Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 40431 del 16/12/2021
Cassazione civile sez. I, 16/12/2021, (ud. 16/09/2021, dep. 16/12/2021), n.40431
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 20624/2020 proposto da:
O.I., rappresentato e difeso, giusta procura speciale
estesa in calce al ricorso, dall’avvocato Chiara Villante,
domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso la cancelleria civile
della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 22/2020 della Corte di appello di Brescia,
depositata il 7 gennaio 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
dell’8 marzo 2021 dal relatore Dott. Marco Vannucci.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza pubblicata il 7 gennaio 2020, la Corte di appello di Brescia respinse l’appello proposto da I.O. (di nazionalità (OMISSIS)) per la riforma dell’ordinanza emessa il 15 giugno 2017 dal Tribunale di Brescia, dispositiva del rigetto delle domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato, alla concessione della protezione sussidiaria e, in subordine, della protezione umanitaria.
1.1. Questa è la sintesi del racconto fatto dal ricorrente nelle sedi procedimentali e giurisdizionali, per come riportato nella sentenza:
egli raccontava di essere cittadino (OMISSIS), nato nello Stato federato del (OMISSIS), e di essere di etnia (OMISSIS) e di fede (OMISSIS);
nel 2010, alla morte del padre, la famiglia rimase vittima di angherie e soprusi posti in essere per questioni ereditarie dallo zio paterno, influente uomo politico, che aveva anche ucciso il fratello di esso narrante;
egli dunque, succeduto al fratello nell’eredità, per sottrarsi alla morte per mano dello zio, decideva di abbandonare il villaggio, trasferendosi nel nord della (OMISSIS), nello specifico nel villaggio di (OMISSIS), nel (OMISSIS), riuscendosi a costruire una vita lavorando come saldatore;
nel 2013 il villaggio di (OMISSIS) venne sconvolto da due giorni di violenza noti come “il massacro di (OMISSIS)”, nel corso del quale vennero uccise più di 200 persone e costringendo, dunque, esso narrante a fuggire dapprima in Niger, poi in Libia e infine in Italia.
1.2 In particolare, la sentenza afferma che: i) la narrazione del richiedente appare non credibile e contraddittoria su più aspetti, nell’atto specificamente indicati (pagg. 6 e 7); ii) quanto poi alla situazione della (OMISSIS) va rappresentato che il luogo di un’effettiva provenienza del richiedente è (OMISSIS), sito nel sud del paese; la situazione critica per la criminalità e per i diritti umani violati, emergente anche nel Sud della (OMISSIS), come risulta dalle fonti nell’atto specificamente indicate, non è tale da assurgere ad una situazione di violenza generalizzata; iii) non vi sono dunque i presupposti per l’accoglimento delle domande di riconoscimento dello status di rifugiato e di concessione di protezione sussidiaria; iv) non vi sono neppure gli estremi per la concessione della protezione umanitaria, in quanto l’appellante nulla ha dedotto quanto una sua eventuale vulnerabilità soggettiva, non risulta “alcuna documentazione circa un eventuale percorso di integrazione”, egli ha moglie e figlia in (OMISSIS), “non ha problemi di salute, né ha particolari problemi di sradicamento”.
2. Per la cassazione di questa sentenza O. propose ricorso contenente tre motivi di impugnazione.
3. L’intimato Ministero dell’Interno, costituitosi al solo scopo dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa, non ha svolto attività difensiva.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 e art. 35-bis, comma 9, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, erronea contraddittoria motivazione e “omessa valutazione di elementi di fatto e di diritto” (art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5)).
Alla luce del racconto presente nel ricorso emerge che “la sentenza impugnata va riformata nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria”.
Invero, secondo il ricorrente: sussiste, in capo all’autorità statale che valuta la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della forma di protezione in esame, il dovere di svolgere un’indagine officiosa sull’effettivo contrasto alla violenza svolto dalle autorità statuali del paese di provenienza e sul pericolo per l’incolumità cui sia esposto il cittadino straniero in caso di rientro nel paese d’origine (…); il D.Lgs. n. 25 del 2008 fa sorgere in capo al giudice il potere-dovere di accertare la situazione reale del Paese di origine dei richiedenti (…) in modo che ciascuna domanda di protezione internazionale venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate e veritiere; il provvedimento impugnato è frutto di un’errata e/o falsa applicazione delle norme che disciplinano il riconoscimento della protezione sussidiaria, nonché di un’istruttoria carente; la sentenza impugnata, senza svolgere alcuna attività di indagine, si è limitata ad escludere la sussistenza di un grave danno, così come definito dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, senza fornire alcuna motivazione; è evidente che il giudicante, in violazione di quanto disposto dal combinato disposto del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 e art. 35-bis, comma 9, ha valutato la domanda di protezione sussidiaria in base a generiche informazioni sulla situazione interna della (OMISSIS), omettendo di accertare la situazione reale del paese di proveniente.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce che la sentenza è caratterizzata da violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2,3 e 14, nonché da omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, “erronea, contraddittoria motivazione e omessa valutazione di elementi di fatto e di diritto” (art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5).
Viene rilevato come “e’ del tutto evidente che il giudice dell’Appello si è limitato a valutare la domanda di protezione sussidiaria in base a generiche informazioni sulla situazione interna della (OMISSIS); la Corte di Appello di Brescia, nel ritenere insussistente la situazione di pericolo rappresentata dal ricorrente, ha erroneamente valutato la documentazione allegata dello stesso al fine di dimostrare la situazione di pericolo soggettiva derivante dalla situazione generale del paese;
infatti, lo straniero, a prescindere dalla sua vicenda personale, ha diritto al riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g) e art. 14, lett. c), perché deve ritenersi fondato il rischio che lo straniero sia esposto a “un grave danno”, stante l’attuale situazione generale del paese di provenienza, dunque (…) non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico. Le esigenze di protezione internazionale, inoltre, non sono limitate a situazioni di guerra dichiarata o a conflitti internazionali riconosciuti, potendosi riconoscere alla definizione del termine “conflitto armato interno” una portata più ampia di violenza indiscriminata, non fronteggiata adeguatamente dallo Stato di appartenenza. Attraverso la consultazione di siti e informazioni prese da internet (…) è possibile accertare su tutto il territorio (OMISSIS)no l’esistenza di una spirale di violenza che ha mietuto migliaia di vittime anche nel sud del paese (…) a tal scopo va richiamata l’attenzione del giudicante sulla documentazione allegata al ricorso di primo grado dalla quale emerge che in (OMISSIS) sussiste una situazione di grave instabilità sociopolitica ed il pericolo per i cittadini di essere esposti al pericolo di vita o di incolumità fisica”.
3. Tali motivi, da trattare congiuntamente in ragione della loro stretta connessione, sono manifestamente inammissibili poiché, le doglianze si sostanziano solo in generici riferimenti ai principi regolatori dell’invocato istituto protettivo, senza che il ricorrente si preoccupi di intercettare la ratio decidendi posta alla base della decisione di conferma del diniego della protezione sussidiaria.
La sentenza impugnata, invero, da un lato, con motivazione congrua (e come tale insindacabile in questa sede), ha affermato la non credibilità della narrazione fatta dal ricorrente, con conseguente insussistenza dei presupposti di applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), e ha, conformemente a diritto, esteso la propria cognizione alle informazioni, officiosamente acquisite, sul paese di origine dell’odierno ricorrente, dando specifico conto delle specifiche fonti dalle quali ha tratto le proprie conclusioni circa l’insussistenza, nella regione della (OMISSIS) di provenienza del ricorrente ((OMISSIS)), delle condizioni legittimanti la sua richiesta di protezione, in applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c).
A tale, quanto mai puntuale, accertamento il ricorrente si limita a contrapporre fatti da lui solo desunti dal contenuto di “siti attendibili”, dalla “stampa internazionale”, dal “rapporto di Amnesty International”; senza, ovviamente, specificare se tali fonti di cognizione siano state acquisite al processo di appello.
4. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia, per le ragioni nell’atto illustrate, la violazione ovvero la falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3, del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, nonché la “omessa valutazione di fatto e di diritto, erronea e/o contraddittoria motivazione”.
5. La censura, per come dedotta, è inammissibile, in quanto: è caratterizzata da alquanta astrattezza (il ricorrente si limita citare principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di protezione umanitaria senza alcun riferimento al fatto concreto); non censura concretamente la esplicita ragione della decisione di conferma del rigetto della domanda di concessione di permesso di soggiorno per motivi umanitari (conformantesi ai principi ribaditi da Cass. S. U., n. 29459 del 2019, secondo cui “in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato”).
6. Non vi è obbligo di pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione non avendo la parte vittoriosa svolto difese.
Stante il tenore della presente pronuncia, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto; spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (in questo senso, cfr., per tutte: Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 16 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2021