Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 40447 del 16/12/2021
Cassazione civile sez. I, 16/12/2021, (ud. 07/10/2021, dep. 16/12/2021), n.40447
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 19819/2020 proposto da:
J.H., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandro Fabbrini,
giusta delega in calce al ricorso per cassazione;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,
domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli
uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.
– resistente –
avverso la sentenza della Corte di appello di TRENTO n. 256/2019,
pubblicata in data 24 ottobre 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/10/2021 dal consigliere Lunella Caradonna.
Fatto
RILEVATO
CHE:
1. Con sentenza del 24 ottobre 2020, la Corte di appello di Trento ha rigettato l’appello proposto da J.H., nato in Gambia, avverso l’ordinanza del Tribunale di Trento del 2 gennaio 2018, che aveva confermato il provvedimento di diniego della Commissione territoriale competente.
2. Il richiedente aveva riferito di avere lasciato il Gambia, nel marzo del 2014, dopo essere stato incarcerato per 5 giorni a causa della sua appartenenza al partito di opposizione UDP, nel quale militava lo zio; di essersi recato dapprima in Libia e poi in Italia, il 14 aprile 2015, stante l’insorgere della guerra civile.
3. La Corte di appello ha ritenuto che l’insussistenza di una grave persecuzione personale e diretta dell’appellante, essendo radicalmente mutata la situazione del Gambia, essendo cessato il regime dittatoriale, anche se lo stesso non si era mai scontrato con le precedenti autorità del Gambia; che l’appellante non aveva dedotto una condizione di pericolo di danno grave, né vi era una situazione di conflitto armato generalizzato o di violenza indiscriminata; che il richiedente non era soggetto particolarmente vulnerabile, tenuto conto anche del positivo mutamento del contesto politico del Gambia e che non erano emersi elementi positivi riguardo una sua integrazione in Italia, in quanto la documentazione prodotta afferiva a periodi di lavoro agricolo di qualche settimana all’anno, mentre il contesto sociale e politico del Gambia, in costante miglioramento, deponeva a favore di un rimpatrio dell’appellante.
4. J.H. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a due motivi.
5. L’Amministrazione intimata si è costituita al fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.
Diritto
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 e dell’art. 101 c.p.c. e dell’art. 24 Cost., comma 2, e si afferma la nullità del procedimento e del provvedimento definitorio per la violazione del principio del contraddittorio conseguente al mancato esperimento dell’interrogatorio libero delle parti, nonché la nullità, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, del provvedimento e del provvedimento per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e l’omessa motivazione sul punto.
Il ricorrente si duole che il procedimento di primo grado era stato deciso con ordinanza di estinzione prima che venisse svolta l’audizione del ricorrente e che con il successivo grado del giudizio era stato accolto il primo motivo di appello sulla illegittimità dell’estinzione, senza procedere all’audizione del ricorrente e senza rinviare al giudice di primo grado.
1.1 Il motivo è infondato.
1.2 Al riguardo va data continuità all’orientamento formatosi sul testo del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis per cui il giudice che sia investito del ricorso contro il provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale può esimersi dall’audizione del richiedente se a quest’ultimo, nella fase amministrativa, sia stata data la facoltà di essere sentito e il verbale del colloquio, ove avvenuto, sia stato reso disponibile (Cass., 17 luglio 2020, n. 15318; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5973).
Non e’, dunque, ravvisabile una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità, nell’omessa audizione personale del richiedente, poiché l’audizione comunque non si traduce in un incombente automatico neppure dinanzi all’affermata non credibilità del racconto.
Vi è semmai il diritto della parte di richiedere l’audizione personale a fronte di specifiche circostanze di fatto che si intendano chiarire, situazione giuridica soggettiva quest’ultima, tuttavia, cui si collega il potere officioso del giudice di valutare la rilevanza di quelle circostanze nel complesso degli elementi acquisiti, ben potendo il giudice del gravame respingere la domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dagli atti e di quelli emersi attraverso l’audizione svoltasi nella fase amministrativa (Cass., 20 gennaio 2020, n. 1088; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5973; Cass., 7 febbraio 2018, n. 3003).
1.3 Nel caso in esame, tuttavia, il ricorrente nemmeno ha precisato gli aspetti in ordine ai quali intendeva fornire chiarimenti, né ha indicato le specifiche circostanze fattuali meritevoli di approfondimenti, con la conseguenza che la censura si appalesa, sotto tale specifico profilo, del tutto generica.
2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione, falsa ed erronea interpretazione e/o applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonché del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19; dell’art. 3 della CEDU e dell’art. 2 Cost.; il vizio di motivazione, l’errata valutazione dei presupposti e la mancata concessione della protezione umanitaria, non avendo il Collegio operato la valutazione comparativa tra la odierna situazione del ricorrente e la possibile compressione del nucleo dei suoi diritti fondamentali, in caso di rientro in Gambia; che non era stata tenuta in considerazione la solida formazione utilmente spendibile acquisita dal ricorrente, e che la situazione del Gambia era del tutto compromessa sotto il profilo economico e sociale, come riscontrato dalla copiosa documentazione dimessa e da quanto affermato nell’atto di appello.
2.2 Il motivo è inammissibile.
2.3 Sul punto, la sentenza delle Sezioni Unite del 13 novembre 2019, n. 29459 ha affermato che i seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali cui il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, sono accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.
Al fine di verificare la sussistenza di tale condizione è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio; né il livello di integrazione dello straniero in Italia né il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Tale riconoscimento deve infatti essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455).
2.4 Ciò posto, il ricorrente, nel denunciare dell’impugnata sentenza la violazione della normativa sulla protezione umanitaria, non si confronta con lo specifico iter argomentativo dei giudici di merito, che, lungi da non considerare l’integrazione sociale e lavorativa del ricorrente in Italia, hanno affermato che la documentazione prodotta afferiva a periodi di lavoro agricolo di qualche settimana all’anno e non era indice di un fondato inserimento e che il contesto sociale e politico del paese di provenienza deponeva a favore di un rimpatrio, perché era una situazione in costante miglioramento, sia per le libertà politiche, che per la situazione sociale ed economica.
2.5 Il motivo, dunque, si risolve nella mera istanza di revisione del giudizio di fatto operato dal giudice di merito, nel rispetto, peraltro, del principio statuito da questa Corte secondo cui, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, se il giudice è chiamato a verificare l’esistenza di seri motivi, che impongano di offrire tutela a situazione di vulnerabilità individuale, è comunque “necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass., 2 luglio 2020, n. 13573).
3. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Nessuna statuizione va assunta sulle spese, perché l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2021