Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 40445 del 16/12/2021

Cassazione civile sez. I, 16/12/2021, (ud. 28/09/2021, dep. 16/12/2021), n.40445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23153/2020 proposto da:

T.N., rappresentata e difesa dall’avv. Lucio Alfonso

Liguori e domiciliata presso l’avv. Antonello Ciervo, in Roma, via

Po 22, come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO del 22 giugno 2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/09/2021 da FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Milano del 25 giugno 2020. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che alla ricorrente T.N., proveniente dal Madagascar, potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che la stessa potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

Si legge nel provvedimento impugnato che la ricorrente aveva riferito della situazione di instabilità che era seguita al colpo di Stato del 2009 e dei numerosi episodi di violenza e rapina cui aveva assistito. Il Tribunale ha rilevato, con riguardo alla domanda relativa al riconoscimento dello status di rifugiato, che nella fattispecie non ricorreva una vicenda persecutoria, nel senso indicato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, e che il notevole lasso di tempo trascorso dai fatti narrati determinava il venir meno dell’attualità di un rischio legato al rimpatrio. Quanto alla protezione sussidiaria, il giudice del merito ha evidenziato che l’istante non aveva allegato fatti da cui potesse desumersi l’applicazione di sanzioni sproporzionate da parte dell’autorità statale, o il rischio esistente nell’inflizione di trattamenti inumani o degradanti; ha altresì escluso che il Madagascar, e segnatamente la regione di provenienza della ricorrente, fosse teatro di una situazione di violenza indiscriminata. In merito alla protezione umanitaria, il Tribunale ha negato che all’istante fosse riconducibile una condizione di vulnerabilità personale.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo sono denunciate la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 ss. e 14 ss. nonché del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5. Viene ricordato che la ricorrente era emigrata non per una problematica economica familiare ma per il pericolo reale ed attuale di essere preda di rapine e violenze. Viene inoltre sottolineata la contraddittorietà del provvedimento impugnato che aveva ritenuto credibile la ricorrente laddove aveva affermato di aver lasciato il paese di origine a causa della situazione di generale instabilità dello stesso e della crisi da sovraindebitamento della propria famiglia. Il provvedimento viene poi censurato della valutazione dell’attendibilità estrinseca del racconto: si rileva, infatti, che tutto il Madagascar è esposto al pericolo di gruppi di banditi denominati dahalo. Con riguardo alla protezione umanitaria, viene dedotto non potesse negarsi la condizione di vulnerabilità soggettiva riferibile all’istante. E poi sottolineato che la stessa, in Italia, si era ricongiunta alle due sorelle, con cui, dunque, formava un unico nucleo familiare; viene pure dedotto che la stessa ricorrente risultava integrata nel tessuto sociale italiano, svolgendo un’attività lavorativa e parlando perfettamente la nostra lingua.

Col secondo motivo vengono lamentate l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonché la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5. Osserva la ricorrente che nella fattispecie si imponeva di svolgere uno specifico esame della propria condizione soggettiva, prendendo in considerazione la permanenza della stessa nel territorio italiano e la sussistenza di legami familiari e affettivi nel nostro paese. E’ invocato il rilievo da annettersi al vincolo di natura familiare che interessa l’istante, avendo riguardo ai generali principi fissati dall’art. 8 CEDU ed è sottolineato che la tutela dell’unità familiare rappresenta “l’obiettivo a cui deve tendere ogni scelta in tema di diritto alla concessione di un valido titolo di soggiorno”.

Il terzo mezzo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.. Deduce l’istante che nel corso del giudizio di merito il Ministero si era costituito tramite un funzionario omettendo di difendersi e di prendere posizione sulle deduzioni della ricorrente. Non avendo l’Amministrazione offerto prove contrarie in relazione a quanto emerso in occasione del procedimento di primo grado, la mancata specifica contestazione di tutti i fatti oggetto di allegazione andava presa in considerazione dal giudice del merito, il quale avrebbe dovuto ritenere accertati, in quanto pacifici, i fatti stessi.

2. – Le censure sul rifugio e sulla protezione sussidiaria sono da disattendere perché il Tribunale ha accertato non ricorrere alcuna ipotesi di persecuzione, ha negato siano state allegate situazioni riconducibili alle fattispecie di cui all’art. 14, lett. a) e b) e ha escluso, infine, la presenza, nella regione di provenienza della ricorrente, di una violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Con particolare riguardo alle minacce che avrebbero subito i genitori della ricorrente da parte dei banditi denominati dahalo, il Tribunale ha rilevato, sulla base di un giudizio di fatto insindacabile in questa sede, che i medesimi sono principalmente dediti al furto del bestiame e risultano inoltre attivi nella regione rurale meridionale del paese (area geografica diversa da quella da cui è migrata l’istante); lo stesso giudice di prime cure ha espresso del resto il convincimento della natura meramente ipotetica delle affermazioni rese dalla ricorrente quanto alla provenienza delle minacce dai nominati malviventi: convincimento che, per inerire al giudizio riservato al giudice del merito, sfugge a censura. Quanto all’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c), cit., è appena il caso di ricordare che la violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale costituisce oggetto di un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064), suscettibile di essere censurato in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105), oltre che per assenza di motivazione (nel senso precisato da Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054): censure – queste – che la ricorrente non ha nemmeno sollevato.

In punto di protezione umanitaria è da rammentare che ai fini del riconoscimento della stessa occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta in Italia (cfr. da ultimo Cass. Sez. U. 9 settembre 2021, n. 24413). Il Tribunale ha operato un accertamento in tal senso: ha osservato che la ricorrente risultava essere maggiorenne e che i suoi genitori risiedono entrambi attualmente in Madagascar; ha quindi rilevato non riscontrarsi indici di vulnerabilità che testimonino di una disparità tra la vita trascorsa nel territorio nazionale e quella che la ricorrente risulta aver condotto nel paese di origine, avuto riguardo all’attività all’epoca già intrapresa, precisando, al riguardo, che la medesima lavorava in Madagascar presso una clinica. Il motivo di censura sollecita, in sostanza, un riesame del giudizio di comparazione avendo riguardo al nucleo fattuale che lo connota: riesame che non è in questa sede consentito.

Il terzo mezzo è carente di autosufficienza. Quando il motivo di impugnazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione, per consentire alla Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorrente ha l’onere di indicare, in osservanza del principio di autosufficienza, con quale atto e in quale sede sia stata fatta quella deduzione in fatto e in quale modo la circostanza sia stata provata o risultata pacifica (Cass. 18 luglio 2007, n. 15961 e Cass. 12 ottobre 2017, n. 24062; cfr. inoltre Cass. 23 luglio 2009, n. 17253, secondo cui l’onere del rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione sussiste anche quando si reputi che una data circostanza debba ritenersi sottratta al thema decidendum, in quanto non contestata). Il ricorso per cassazione non contiene alcuna trascrizione degli atti processuali, tra cui i verbali di udienza, atti a corroborare quanto dedotto con riguardo alla mancata contestazione dei fatti posti a fondamento della domanda.

3. – Il ricorso è in conclusione inammissibile.

Ciò esime – pur in presenza di una procura ad litem apposta in calce al ricorso carente della certificazione del suo conferimento in data posteriore a quella della comunicazione del provvedimento impugnato (cfr. Cass. Sez. U. 1 giugno 2021, n. 15177) – dal differire la trattazione del ricorso e dall’attendere la pronuncia del Giudice delle leggi sulla questione – posta da Cass. 23 giugno 2021, n. 17970 – intorno alla costituzionalità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, (che tale certificazione impone).

4. – Nulla è da statuire in punto di spese.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della la Sezione Civile, il 28 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2021

 

 

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