Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4048 del 18/02/2020

Cassazione civile sez. I, 18/02/2020, (ud. 17/10/2019, dep. 18/02/2020), n.4048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33266/2018 proposto da:

N.B., elettivamente domiciliato in Roma Via Lungotevere Della

Vittoria 10 B, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Prudenzano

e rappresentato e difeso dall’avvocato Armando Finocchiaro in forza

di procura speciale su figlio separato allegato al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1189/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 24/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/10/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, N.B. (alias I.), cittadino del (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Catania impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente, cittadino senegalese, nato a (OMISSIS), ha dichiarato di non aver mai conosciuto il padre e che la madre si era risposata, avendo poi due altre figlie, sue sorellastre; di aver lavorato come muratore sino a che gli zii, dopo la morte della madre, lo avevano cominciato a perseguitare, insultare e picchiare per indurlo ad andare via senza rivendicarne l’eredità; di essersi rivolto alla polizia che aveva incarcerato gli zii per una settimana; che dopo la scarcerazione degli zii nessuno più lo ascoltava, sicchè aveva deciso di lasciare il Senegal.

Con ordinanza del 23/1/2017 il Tribunale di Catania ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto dal N. è stato rigettato dalla Corte di appello di Catania, a spese compensate, con sentenza del 24/5/2018.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto N.B., con atto notificato il 2/11/2018, svolgendo due motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria su di un punto decisivo della controversia.

1.1. La Corte di appello ha ritenuto che la vicenda personale del ricorrente non integrasse alcuna delle ipotesi previste del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ma – secondo il ricorrente – ha omesso di esaminare i motivi di appello e le vicissitudini patite dal ricorrente fino al suo arrivo in Italia che lo avevano reso un soggetto vulnerabile meritevole almeno della protezione umanitaria.

Il ricorrente espone inoltre le regole di successione mortis causa secondo il diritto islamico, per cui l’eredità non è rinunciabile e in caso di rientro in patria il ricorrente correrebbe gravi rischi di essere eliminato dagli zii che temerebbero la richiesta di restituzione dell’eredità da parte sua.

Nel Senegal inoltre sono presenti cellule (OMISSIS) che conducono pesanti offensive alla conquista di buona parte dell’Africa.

1.2. Il motivo è inammissibile, in primo luogo, perchè formulato con riferimento al previgente testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che si riferiva all’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, anzichè al vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” come previsto dal testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134.

1.3. In ogni caso, la prima parte della censura si riferisce al pericolo che correrebbe il ricorrente in caso di rientro in Patria, definito “un sicuro suicidio”, per il rischio di violenza da parte degli zii, per il loro timore della rivendicazione da parte sua dell’eredità materna, sempre possibile secondo le regole di successione necessaria del diritto islamico.

Il ricorrente non tiene conto delle puntuali osservazioni svolte dalla Corte di appello circa l’estraneità della vicenda personale riferita alle ipotesi di persecuzione o di danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), vertendosi in tema di contese meramente privata, e di minacce provenienti da soggetti privati nei cui confronti il ricorrente non solo poteva chiedere, ma aveva chiesto e ottenuto, protezione da parte delle Forze dell’ordine (che avevano arrestato i suoi zii per una settimana).

1.4. Quanto alla seconda parte del motivo e al rischio di violenza indiscriminata da conflitto armato interno, il ricorrente contrappone solo una generica considerazione alla valutazione di merito della Corte di appello, che ne ha escluso la sussistenza in via generale nel Senegal – eccezion fatta per la regione del Casamance, caratterizzata da un conflitto a bassa intensità con sporadici attacchi di ribelli – e comunque nell’area di provenienza specifica del richiedente, sulla base di accreditate fonti informative internazionali, come i più recenti rapporti di Amnesty International e il sito (OMISSIS) del Ministero degli Esteri.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

2.1. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia omesso di verificare la sussistenza delle condizioni indicate dalle circolari emanate dal Governo italiano in tema di “emergenza Nord-Africa” (D.P.C.M. 5 aprile 2011 e successive) della quale il ricorrente era stato incolpevole vittima, benchè fosse acclarato il passaggio in Libia del ricorrente, ove aveva vissuto nove mesi, era stato torturato e costretto ai lavori forzato e poi costretto ad imbarcarsi.

2.2. La normativa relativa all’emergenza libica invocata dal ricorrente è stata considerata irrilevante dalla Corte territoriale, dal punto di vista temporale, poichè il ricorrente era transitato in Libia dopo la cessazione dello stato di emergenza.

Infatti il D.P.C.M. 5 aprile 2011, art. 1, prevedeva misure umanitarie di protezione temporanea da assicurarsi nel territorio dello Stato a favore di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa affluiti nel territorio nazionale dal 1/1/2011 alla mezzanotte del 5/4/2011, tramite il riconoscimento di permessi di soggiorno umanitari con misure prorogate con il D.P.C.M. 6 ottobre 2011, art. 1, comma 1 e del D.P.C.M. 15 maggio 2012, art. 1.

Nel motivo il ricorrente nulla oppone circa la data di passaggio sul territorio libico, come sopra rilevata dalla Corte catanese.

Vale quindi il principio generale dell’irrilevanza della situazione del Paese di transito: infatti agli effetti del riconoscimento della protezione internazionale l’indagine del rischio persecutorio e di danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al paese di origine, che è il paese o i paesi in cui il richiedente è cittadino, mentre solo per gli apolidi va effettuata con riferimento al paese in cui egli aveva precedentemente la dimora abituale. E’ pertanto irrilevante, ai fini della decisione, l’allegazione che in un paese di transito (nella specie: la Libia) si consumi una ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito traverso quel paese e il contenuto della domanda (Sez. 1, 06/12/2018, n. 31676; Sez. 6, 20/11/2018, n. 29875; Sez. 6, 06/02/2018, n. 2861).

2.3. L’integrazione lavorativa prospettata dal ricorrente, appare di per sè irrilevante: non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Sez. 6 – 1, n. 17072 del 28/06/2018, Rv. 649648 – 01; Sez. 1,’n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01).

Nella fattispecie la Corte di appello ha dato rilievo al fatto che in Senegal il ricorrente avesse avuto un lavoro e alla sua possibilità di reinserimento anche grazie all’esperienza lavorativa italiana, escludendo per converso una situazione di particolare vulnerabilità soggettiva e il rischio che il rimpatrio provochi l’intollerabile privazione dell’esercizio di fondamentali diritti umani.

3. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione.

PQM

La Corte

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2020

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