Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4048 del 20/02/2014


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Civile Ord. Sez. L Num. 4048 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 461-2010 proposto da:
I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE
CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. 01165400589, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,
presso lo studio degli avvocati MORAGGI DONATELLA e
DAMIANI LAURA, giusta procura speciale notarile in
calce alla memoria;
– ricorrente –

2013
contro

3481
TOCCO MARIA TERESA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2943/2007 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 20/02/2014

di ROMA, depositata il 09/01/2009 R.G.N. 10112/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/12/2013 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

l’accoglimento del primo motivo, assorbimento del
secondo motivo.

Generale Dott. ALBERTO CELESTE ‘ che ha concluso per

ORDINANZA
IN FATTO:
Con sentenza del 9.1.2009, la Corte di appello di Roma rigettava il gravame proposto
dall’INAIL avverso la decisione di prime cure, che aveva accolto la domanda proposta da
Tocco Maria Teresa5volta al riconoscimento del diritto della predetta a percepire l’intera
indennità integrativa speciale sulla pensione di reversibilità ai sensi dell’art. 2 della legge
in relazione alla pensione erogatale dall’Inail quale figlia inabile di Tocco Giuseppe, già
dipendente dell’INAIL, dal 1.10.1997, data del decesso del proprio dante causa, cessato
dal servizio il 30.12.1973 e titolare da tale data di pensione diretta, la Corte del merito
rilevava che l’art. 15, comma 5, della legge 23.12.1994 n. 724 disponeva che l’art. 2 della
legge 324/1959 — il quale prevedeva la corresponsione della indennità integrativa in
misura intera o, per redditi al di sotto di una determinata soglia, in misura sempre intera
ma in ragione di frazioni di un parametro monetario – si applicava alle pensioni dirette
liquidate fino al 31.12.1994 ed alle pensioni di reversibilità ad esse riferitepe che la norma
in questione, come interpretata dalla giurisprudenza (Corte dei Conti, sezioni riunite,
8120021QH), non distingueva tra pensioni di reversibilità liquidate prima e dopo tale data.
Osservava che il nuovo sistema di liquidazione introdotto dalla legge 18 agosto 1995 n.
335 operava per le pensioni di reversibilità connesse a trattamenti diretti liquidati a far
tempo dal 1.1.1995.
Per la cassazione di tale decisione ricorre l’INAIL. La Tocco è rimasta intimata.
IN DIRITTO:
Con il primo motivo, l’Istituto ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.,
violazione dell’art. 1, commi 774, 775 e 776, della legge 27.12.2006 n. 296 e dell’art. 113
c.p.c., osservando che le norme citate limitano l’applicabilità delle disposizioni relative alla
corresponsione della i.i.s. sui trattamenti di pensione previsti dall’art. 2 I. 324/59 alle
pensioni dirette liquidate fino al 31.12.1994 ed alle pensioni di reversibilità ad esse riferite,
quale che ne fosse la data di liquidazione, laddove, secondo la Corte del merito, non vi era
distinzione tra pensioni di reversibilità liquidate prima o dopo detta data ed il sistema di
liquidazione introdotto dalla I. 335/95 operava per le pensioni di reversibilità connesse a
trattamenti diretti liquidati a far tempo dal 1°.1.1995. Assume che, con le disposizioni del

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27 maggio 1959 n. 324. Premesso che la Tocco aveva chiesto il riconoscimento suddetto

2006, per evidente contenimento della spesa previdenziale, il legislatore ha ritenuto di
interpretare in modo autentico la norma contenuta nell’art. 1, comma 41, della I. 335/95 e
rileva che, in conformità ai principi generali, con efficacia retroattiva, le norme
sopravvenute sono entrate in vigore il 1.1.2007 e che in relazione alla controversia in
esame non si è verificata alcuna preclusione rispetto all’applicabilità dello

ius

supetveniens, in quanto tutta la materia del contendere è stata rimessa in discussione.

costituzionalità per effetto della decisione della Corte Costituzionale n. 74 del 2008.
Con il secondo motivo, l’INAIL lamenta, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., falsa
applicazione dell’art. 15, quinto comma, della legge 23.12.1994 n. 724 e dell’art. 1, comma
41, della legge 8.8.1995 n. 335, rilevando che, anche ove si volesse ritenere applicabile la
normativa preesistente, l’orientamento giurisprudenziale non era univoco e che, peraltro,
la norma di cui al regime transitorio non può avere efficacia ultrattiva, anche per il periodo
successivo alla introduzione della disciplina di armonizzazione di cui alla legge 335/95.
Sostiene l’implicita abrogazione dell’art. 15, comma 5, della legge 724/94 per effetto degli
artt. 1 e 2 della legge 335/95, evidenziando che, a prescindere dalla data di decorrenza
dalla pensione del dante causa, tutti i trattamenti ai superstiti che ricadono sotto la vigenza
della legge sopra citata devono essere determinati osservando le condizioni e misure
previste dalla normativa sull’A.G.O., in base alla quale per il trattamento ai superstiti
compete un’aliquota percentuale dell’intero trattamento pensionistico percepito dal de
cuius, ivi compresa la i.i.s.. Precisa che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 446 del
2002, nel ritenere infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 41,
I. 335/95 nella parte in cui prevede l’applicazione delle relative disposizioni anche al
trattamento di reversibilità spettante al coniuge superstite collocato in pensione prima
dell’entrata in vigore della legge stessa e deceduto dopo, proprio per l’insussistenza di un
legittimo affidamento del superstite nella stabilità della misura della pensione, ha ritenuto
che la fattispecie sia regolata dalla norma denunciata e non dall’art. 151. 724/94.
Va ribadito, preliminarmente, che l’interpretazione fornita del rapporto tra norme in vigore che rappresenta il punto di riferimento per valutare in che termini si sia manifestata

l’incidenza dello iussu
_a_
er terliens
_ — è quella alla cui stregua “In ipotesi di decesso di

titolare di pensione diretta liquidata entro il 31 dicembre 1994, l’eventuale trattamento di
riversibilità va in ogni caso liquidato secondo le norme di cui all’art. 15, comma 5^, L. 23

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Aggiunge che la disciplina legislativa in questione ha superato anche il vaglio di

dicembre 1994, n. 724, indipendentemente dalla data della morte del dante causa, atteso
che l’art. 1, comma 41^, L. 8 agosto 1995, n. 335, non ha abrogato il richiamato comma 5^
dell’art. 15 della L. n. 724/94” (Cfr. Corte di conti, sez. riunite, 8/2002/QM).
Questo collegio ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dei commi 774, 775 e 776 dell’art. 1 I. 296/2006 cit., poiché la disposta
retroattività potrebbe essere in violazione del divieto di ingerenza del potere legislativo
nell’amministrazione della giustizia, per incidere sulla definizione delle controversie
private, all’equo processo tutelato dall’ad 6 CEDU ed, indirettamente, dall’ad 117, primo
comma, Cost.
Quanto alla rilevanza, essa risulta evidente dalla necessità di diretta applicazione della
disposizione nella presente controversia, iniziata prima del 2006.
Quanto alla non manifesta infondatezza, occorre premettere l’intero contenuto delle
disposizioni: 774. L’estensione della disciplina del trattamento pensionistico a favore dei
superstiti di assicurato e pensionato vigente nell’ambito del regime dell’assicurazione
generale obbligatoria a tutte le forme esclusive e sostitutive di detto regime prevista
dall’articolo 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335, si interpreta nel senso che
per le pensioni di reversibilità sorte a decorrere dall’entrata in vigore della legge 8 agosto
1995, n. 335, indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta,
l’indennità integrativa speciale già in godimento da parte del dante causa, parte integrante
del complessivo trattamento pensionistico percepito, è attribuita nella misura percentuale
prevista per il trattamento di reversibilità.
775. Sono fatti salvi i trattamenti pensionistici più favorevoli in godimento alla data di
entrata in vigore della presente legge, già definiti in sede di contenzioso, con
riassorbimento sui futuri miglioramenti pensionistici.
776. É abrogato l’articolo 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724.
Il citato art. 1, comma 41 della legge 335/95 recita a sua volta “La disciplina del
trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato vigente
nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria è estesa a tutte le forme
esclusive o sostitutive di detto regime. In caso di presenza di soli figli di minore età,
studenti ovvero inabili, l’aliquota è elevata al 70% limitatamente alle pensioni ai superstiti
aventi decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge. Gli importi dei

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giudiziarie in corso, violando il diritto dei beneficiari del trattamento di reversibilità, parti

trattamenti pensionistici ai superstiti sono cumulabili con i redditi del beneficiario, nei limiti
di cui all’allegata tabella F. Il trattamento derivante dal cumulo dei redditi di cui al presente
comma con la pensione ai superstiti ridotta non può essere comunque inferiore a quello
che spetterebbe allo stesso soggetto qualora il reddito risultasse pari al limite massimo
delle fasce immediatamente precedenti a quella nella quale il reddito posseduto si colloca.
I limiti di cumulabilità non si applicano qualora il beneficiario faccia parte di un nucleo
familiare con figli di minore età, studenti ovvero inabili, individuati secondo la disciplina di
favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge con
riassorbimento sui futuri miglioramenti”.
L’espressa salvezza dei trattamenti pensionistici più favorevoli in godimento alla data di
entrata in vigore della presente legge, già definiti in sede di contenzioso, vale a dire la
necessaria applicazione delle disposizioni della finanziaria in questione ai processi ancora
pendenti, esclude ogni possibilità di negare l’efficacia retroattiva della norma, per tentare
di adeguarla all’ad 6 CEDU, di cui poco avanti si dirà.
La cosiddetta interpretazione adeguatrice, che è necessario sempre tentare prima di
sollevare una questione di legittimità costituzionale, trova il suo limite nel significato
proprio delle parole della disposizione da interpretare, secondo la connessione di esse,
nonché nella chiara intenzione del legislatore (art. 12, primo comma, preleggi). Del resto
anche la giurisprudenza di questa Corte afferma l’efficacia retroattiva del comma 774 in
questione (Cass. n. 18125 del 2008) .
Ancora, non rileva sulla presente questione la sentenza della Corte costituzionale n. 74 del
2008, che ha negato il contrasto del comma 775 dell’ad. 1 della I. 296/2006 con
riferimento al solo principio di ragionevolezza. Che poi la questione debba essere risolta
sottoponendola alla Corte Costituzionale risulta dalla giurisprudenza della stessa Corte.
A partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 (da ultimo sentenze n. 236, n. 113 e n. 1
del 2011), tale giurisprudenza è costante nel ritenere che le norme della CEDU – nel
significato ad esse attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente
istituita per darne interpretazione ed applicazione (art. 32, par. 1, della Convenzione) integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall’ad. 117 Cost.,

comma 1, nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli

derivanti dagli obblighi internazionali.

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cui al primo periodo del presente comma. Sono fatti salvi i trattamenti previdenziali più

La Corte costituzionale ha affermato che, nel caso in cui si profili un contrasto tra una
norma interna e una norma della CEDU (che deve essere applicata nel significato
attribuito dalla Corte EDU, cfr. citate sentenze n. 113 e n. 1 del 2011), il giudice nazionale
comune deve preventivamente verificare la praticabilità di un’interpretazione della prima
conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica
giuridica (sentenze n. 93 del 2010, n. 113 del 2011, n. 311 e n. 239 del 2009). Se questa
verifica dà esito negativo ed il contrasto non può essere risolto in via interpretativa, il
ritenendola in contrasto con la CEDU, e pertanto con la Costituzione, deve denunciare la
rilevata incompatibilità proponendo questione di legittimità costituzionale in riferimento
all’art. 117 Cost., comma 1, owero all’art. 10 Cost., comma 1, ove si tratti di una norma
convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta
(sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010 e n. 311 del 2009).
Sempre il Giudice delle teggi ha affermato che, sollevata la questione di legittimità
costituzionale, il giudice comune – dopo aver accertato che il denunciato contrasto tra
norma interna e norma della CEDU sussiste e non può essere risolto in via interpretativa è chiamato a verificare se la norma della Convenzione – norma che si colloca pur sempre
ad un livello sub-costituzionale – si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della
Costituzione. In questa, seppure eccezionale, ipotesi, deve essere esclusa l’idoneità della
norma convenzionale a integrare il parametro costituzionale considerato (sentenze n. 113
del 2011, n. 93 del 2010, n. 311 del 2009, n. 349 e n. 348 del 2007). Più precisamente,
con sentenza n. 264 del 2012, la Corte Costituzionale, dopo aver negato di poter sostituire
la propria interpretazione di una disposizione CEDU a quella data dalla Corte di
Strasburgo, si riservò tuttavia la verifica di compatibilità delle singole applicazioni della
Convenzione con l’ordinamento costituzionale interno e, in riferimento al caso in esame,
giustificò la retroattività della legge impugnata col “motivo imperativo d’interesse generale”,
consistente nell’assicurare, nel sistema previdenziale, la corrispondenza tra risorse
disponibili e prestazioni da erogare (art. 81 Cost.) nonché la coerenza interna
(eguaglianza e proporzionalità: art. 3 Cost.) dello stesso sistema.
Non sembra a questo collegio che la verifica di compatibilità possa dare il medesimo esito
nel caso qui in esame, in cui l’art. 1, commi 774 e 775, I. n. 296 del 2006, disattendendo
una giurisprudenza delle Sezioni riunite della Corte dei Conti, n. 8/2002/QM, pare aver
perseguito, in prevalenza se non solamente, un obiettivo di risparmio della spesa pubblica.

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giudice comune, non potendo disapplicare la norma interna ne’ farne applicazione, pur

Il collegio dubita perciò della sussistenza di un motivo d’interesse generale, talmente
imperativo da dover prevalere sull’art. 6 CEDU.
Circa il contrasto tra il comma 775 cit. e l’art 6 CEDU, dall’esame delle sentenze CEDU
relative a norme di interpretazione autentica possono desumersi i seguenti principi :
a) benché non sia precluso al legislatore disciplinare, mediante nuove disposizioni
retroattive, diritti derivanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e la
di interesse generale, i quali non possono consistere in mere esigenze finanziarie,
l’interferenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia con il proposito di
influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia azionata contro lo Stato .
(causa Maggio ed altri c. Italia del 31/05/2011; causa Anna De Rosa ed altri c. Italia
dell’11/12/2012; causa Agrati ed altri c. Italia del 7/0612011, le ultime due relative al
personale ATA ; cfr , inoltre, tra molti altri precedenti, Stran Greek Refineries e Stratis
Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, National & Provincia! Building Society, Leeds
Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. il Regno Unito, 23 ottobre
1997, Zielinski e Pradal e Gonzalez e Altri c. Francia ).
b) La Corte ha affermato, ancora, con riferimento alla legge di interpretazione n 296/2006
nella causa Maggio citata, che la promulgazione di detta legge, mentre i procedimenti
erano pendenti, era ricaduta sul merito delle controversie, e la sua applicazione da parte
dei vari Tribunali ordinari aveva privato di rilievo, per un’intera categoria di persone che si
trovavano nella posizione dei ricorrenti, la prosecuzione del giudizio. Perciò, la legge
aveva avuto l’effetto di modificare definitivamente l’esito del giudizio pendente, nel quale lo
Stato era parte, approvando la posizione dello Stato a svantaggio dei ricorrenti.
Mancavano, peraltro, i suddetti motivi imperativi di interesse generale.
c) Conclusioni analoghe sono state assunte nella causa citata relativa al personale ATA
in cui la Corte di Strasburgo, dopo aver ribadito il principio più volte affermato che se in
linea di principio nulla vieta al potere legislativo di regolamentare mediante nuove
disposizioni, a carattere retroattivo, diritti risultanti da leggi in vigore, la preminenza del
diritto e la nozione di processo equo sanciti dall’art. 6 CEDU ostano, salvo che per
• imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo
nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito giudiziario di una

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nozione di processo equo contenuti nell’art. 6 precludono, tranne che per impellenti motivi

controversia. La Corte ha rammentato, inoltre, che l’esigenza della parità delle armi
implica l’obbligo di offrire a ciascuna parte una ragionevole possibilità di presentare la
propria causa senza trovarsi in una situazione di netto svantaggio rispetto alla controparte.
Analoghi principi sono stati affermati, altresì, nella sentenza del 25 novembre 2010, Lilly c.
Francia, e nella sentenza dell’I 1 febbraio 2010, Javaugue c. Francia.
d ) Al fine di determinare se vi sia stato un motivo impellente di interesse generale in
processo equo, secondo la Corte di Strasburgo, impone che le ragioni addotte per
giustificare tale misura siano valutate con il massimo grado di cautela possibile.
Considerazioni di carattere finanziario non possono da sole giustificare che il legislatore si
sostituisca al giudice al fine di risolvere le controversie (causa Maggio ed altri citata).
e) La Corte ha osservato (causa Arras citata) che “Il problema sollevato nel caso di specie
è fondamentalmente quello del giusto processo, e secondo la Corte, ciò coinvolge la
responsabilità dello Stato sia nella sua funzione legislativa, se vizia il processo o influenza
l’esito giudiziario della controversia, sia nella sua funzione di autorità giudiziaria se è
violato il diritto a un giusto processo, compreso in questioni private tra soggetti privati”.
Alla luce dei citati principi elaborati dalla giurisprudenza CEDU in riferimento
all’interpretazione dell’ad 6 della Convenzione citato, ritiene, in definitiva, questa Corte
che si prospetti il dubbio di legittimità costituzionale della L n 296/2006 ad 1, commi 774,
775 e 776, non essendo possibile adottare un’interpretazione della disposizione citata
conforme alla Convenzione.
La tesi, sostenuta da una parte della dottrina, della disapplicabilità, da parte del giudice
comune, di norme contrastanti non solo con l’art 6 CEDU, ma anche con gli artt. 47,
secondo comma, e 52, terzo comma, della Carta dei diritti fondamentali UE, non è
generalmente condivisa e contrasta con le citate sentt. N 348 e 349 del 2007 della Corte
Cost.. Essa non ha dato luogo a “diritto vivente” onde a questo collegio sembra meglio
procedere secondo le indicazioni di queste due pronunce ( vedi anche Corte giust. UE, 24
aprile 2012 n. C 571/10 Kamberaj; 26 febbraio 2013 n. 617/10, Fransson ) .
P.Q.M.

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grado di giustificare tale misura, il rispetto della preminenza del diritto e delle regole del

La Corte,
visti l’art 134 Cost. e la L 11 marzo 1953 n 87, art 23, dichiara rilevante e non
manifestamente infondata — in riferimento all’ad 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6
della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), sottoscritta dall’Italia il 4
novembre 1950 e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n 848 – la questione di legittimità
costituzionale della L 27 dicembre 2006 n. 296, art 1, commi 774, 775 e 776, (legge

Dispone la sospensione del procedimento n 461/2010.
Ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Ordina alla Cancelleria che la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di
legittimità, ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e che essa sia comunicata al
Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei Deputati.
Così deciso in Roma il 3/12/2013
Il Presidente

finanziaria 2007) .

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