Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4049 del 15/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 15/02/2017, (ud. 25/01/2017, dep.15/02/2017),  n. 4049

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20960-2015 proposto da:

GECOMAR DI A D. & C SAS, in persona dell’Amministratore

Unico, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIAN GIACOMO PORRO 8,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO FALCITELLI, rappresentata e

difesa dall’avvocato FAUSTA MATTEO;

– ricorrente –

e contro

COMUNE DI NAPOLI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 660/49/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI, depositata il 26/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/01/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTO GIOVANNI

CONTI.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

La società Gecomar di A. D. e c. sas ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro la sentenza resa dalla CTR Campania indicata in epigrafe. Il giudice di appello ha confermato la decisione di primo grado che aveva ritenuto legittima la cartella di pagamento emessa a carico della contribuente.

Nessuna difesa scritta ha depositato la parte intimata.

Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.

La prima censura proposta, con la quale si prospetta la violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 72 è manifestamente fondata.

La CTR, nel ritenere la legittimità della cartella, ha ritenuto che la mancata prova della notifica dell’atto prodromico non incideva sulla validità dell’atto successivo (cartella) ma consentiva, semmai, alla parte contribuente di fare valere nel giudizio promosso contro la cartella i vizi dell’atto presupposto. Da qui il giudice di appello ha fatto derivare la legittimità della cartella ritenendo infondati i rilievi esposti contro l’atto presupposto.

Orbene, questa Corte, a Sezioni Unite, ha ritenuto che nella disciplina della riscossione delle imposte vigente in epoca anteriore alla riforma introdotta dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, la cartella di pagamento svolge la funzione di portare a conoscenza dell’interessato la pretesa tributaria iscritta nei ruoli, entro un termine stabilito a pena di decadenza della pretesa tributaria, ed ha un contenuto necessariamente più ampio dell’avviso di mora, la cui notifica è prevista soltanto per il caso in cui il contribuente, reso edotto dell’imposta dovuta, non ne abbia eseguito spontaneamente il pagamento nei termini indicati dalla legge. La mancata notificazione della cartella di pagamento comporta pertanto un vizio della sequenza procedimentale dettata dalla legge, la cui rilevanza non è esclusa dalla possibilità, riconosciuta al contribuente dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3, di esercitare il proprio diritto di difesa a seguito della notificazione dell’avviso di mora e che consente dunque al contribuente di impugnare quest’ultimo atto, deducendone la nullità per omessa notifica dell’atto presupposto o contestando, in via alternativa, la stessa pretesa tributaria azionata nei suoi confronti – cfr. Cass. S.U. n. 16412/2007 -. Si è ancora aggiunto che nel processo tributario, l’impugnazione di atti prodromici non notificati unitamente agli atti successivi, prevista dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3, deve ritenersi costituire una facoltà concessa al contribuente, e non un obbligo, con la conseguenza che il mancato esercizio di tale facoltà non toglie al contribuente la possibilità di impugnare l’atto notificatogli per vizio proprio, tale dovendosi ritenere anche la mancata notifica dell’atto ad esso prodromico. -cfr. Cass. n. 1652/2008-.

Cass. S.U. n. 5791/2008 ha infine soggiunto che la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario, l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato. Poichè tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta, consentita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria spetterà al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che, nel primo caso, dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi), nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza, o no, di tale pretesa.

Orbene, nel caso di specie dallo svolgimento del processo della sentenza impugnata è emerso che la parte ricorrente aveva impugnato la cartella di pagamento in relazione all’omessa notificazione dell’atto di accertamento presupposto “…nonchè l’inesistenza del presupposto impositivo, atteso che la società asseritamente aveva la propria sede legale nell’abitazione del suo amministratore che era già iscritto a ruolo personalmente per il medesimo tributo”.

Ne consegue che la CTR, interpretando la domanda della parte contribuente, ha considerato che la stessa avesse posto in discussione la validità nel merito dell’atto propedeutico pure impugnato, ritenendolo legittimo.

Nel far ciò il giudice di appello si è pienamente conformato ai principi espressi da questa Corte.

Il secondo motivo di ricorso, con il quale si prospetta la nullità della sentenza impugnata “per motivazione confusa e contraddittoria” è inammissibile, essendo per l’un verso venuto meno il controllo di questa Corte in ordine alla logicità della motivazione per effetto della novella di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 applicabile ratione temporis e, per altro verso, avendo la CTR ponderato la censura relativa alla non corrispondenza tra l’indirizzo del locale imputato alla Gecomar e quello del locale imputato all’Amministratore, non ravvisandosi, pertanto, il prospettato omesso esame di fatto – cfr. Cass. S.U. n. 8054/2014 -.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nulla sulle spese.

PQM

La Corte, visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c.

Rigetta il ricorso.

Nulla sulle spese.

Dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile, il 25 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2017

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