Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4046 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2021, (ud. 20/10/2020, dep. 16/02/2021), n.4046

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11409-2016 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RIDOLFINO VENUTI

27, presso lo studio dell’avvocato SILVIA CRETELLA, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIO CRETELLA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1126/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 27/10/2015 R.G.N. 1122/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 27.10.2015, la Corte d’appello di Salerno, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di M.C. volta alla restituzione degli importi illegittimamente trattenutigli in misura pari al 2,50% sull’80% della retribuzione corrispostagli quale dipendente del Ministero dell’Istruzione.

La Corte ha anzitutto osservato che, pur avendo chiesto il lavoratore di non aver applicata la trattenuta asseritamente operatagli in rivalsa ai sensi della L. n. 152 del 1968, art. 11 e del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 37 e di aver conseguentemente restituiti gli importi illegittimamente trattenutigli, tale trattenuta, in specie, non sarebbe mai stata effettuata in suo danno, essendo specificamente esclusa per i dipendenti pubblici transitati in regime di TFR dal D.P.C.M. 20 dicembre 1999, art. 1, comma 2, emanato in attuazione della L. n. 448 del 1998, art. 26, comma 19; dopo di che, pur giudicando assorbente tale rilievo, ha ritenuto legittimo il regime retributivo al quale è assoggettato il lavoratore in conseguenza delle disposizioni normative vigenti.

Ricorre per la cassazione di tali statuizioni M.C., deducendo tre motivi di censura. L’Avvocatura Generale dello Stato ha depositato atto di costituzione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale della L. n. 448 del 1998, art. 26, comma 19: a suo avviso infatti, tale disposizione normativa, nell’attuazione datane dal D.P.C.M. 20 dicembre 1999, art. 1 (che stabilisce, al comma 3, che per assicurare l’invarianza della retribuzione netta complessiva e di quella utile ai fini previdenziali dei dipendenti nei confronti dei quali si applica quanto disposto dal comma 2, la retribuzione lorda viene ridotta in misura pari al contributo previdenziale obbligatorio soppresso e contestualmente viene stabilito un recupero in misura pari alla riduzione attraverso un corrispondente incremento figurativo ai fini previdenziali), confliggerebbe con il principio di parità di trattamento dei dipendenti pubblici e privati di cui agli artt. 3 e 36 Cost..

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 437 e 112 c.p.c., per avere la Corte di merito dato ingresso all’appello del Ministero odierno resistente nonostante sollevasse questioni nuove e contrastanti con l’ammissione di fondatezza della domanda contenuta nella memoria di costituzione in primo grado.

Con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 36 Cost. e art. 2120 c.c. per non avere la Corte territoriale disapplicato la disciplina di cui al D.P.C.M. 20 dicembre 1999, cit., recante la nuova disciplina della fattispecie, siccome contenente previsioni contrastanti con quanto ritenuto da Corte Cost. n. 223 del 2012.

Ciò posto, il secondo motivo di censura, riguardando l’ammissibilità della pronuncia con cui la Corte territoriale, nell’accogliere l’appello del Ministero odierno resistente, ha dato applicazione alla disciplina censurata nel primo e nel terzo motivo, dev’essere logicamente esaminato in via preliminare ed è infondato: è sufficiente, sul punto rilevare che i giudici di merito, nel dare ingresso alle doglianze del Ministero circa la normativa effettivamente applicabile al caso di specie, hanno correttamente valorizzato il principio secondo cui il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili anche in difformità rispetto alle indicazioni delle parti, incorrendo nella violazione del divieto di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti (così, tra le più recenti, Cass. nn. 13945 del 2012 e 5153 del 2019).

Circa il primo e il terzo motivo, va preliminarmente ricordato che la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della L. n. 448 del 1998, art. 26, comma 19, e del meccanismo di invarianza della retribuzione netta complessiva e di quella utile ai fini previdenziali disciplinato dal D.P.C.M. 20 dicembre 1999, ha già escluso la ricorrenza di alcuna violazione del principio di parità di trattamento dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati (cfr. Corte Cost. n. 213 del 2018, richiamata in fattispecie analoga da Cass. n. 27383 del 2019).

Qui va soltanto aggiunto che, avendo la Corte territoriale escluso che il ricorrente abbia subito “ritenute” del tipo di quelle operate ai sensi della L. n. 152 del 1968, art. 11 e del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 37 delle quali era stata domandata la restituzione, la questione di legittimità costituzionale della L. n. 448 del 1998, art. 26, comma 19, sollevata con il primo motivo, sarebbe perfino inammissibile, giacchè, non potendo in alcun modo conseguirne l’accoglimento della domanda di restituzione originariamente proposta in giudizio, si risolverebbe nella prospettazione in via principale (e non già meramente incidentale) del vizio d’illegittimità costituzionale della disposizione di legge, ciò che non è punto consentito dalla L. n. 87 del 1953, art. 23 (così Corte Cost. n. 38 del 2009); e che, sempre in relazione alla domanda proposta nell’atto introduttivo del presente giudizio, altrettanto inammissibile, per difetto d’interesse (art. 100 c.p.c.), è da considerarsi il terzo motivo di censura, non potendo il suo eventuale accoglimento riverberarsi in alcuna restituzione di ritenute che, così come irrefutabilmente accertato dai giudici di merito (cfr. pag. 4, p. 9 della sentenza impugnata), non sono mai state operate in danno di parte ricorrente.

Il ricorso, pertanto, va rigettato, nulla statuendosi sulle spese di lite per non avere l’Avvocatura dello Stato svolto attività difensiva apprezzabile al di là del deposito dell’atto di costituzione.

Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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