’indennità riconosciuta in suo favore e censura il decreto impugnato osservando che il giudice di merito avrebbe dovuto far diretta applicazione della normativa della C.E.D.U. disapplicando eventualmente le norme nazionali con essa in contrasto, con particolare riferimento ai parametri adottati dalla Corte di Strasburgo che si atteneva ad importi di Euro 1.000,00/1.500,00 per ogni anno dell’intera durata del processo presupposto, con l’aggiunta di un bonus forfetario di Euro 2.000,00.

Si duole altresì con il settimo e ottavo motivo della disposta compensazione parziale delle spese giudiziali.

Il ricorso non merita accoglimento. Va considerato, innanzi tutto, che il giudice nazionale è tenuto ad applicare unicamente la legge italiana adottando un’interpretazione conforme alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e non può disapplicarla, ma solo investire eventualmente la Corte costituzionale in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, (Cass. 11 marzo 2009, n. 5894); tale possibilità è stata peraltro esclusa in considerazione del fatto che i criteri adottati dal legislatore italiano, che commisura l’indennizzo al solo periodo di tempo eccedente la ragionevole durata del processo non toccano la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obbiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e, dunque, non autorizza dubbi sulla sua compatibilità con gli impegni assunti dall’Italia con la ratifica della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cass. 22 gennaio 2008, n. 1354). Nè, poi, può farsi diretta applicazione dell’orientamento della Corte di Strasburgo secondo cui può riconoscersi una somma forfetaria di Euro 2.000,00 nel caso di violazione del termini nei giudizi aventi particolare importanza poichè spetta al giudice del merito accertare se, in concreto, la causa abbia avuto, per sua natura, una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego della richiesta attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 14 marzo 2008, n. 6898).

Tutto ciò premesso, le censure non hanno fondamento in quanto, come risulta da recenti pronunzie della Corte Europea (Volta et autres c. Italia del 16 marzo 2010; Falco et autres c. Italia del 6 aprile 2010) cui si è uniformata la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 18 giugno 2010, n. 14754), nei giudizi dinanzi ai giudici amministrativi e contabili vengono liquidate somme complessive corrispondenti ad una base unitaria di Euro 500,00 per ogni anno di durata del processo: ne consegue che l’equa riparazione spettante all’opponente, commisurata ai parametri suddetti, risulta congrua, tenuto conto che l’intera a durata del giudizio è di otto anni e dieci mesi.

Parimenti infondate sono le censure contro la compensazione parziale delle giudiziali, con le qua li il ricorrente contesta l’esercizio del potere di compensare in tutto o in parte le spese in ipotesi di accoglimento della domanda e si duole della carenza di motivazione della disposta compensazione.

La prima di esse va disattesa poichè nel giudizio di equa riparazione non è prevista alcuna deroga espressa al potere del giudice di disporre la compensazione totale o parziale delle spese giudiziali la cui motivazione può essere anche implicita, qualora risulti dagli atti l’accoglimento solo parziale della domanda come si verifica nella specie in quanto il ricorrente aveva chiesto l’attribuzione di un’indennità di almeno Euro 13.250,00, a fronte del riconoscimento di un importo di gran lunga inferiore.

In conclusione, perciò, il ricorso non merita accoglimento ed deve essere respinto.

Le spese giudiziali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese giudiziali che liquida in Euro 900.00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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