Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 40442 del 16/12/2021

Cassazione civile sez. I, 16/12/2021, (ud. 28/09/2021, dep. 16/12/2021), n.40442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21674/2020 proposto da:

A.M., rappresentato e difeso dall’avv. Raffaele Rigamonti,

come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO del 26 maggio 2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/09/2021 da FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Milano del 26 maggio 2020. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente A.M., nato in (OMISSIS), potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

La vicenda posta a fondamento della domanda di protezione internazionale è stata così riassunta dal Tribunale: a partire dalla metà del 2010 lo zio del ricorrente si era mostrato interessato al terreno del padre ed era ricorso a minacce e violenze fisiche per impossessarsene; il richiedente e il suo genitore rinunciarono a rivolgersi alla polizia in quanto la famiglia dello zio risultava protetta dalle autorità; il padre del ricorrente decise, di conseguenza, di vendere il terreno a un terzo e col ricavato di tale operazione pagò un trafficante per lasciare, insieme alla moglie e al figlio, il paese. Il giudice del merito ha ritenuto non credibile che l’istante abbia lasciato il paese di origine a causa dei cattivi rapporti intercorsi tra la sua famiglia e quella dello zio, rilevando come la vicenda narrata non fosse adeguatamente circostanziata e presentasse, inoltre, contraddizioni. Il Tribunale ha inoltre escluso, sulla base di fonti informative citate nel decreto, l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata nel (OMISSIS) e, in particolare, nel Punjab, regione da cui proveniva il ricorrente. Infine ha negato il riconoscimento della protezione umanitaria osservando, per un verso, come le attività svolte dal richiedente nel periodo di accoglienza nel nostro paese denotassero una situazione di per sé non indicativa di un effettivo radicamento in Italia e, per altro verso, come non si riscontrassero indici di vulnerabilità che testimoniassero una disparità tra la vita condotta dal richiedente nel territorio nazionale e la precedente esistenza, trascorsa nel paese di origine.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11. Rileva il ricorrente che all’udienza fissata “egli si presentava senza interprete e non poteva fare altro che riportarsi al ricorso”. Viene osservato che la mancata convocazione del richiedente e il suo mancato esame siano in contrasto con la norma citata.

Col secondo motivo è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, lett. a). Viene osservato che nel ricorso si era fatto presente come in (OMISSIS) esistesse un particolare fenomeno di corruzione per il quale le forze dell’ordine non tutelano i singoli cittadini ma “quanti versino più denaro per quelle prestazioni che in un paese normale costituirebbero un preciso dovere dell’ufficiale”. Si deduce che tale problema, ove correttamente ponderato, avrebbe condotto il giudice del merito ad accordare al richiedente quantomeno la protezione umanitaria.

Il terzo mezzo lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Viene osservato come il verbale della commissione risultasse essere impreciso e si sostiene, di conseguenza, che il Tribunale avrebbe dovuto nuovamente esaminare il ricorrente, richiedendo allo stesso le opportune precisazioni.

2. – Il primo motivo può essere trattato insieme al terzo, per ragioni di connessione. Non è chiaro, dal tenore del ricorso, se l’istante assuma che il Tribunale avesse disposto, fin dal decreto di fissazione di udienza, che non si sarebbe dato corso all’audizione personale del richiedente. Se anche così fosse, la censura sarebbe peraltro carente di decisività: è vero, infatti che secondo la giurisprudenza di questa S.C., viola la prescrizione contenuta al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, lett. a), ed e’, pertanto nullo, per un difetto del requisito di forma-contenuto, il decreto di fissazione dell’udienza che previamente disponga che non vi sarà audizione del richiedente, per non essere questa necessaria in concreto (Cass. 16 novembre 2020, n. 25943); è però altrettanto vero che la nullità non può essere dichiarata, a norma dell’art. 157 c.p.c., comma 3, in quanto il decreto di fissazione di udienza non ha impedito al ricorrente di partecipare all’udienza (come espressamente ammesso a pag. 3 del ricorso). Con riguardo all’obbligo di audizione si delinea, poi, un deficit di autosufficienza: infatti, il ricorso per cassazione con il quale sia dedotta, in mancanza di videoregistrazione, l’omessa audizione del richiedente che ne abbia fatto espressa istanza, deve contenere l’indicazione puntuale dei fatti che erano stati dedotti avanti al giudice del merito a sostegno di tale richiesta, avendo il ricorrente un preciso onere di specificità della censura (Cass. 11 novembre 2020, n. 25312). E’ da osservare, per completezza, che, contrariamente a quanto pare ritenere il ricorrente, il detto incombente non potrebbe dirsi necessitato: infatti, nel giudizio innanzi all’autorità giudiziaria, successivo alla decisione della commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purché sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla commissione territoriale o, se necessario, innanzi al tribunale: onde il giudice ben può respingere una domanda di protezione internazionale se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione (Cass. 20 gennaio 2020, n. 1088; Cass. 28 febbraio 2019, n. 5973; si tratta di una giurisprudenza che è conforme al quella unionale: cfr. infatti Corte giust. UE 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko). I due motivi in esame sono, dunque, inammissibili.

Il secondo motivo è pure inammissibile. Esso mostra di non cogliere la ratio decidendi dell’impugnato provvedimento per la parte che qui interessa. Il Tribunale ha ritenuto che la narrazione del ricorrente circa le minacce e le violenze imputate allo zio fossero connotate da genericità e incongruenze (pagg. 5 s. del decreto impugnato): elementi, questi, idonei a rendere la detta narrazione non credibile, a mente del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Tanto escludeva la necessità di approfondimenti istruttori: infatti, “la riferibilità soggettiva e individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria ex lett. a) e b) dell’art. 14, escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status” (Cass. 17 giugno 2018, n. 16925, in motivazione). In altri termini, ove vengano in questione le ipotesi del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; cfr. pure: Cass. 19 giugno 2020, n. 11936; Cass. 3 luglio 2020, n. 13756), non vi è ragione di attivare poteri di istruzione officiosa finalizzati alla verifica di fatti o situazioni che, in ragione della appurata non credibilità della narrazione del richiedente, devono reputarsi estranei alla vicenda personale di questo.

3. – Il ricorso è dunque inammissibile.

Ciò esime – pur in presenza di una procura ad litem apposta in calce al ricorso carente della certificazione del suo conferimento in data posteriore a quella della comunicazione del provvedimento impugnato (cfr. Cass. Sez. U. 1 giugno 2021, n. 15177) – dal differire la trattazione del ricorso e dall’attendere la pronuncia del Giudice delle leggi sulla questione – posta da Cass. 23 giugno 2021, n. 17970 -intorno alla costituzionalità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, (che tale certificazione impone).

4. – Nulla sulle spese.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della la Sezione Civile, il 28 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2021

 

 

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