Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4043 del 19/02/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4043 Anno 2013
Presidente: MASSERA MAURIZIO
Relatore: SEGRETO ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 271-2010 proposto da:
RUSSELLO ANGELO S.P.A. 01179080856 (già TECN1CAL) in
persona dell’ Amministratore e legale rappresentante
EMANUELE CASCHETTO, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA GAVORRANO 12, presso lo studio dell’avvocato MARIO
GIANNARINI, rappresentata e difesa dall’avvocato RICCA
2013

SILVANA giusta delega in atti;
– ricorrente –

106
contro

MILANO ASSICURAZIONI S.P.A. 00957870161 in persona del
legale rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege

Data pubblicazione: 19/02/2013

in

ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa. dall’avvocato
CAMMALLERI GIUSEPPE giusta delega in atti;
CIARAMELLA ROCCO CRMRCC73E31D960X, BACHIONI FILIPPA
BCHEPP51R59D9600, CIARAMELLA FILIPPA CRMEPP72E57D9600,
ex

lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato
GUARNACCIA ROCCO giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

RUSSELL° ANGELO;

intimato

avverso la sentenza n. 236/2008 della CORTE D’APPELLO
di CALTANISSETTA, depositata il 07/11/2008, R.G.N.
3/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/01/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
SEGRETO;
udito l’Avvocato SILVANA RICCA;
udito l’Avvocato GIUSEPPE CAMMALLERI;
udito l’Avvocato CALOGERO “INFUSO per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
l’accoglimento p.q.r. del ricorso;

2

CIARAMELLA ANTONIO CRMNIN77A29D960D, domiciliati

Ricorso n. 271/2010
Svolgimento del processo
Il tribunale di Gela, con sentenza n.53/1998, affermava la penale
responsabilità di Russello Angelo quale amministratore unico
dell’omonima società per il reato di omicidio colposo in danno di
Ciaramella Francesco, operaio specializzato alle dipendenze della

condannandolo in solido con il responsabile civile al risarcimento
dei danni patiti dalle parti civili. Passata in giudicato la
sentenza penale, con citazione notificata il 6.5.2002 Bacchioni
Filippa, Ciaramella Filippa, Rocco ed Antonio, prossimi congiunti
di Ciaramella Francesco convenivano davanti al tribunale di Gela,
Russell° Angelo, la s.p.a. Angelo Russello e la Milano
Assicurazioni chiedendo la quantificazione dei danni. Resistevano
i convenuti, mentre la Angelo Russell° proponeva domanda di
manleva nei confronti della propria assicuratrice per la
responsabilità civile, la s.p.a. Milano Assicurazioni.
Il tribunale, con sentenza del 26.11.2005, liquidava agli attori
la somma di C. 332.492,11 oltre interessi legali dall’evento, che
determinava in C. 296.250,00 ponendo tali somme a carico dei
convenuti ( per la Milano nei limiti del massimale pari a £. 200
milioni).
Su appello principale della Milano Assicurazioni ed incidentale di
Tecnical s.p.a (già Angelo Russello s.p.a.) e di Russello Angelo,
la corte di appello di Catania dichiarava che le somme già
corrisposte dalla Milano agli attori, e da detrarre ai fini del
calcolo del saldo, erano pari ad C. 25.064,68 e dichiarava che la
Milano era tenuta a corrispondere sul massimale di polizza la
rivalutazione monetaria e gli interessi di mora; confermava nel
resto la sentenza.
In particolare, per quanto ancora interessa, riteneva la corte di
appello che il motivo di appello con cui si chiedeva la
determinazione del massimale di polizza pari a L. 200 milioni per
ogni parte danneggiata e non in relazione al solo prestatore
,

3

Angelo Russell° s.p.a., in conseguenza di infortunio sul lavoro,

d’opera che aveva subito lesioni integrava eccezione nuova
inammissibile in appello a norma dell’art. 345 c.p.c. e che in
ogni caso tale tesi
assicurazione,

non trovava riscontro nel contratto di

poiché il rischio assunto dall’assicuratore nei

confronti dei “prestatori di lavoro” non poteva intendersi come
rischio nei confronti di

“parti danneggiate”;

che

nella

fattispecie i prossimi congiunti non potevano ritenersi terzi,

l’interpretazione della corte territoriale – i soggetti estranei
all’attività industriale ed edile della società assicurata ed in
occasione di questa. Secondo la corte di merito nella fattispecie
non era ravvisabile un concorso di colpa del lavoratore per
mancata adozione del casco protettivo, sia perché nella
fattispecie esisteva sul fatto il giudicato penale che non
contemplava tale concorso di colpa, sia perché nella fattispecie
la mancanza di casco non aveva avuto alcuna efficienza causale,
avendo la vittima “sbattuto con il viso contro La parete” e non
essendo certo che egli non indossasse il casco.
Infine la corte di appello riteneva che era equa e corretta la
liquidazione del danno morale effettuata dal giudice di primo
grado, che aveva valutato tutti gli elementi necessari per tale
liquidazione.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione

la

Russell° Angelo s.p.a.. Resistono con rispettivi controricorsi la
Milano Assicurazione s.p.a. e Bacchioni Filippa, Ciaramella
Filippa, Rocco ed Antonio.
La ricorrente e la Milano hanno presentato memorie.
Motivi della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta

la

violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione
all’art. 2043, 2059, 2056, 1218 c.c. , per avere la Corte di
appello erroneamente ritenuto eccezione nuova ed inammissibile in
appello l’estensione ad ogni erede del massimale previsto per
il singolo prestatore di lavoro.
2.1.

Il motivo è fondato, anche se esso non dà luogo a cassazione
4

perché con tale espressione nel contratto si intendevano – secondo

della sentenza perché l’erronea motivazione in diritto va corretta
da questa Corte, essendo il dispositivo conforme a diritto, come
si dirà successivamente esaminando i restanti motivi attinenti
alla controversia tra la parte ricorrente e la Milano
Assicurazioni s.p.a. (art. 384 , c. 4, c.p.c.).
Premesso, anzitutto, che nella fattispecie non si tratterebbe
neppure in astratto di eccezione da parte dell’assicurata, ma al

assicurativa,

va osservato che si ha domanda nuova

inammissibile in appello – per modificazione della “causa petendi”
quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi
al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di
fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado,
comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato
e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di
decisione, alteri l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini
della controversia, in modo da porre in essere una pretesa
diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in
primo grado e sulla quale non si é svolto in quella sede il
contraddittorio.
2.2.Nella fattispecie

non sussiste alcuna violazione dell’art.

345 c.p.c. da parte di Tecnica’, in quanto la stessa, richiedendo
che fosse considerato il massimale di £. 300 milioni in favore
degli attori che avevano agito iure proprio per il risarcimento
del danno biologico e morale, faceva seguito alla domanda
originaria, con cui aveva chiesto di essere manlevata
dall’assicuratore di tutte le somme al cui pagamento fosse stata
condannata nei confronti degli stessi, senza indicare uno
specifico limite. Quindi l’appellante non aveva mutato la propria
pretesa, ma aveva solo sviluppato argomentazioni difensive a
sostegno della quantificazione della stessa.
3.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la

violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c..
Ritiene la ricorrente che gli attori, agendo per il risarcimento
del danno non patrimoniale conseguente al decesso del loro

5

più di domanda relativamente all’estensione della copertura

congiunto, hanno agito iure proprio ed hanno quindi fatto valere
un diritto proprio, per cui vanno considerati terzi rispetto al
congiunto deceduto; che, conseguentemente il limite per ciascun
attore è di £. 300 milioni, poiché “essi prospettano la lesione
di un diritto loro” e poiché la polizza assicurativa prevede il
massimale di £. 300 milioni per ogni persona che abbia subito
lesioni personali.

sensi dell’art. 2059 c.c., i terzi che agiscono iure proprio per
il risarcimento del danno non patrimoniale subito a seguito della
morte di un congiunto devono essere considerati terzi ai fini
dell’applicabilità della polizza assicurativa per responsabilità
civile verso terzi che prevede, come nella specie, un determinato
massimale per ogni persona che abbia subito lesioni personali,
dovendo considerarsi tali tutti i danni non patrimoniali alla
persona e dunque anche il danno biologico ed il danno morale”.
4.

Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la

violazione dell’art. 112 c.p.c. , in quanto, pur avendo la
Tecnical esplicitamente eccepito che il massimale per ogni terzo
danneggiato dovesse essere determinato nella misura di 300 e non
di 200 milioni di lire, perché si trattava si risarcimento danni
dovuto a terzi e non a dipendenti, la corte di merito non aveva
esaminato la questione, confermando che l’indennizzo doveva essere
contenuto nella somma totale di £. 200 milioni.
5. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta il vizio
di motivazione insufficiente e contraddittoria dell’impugnata
sentenza

su un punto decisivo della controversia per aver

ritenuto che erano da considerare terzi solo coloro che avevano
subito conseguenze lesive dirette ed erano estranei all’attività
industriale ed edile della società assicurata ed in occasione di
questa, mentre gli attori avevano agito iure proprio per una
lesione diretta del danno parentale.
6.1. I

motivi suddetti, essendo strettamente connessi, vanno

esaminati congiuntamente.
Essi sono infondati.
6

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto ” Ai

Correttamente la corte di merito ha osservato che nella
fattispecie non sono applicabili i principi stabiliti in tema di
massimale per danneggiato dalla l. n. 990/1969 in tema di RCA,
poiché quella assicurazione è obbligatoria ed è regolata quindi
dalla legge, mentre nella fattispecie trattasi di assicurazione
volontaria per la responsabilità civile, con la conseguenza che
l’obbligazione dell’assicuratore è limitata alla responsabilità

Nella

fattispecie

la

clausola

contrattuale,

correttamente

riportata nel ricorso, prevede che : ” L’assicurazione vale fino
alla concorrenza complessiva, per capitali, interessi e spese di
£. 1.000.000.000. per ogni sinistro, ma con i massimi per la
responsabilità civile verso terzi, di £. 300 milioni per ogni
persona che abbia subito lesioni personali, e di L. 300 milioni
per danni a cose o animali e, per la responsabilità civile verso
prestatori di lavoro di £. 200 milioni per ogni persona che abbia
subito lesioni personali”.
6.2.

Il secondo motivo di ricorso

ha ad oggetto due profili

giuridici.
Il primo è che gli attori , prossimi congiunti del soggetto
vittima dell’incidente mortale, abbiano agito iure proprio per il
risarcimento di un danno non patrimoniale diretto

e proprio e che

quindi, rispetto al congiunto, siano terzi.
Il secondo è che

(come emerge chiaramente anche dal quesito di

diritto) devono considerarsi lesioni personali tutti i danni non
patrimoniali alla persona e dunque anche il danno biologico ed il
danno morale.
Questi due profili

sono poi il presupposto su cui si fondano

anche i motivi terzo e quarto.
Ritiene questa Corte che la prima censura del secondo motivo sia
esatta , ma che la seconda sia infondata, con la conseguenza che i
tre motivi vanno rigettati.
6.3.

Già con la sentenza n. 9556/2002, le S.U. di questa Corte

hanno ritenuto che ai prossimi congiunti di persona che abbia
subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni

7

dedotta consensualmente in contratto.

personali, spettasse anche il risarcimento del danno morale
concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione
affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto
dell’art. 1223 cod. civ., in guanto anche tale danno trovava causa
immediata e diretta nel fatto dannoso. Le S.U. hanno ritenuto
che in tal caso il congiunto è legittimato ad agire “iure proprio”
contro il responsabile, per ottenere il risarcimento di un danno

(proprio della giurisprudenza francese).
6.4.Nella fattispecie, quindi, gli attori che hanno agito per
ottenere il risarcimento del danno morale e del danno biologico
(rectius: del danno non patrimoniale) subiti per la morte del
congiunto, hanno agito per il risarcimento di un danno proprio.
7.1.

Non può invece essere condivisa da questa Corte la censura

secondo cui le “lesioni personali” coincidano con il danno non
patrimoniale risarcibile, costituito dal danno biolologico e dal
danno morale.
Osserva preliminarmente questa Corte che l’insufficienza del
tradizionale recepimento in sede civile dell’elaborazione
penalistica in tema di nesso causale è emersa con chiarezza nelle
concezioni moderne della responsabilità civile, che costruiscono
la struttura della responsabilità aquiliana intorno al danno
ingiusto, anziché al “fatto illecito”, divenuto “fatto dannoso”.
In effetti, mentre ai fini della sanzione penale si imputa al reo
il fatto – reato (il cui elemento materiale è appunto costituito
da condotta, nesso causale, ed evento naturalistico o giuridico),
ai fini della responsabilità civile ciò che si imputa è il danno e
non il tatto in quanto tale.
E tuttavia un “fatto” è pur sempre necessario perché la
responsabilità sorga, giacche l’imputazione del danno presuppone
l’esistenza di una delle fattispecie normative di cui all’art.
2043 c.c. e segg., le quali tutte si risolvono nella descrizione
di un nesso, che leghi storicamente un evento o ad una condotta o
a cose o a fatti di altra natura, che si trovino in una
particolare relazione con il soggetto chiamato a rispondere.
8

proprio e non di un danno indiretto “cd. danno da rimbalzo”

Il “danno” rileva così sotto due profili diversi: come evento
lesivo e come insieme di conseguenze risarcibili, retto il primo
dalla causalità materiale ed il secondo da quella giuridica.
Il danno oggetto dell’obbligazione risarcitoria aquiliana è quindi
esclusivamente il danno conseguenza del fatto lesivo (di cui è un
elemento l’evento lesivo).
Se sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi è un danno –

7.2.Proprio in conseguenza di ciò si è consolidata nella cultura
giuridica contemporanea l’idea, sviluppata soprattutto in tema di
nesso causale, che esistono due momenti diversi del giudizio
aquiliano: la costruzione del fatto idoneo a fondare la
responsabilità (per la quale la problematica causale, detta
causalità materiale o di fatto, presenta rilevanti analogie con
quella penale, artt. 40 e 41 c.p., ed il danno rileva solo come
evento lesivo) e la determinazione dell’intero danno cagionato,
che costituisce l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria.
A questo secondo momento va riferita la regola dell’art. 1223
c.c.(richiamato dall’art. 2056 c.c.), per il quale il risarcimento
deve comprendere le perdite “che siano conseguenza immediata e
diretta” del fatto lesivo (c.d. causalità giuridica), per cui
esattamente si è dubitato che la norma attenga al nesso causale e
non piuttosto alla determinazione del quantum del risarcimento,
selezionando le conseguenze dannose risarcibili.
Secondo l’opinione assolutamente prevalente, occorre distinguere
nettamente, da un lato, il nesso che deve sussistere tra
comportamento ed evento perché possa configurarsi, a monte, una
responsabilità “strutturale” (Haftungsbegrundende Kausalitat) e,
dall’altro, il nesso che, collegando l’evento al danno, consente
l’individuazione delle singole conseguenze dannose, con la
precipua funzione di delimitare, a valle, i confini di una (già’
accertata) responsabilità’ risarcitoria (Haftungsausfkllende
Kausalitat).
Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalente,

tale

distinzione è ravvisabile, rispettivamente, nell’art. 1227 c.c.,

9

conseguenza, non vi è l’obbligazione risarcitoria.

commi l e 2: il comma 1, attiene al contributo eziologico del
debitore nella produzione dell’evento dannoso, il secondo coma
attiene al rapporto evento- danno conseguenza, rendendo
irrisarcibili alcuni danni.
Nel macrosistema civilistico l’unico profilo dedicato al nesso
eziologico, è previsto dall’art. 2043 c.c., dove l’imputazione del
“fatto doloso o colposo” è addebitata a chi “cagiona ad altri un

cause au autrui un dommage”.
Un’analoga disposizione, sul danno ingiusto e non sul danno da
risarcire, non è richiesta in tema di responsabilità cd.
contrattuale o da inadempimento, perchè in tal caso il soggetto
responsabile è, per lo più, il contraente rimasto inadempiente, o
il debitore che non ha effettuato la prestazione dovuta. E questo
è uno dei motivi per cui la stessa giurisprudenza di legittimità
partendo dall’ovvio presupposto di non dover identificare il
soggetto responsabile del fatto dannoso, si è limitata a dettare
una serie di soluzioni pratiche, caso per caso, senza dover optare
per una precisa scelta di campo, tesa a coniugare il “risarcimento
del danno”, cui è dedicato l’art. 1223 c.c., con il rapporto di
causalità. Solo in alcune ipotesi particolari, in cui
l’inadempimento dell’obbligazione era imputabile al fatto illecito
del terzo, il problema della causalità è stato affrontato dalla
giurisprudenza, sia sotto il profilo del rapporto tra
comportamento ed evento dannoso sia sotto quello tra evento
dannoso e conseguenze risarcibili.
7.3.Ai

fini

della

causalità

materiale

nell’ambito

della

responsabilità aquiliana la giurisprudenza e la dottrina
prevalenti, in applicazione dei principi penalistici, di cui agli
artt. 40 e 41 c.p., ritengono che un evento è da considerare
causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il
primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d.
teoria della condicio sine qua non).
Il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto
dall’art. 11 c.p., in base al quale, se la produzione di un evento

danno ingiusto”, o, come afferma l’art. 1382, Code Napoleon “qui

dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi
ad ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento
nel principio di causalità efficiente, desumibile dall’art. 41
c.p., comma 2, in base al quale l’evento dannoso deve essere
attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta,
solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le
altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali

19.12.2006, n. 27168; Cass. 8.9.2006, n. 19297; Cass. 10.3.2006,
n. 5254; Casa. 15.1.1996, n. 268).
Nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per
determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi,
all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a
quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l’evento
causante non appaiano del tutto inverosimili,

ma che si presentino

come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio
della c.d. causalità adeguata o quella similare della ed.
regolarità causale (ex multis: Casa. 1.3.2007; n. 4791; Cass.
6.7.2006, n. 15384; Cass. 27.9.2006, n. 21020; Cass. 3.12.2002, n.
17152; Casa. 10.5.2000 n. 5962).
7.4.Nella fattispecie quindi occorre tenere distinti il concetto
di ” lesioni personali” che integrano l’evento dannoso

e quindi

sono elemento del fatto illecito, sottoposto ai principi di
causalità materiale, dal danno risarcibile non patrimoniale , che
è solo un danno conseguente a tale fatto illecito ed è questo
l’oggetto del risarcimento, soggetto alla causalità giuridica.
Il cd. danno biologico o il cd. danno morale ( tutti riportati
nell’unica ampia categoria del danno non patrimoniali di cui
all’art. 2059 c.c. – S.U. n. 26972/2008) sono appunto i danniconseguenza dell’incidente mortale subiti dal congiunto degli
attori

e

per questi danni hanno agito iure proprio gli attori

(vedendosi riconosciuto solo il secondo).
I ricorrenti, invece, assimilano al concetto di lesione personale,
che è l’evento lesivo (componente del fatto illecito) il danno
conseguente non patrimoniale subito, sia pure in proprio e
11

linee di sviluppo della serie causale già in atto (Casa.

direttamente dagli attori, quali congiunti.
7.5.In alcuni passi sembra che i ricorrenti equiparino al concetto
di “lesione personale” il concetto di lesione di un diritto della
persona (quale quello al rapporto parentale).
Sennonché a parte il rilievo che, anche per questa via si realizza
un’anticipazione del danno-conseguenza (risarcibile) in quello
che è il danno evento ( componente del fatto), nell’ordinamento

dagli artt. 582 e 590 c.p. e necessita dell’evento-malattia del
corpo o della mente e non può essere assimilato ad ogni ipotesi di
lesione di diritto della persona.
Segnatamente è stato affermato che il reato di lesioni personali
(artt. 582 e 590 c.p.) sussiste quando il soggetto attivo cagioni
al soggetto passivo una lesione dalla quale derivi una malattia
nel corpo o nella mente. Il concetto clinico di malattia richiede
il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile
di funzionalità, a cui può anche non corrispondere una lesione
anatomica, e di quello di un fatto morboso in evoluzione a breve o
lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guarigione
perfetta, l’adattamento a nuove condizioni di vita oppure la
morte. Ne deriva che non costituiscono malattia e quindi non
possono integrare il reato di lesioni personali, le alterazioni
anatomiche, a cui non si accompagni una riduzione apprezzabile
della funzionalità (Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 714 del
15/10/1998; Cass. Pen. Sez. 4, Sentenza n. 17505 del 19/03/2008).
7.6.Nella fattispecie, correttamente interpretando la sentenza
impugnata, emerge che essa ha escluso che gli attori abbiano
riportato malattie della mente o del corpo nel senso sopra
delineato ed ha tenuto distinta la figura della parte che ha
subito le lesioni personali ( e cioè il prestatore di lavoro) dai
soggetti danneggiati ( e cioè gli attori), con la conseguenza che
correttamente ha applicato il massimale complessivo in ipotesi di
lesioni del prestatore di lavoro (£.200 milioni). Infatti i 3
massimali sono parametrati ( £. 300 per lesioni personali subite
da terzi; £. 200 per lesioni personali subite dal prestatore di
12

giuridico italiano il concetto di lesione personale è ben definito

lavoro, ed £. 300 per danni a cose o animali)

non sul danno-

conseguenza risarcibile ma sull’evento dannoso, con la conseguenza
che l’evento di lesione può attingere un soggetto diverso (parte
offesa) da quello che ha subito il danno risarcibile (parte
danneggiata), come nella fattispecie, ovvero un soggetto
ulteriore.
L’evento lesivo, che

fonda il rischio assicurato, è appunto

le lesioni personali del prestatore di lavoro e nella fattispecie
non

risulta accertato che

gli attori, che assumono di aver

subito danni non patrimoniali, abbiano anche subito lesioni
personali nei termini sopra detti, mentre non può essere accolta
l’equazione proposta tra lesioni personali e danno non
patrimoniale, pur nelle forme del danno biologico o del danno
morale. Ciò sia per la diversa natura ontologica-giuridica di tali
danni sia perché, così operando si verifica un’inaccettabile
commistione tra il danno-evento (in sé non risarcibile) con il
danno-conseguenza risarcibile.
7.7.Ne

consegue

che,

avendo

la corte di merito

optato

correttamente per la soluzione secondo cui la fattispecie
rientrava nell’ipotesi di rischio assicurato di danni conseguenti
alle lesioni personali del prestatore di lavoro e non per lesioni
personali del terzo, ha implicitamente anche rigettato
quest’ultima censura prospettata dagli appellanti, con conseguente
infondatezza della censura di violazione dell’art. 112 c.p.c. sul
punto.
8.1.

Gli ultimi tre motivi attengono alla statuizione tra la

Russello Angelo s.p.a. e gli eredi Ciaramella.
I motivi quinto e sesto investono la questione attinente ad un
preteso concorso di colpa nella

causazione dell’evento mortale

del Ciaramella, per non aver indossato il casco protettivo

ed

alla possibilità di accertare tale concorso di colpa in sede
civile ex art. 1227 c.c. in presenza di un giudicato penale

ex

art. 651 c.p.p. che ha affermato la responsabilità dell’imputato
danneggiante, senza riferimento all’ipotesi del concorso di colpa.

distinto a seconda che sussistano le lesioni personali del terzo o

Sul punto la corte di appello ha ritenuto che, essendo intervenuto
il giudicato penale che ha affermato la responsabilità del
datare di lavoro, escludendo implicitamente quella del lavoratore,
non era possibile in questa sede effettuare una diversa
ricostruzione dei fatti.
In ogni caso la corte ha rigettato il motivo di appello per una
seconda ratio decidendi e consistente nella considerazione

che

nella fattispecie ed inoltre che non era certo, sulla base dei
testimoni escussi, che il Ciaramella non utilizzasse il casco.
8.2.Va preliminarmente esaminato il sesto motivo di ricorso.
Con

esso

la

ricorrente

lamenta

il

vizio

motivazionale

dell’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la
mancanza del casco non aveva avuto efficienza causale nella
produzione dell’evento mortale. Secondo la ricorrente, poiché era
stato accertato che il Ciaramella era deceduto per aver battuto il
viso contro la parete dello scavo, l’omesso uso del casco da parte
della vittima non aveva avuto efficienza causale nella produzione
dell’evento.
Censura la ricorrente anche la motivazione della sentenza nella
parte in cui ritiene che sulla base della prova testimoniale non
era certo se il Ciaramella indossasse o meno il casco protettivo.
8.3.

Quest’ultimo motivo è infondato e va rigettato.

Nel controllo in sede di Legittimità della adeguatezza della
motivazione del giudizio di fatto contenuto nella sentenza
impugnata, i confini tra – da un lato – la debita verifica della
indicazione da parte del giudice di merito di ragioni sufficienti,
senza le quali la sentenza è invalida, e – dall’altro – il non
ammissibile controllo della bontà e giustizia della decisione
possono essere identificati tenendo presente che, in linea di
principio, quando la motivazione lascia comprendere le ragioni
della decisione, la sentenza è valida. Tale rilievo non esclude la
necessità che dalla motivazione (alla luce del disposto del n. 5
dell’art. 360 c.p.c., nel testo di cui alla novella del 1950)
risulti il rispetto, nella soluzione della questione di fatto, dei

la mancanza di casco non aveva avuto alcuna efficienza causale

relativi

canoni

metodologici,

dall’ordinamento

direttamente

espressi o comunque da esso ricavabili. Deve rimanere fermo, però,
che la verifica compiuta al riguardo può concernere la legittimità
della base del convincimento espresso dal giudice di merito e non
questo convincimento in se stesso, come tale incensurabile. E’ in
questione, cioè, non la giustizia o meno della decisione, ma la
presenza di difetti sintomatici di una possibile decisione

incidenza causale dell’errore oggetto di possibile rilievo in
cassazione (esigenza a cui la legge allude con il riferimento al
fatto decisivo).
8.4.Nella fattispecie non presenta vizi motivazionali l’impugnata
sentenza che, sulla base di quanto già accertato dal giudice
penale, ha ritenuto che il Ciaramella avesse battuto il viso
contro la parete e non il capo, inferendone la conclusione che la
mancanza del casco di protezione ( evidentemente del solo capo)
non avrebbe avuto alcuna efficienza causale nella produzione
dell’evento mortale.
La censura della ricorrente mira ad ottenere da questa Corte una
rivalutazione del materiale probatorio rispetto a quella
effettuata dal giudice di merito e ciò non è ammissibile in questa
sede di sindacato di sola legittimità.
8.5.11 rigetto della censura relativamente all’efficienza causale
della mancanza del casco, rende priva di interesse la censura
avverso la motivazione della sentenza, secondo cui non era certo
se il Ciaramella indossasse o meno il casco.
9.

Inoltre il rigetto del predetto motivo di ricorso rende

inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse anche il
quinto motivo di ricorso, con cui la ricorrente censurava la
prima ratio decidendi di esclusione del concorso di colpa della
vittima, sul rilievo che, in violazione degli artt. 1227 ec.c. e

651 e 654 c.p.p. , la sentenza impugnata aveva ritenuto che non
potesse, in presenza di giudicato penale sulla responsabilità del
danneggiante, accertare in sede civile il concorso di colpa
della vittima per mancato uso del casco protettivo.
15

ingiusta, che tali possono ritenersi solo se sussiste un’adeguata

Infatti va osservato che , in tema di ricorso per cassazione,
qualora la decisione impugnata

si fondi su una pluralità di

ragioni, tra loro distinte ed autonome, e singolarmente idonee a
sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza
delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende
inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure
relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di

condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla
cassazione della decisione stessa (Cass. 24/05/2006, n.12372;
Cass. 16/08/2006, n. 18170; Cass. 29/09/2005, n. 19161).
10.Con il settimo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la
violazione dell’art. 2059 c.c., per aver liquidato il danno
morale, non quale frazione del danno biologico e quindi senza un
procedimento comparativo tra l’uno e l’altro,.
11.1.11 motivo è infondato.
Va infatti osservato, alla stregua del “diritto vivente” segnato
dall’arresto delle Sezioni Unite civili del 2008 (sentenza n.
26972 del 2008; Cass. n. 24015 del 16/11/2011), che

la

liquidazione del danno non patrimoniale deve essere complessiva e
cioè tale da coprire l’intero pregiudizio a prescindere dai
“nomina iuris” dei vari tipi di danno, i quali non possono essere
invocati singolarmente per un aumento della anzidetta
liquidazione.
Tuttavia, sebbene
categoria unitaria,

il danno non patrimoniale costituisca una
le tradizionali sottocategorie di danno

biologico e danno morale

continuano a svolgere una funzione, per

quanto solo descrittiva, del contenuto pregiudizievole preso in
esame dal giudice al fine di

dare contenuto e parametrare la

liquidazione del danno risarcibile. Pertanto

è erronea la

sentenza di merito, la quale a tali sottocategorie abbia fatto
riferimento, solo se, attraverso il ricorso al danno biologico ed
al danno morale, siano state risarcite due volte le medesime
conseguenze

pregiudizievoli

(ad

esempio

ricomprendendo

la

sofferenza psichica sia nel danno “biologico” che in quello
.

16

doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque

”morale”); se, invece, facendo riferimento alle tradizionali
locuzioni, il giudice abbia avuto riguardo a pregiudizi
concretamente diversi, la decisione non può considerarsi erronea
in diritto ( cfr. Cass. n. 25222 del 29/11/2011).
11.2.Ciò comporta che se nella fattispecie

il

danno non

patrimoniale è costituito esclusivamente da quello qualificato
come danno morale lo stesso non potrà che essere liquidato da

astrattamente ai soli fini della liquidazione del danno morale,
poiché tale liquidazione per frazione ha la funzione di evitare
le duplicazioni liquidatorie in presenza di un nucleo complesso
di danno non patrimoniale.
Non è quindi

necessario che la somma liquidata a

titolo

risarcitorio del danno morale sia un’esatta frazione di quella
attribuita per il ristoro del danno biologico, essendo invece
essenziale che essa sia oggettivamente congrua tenuto conto di
tutti gli aspetti della fattispecie ritenuti dal giudice in
concreto rilevanti.
Segnatamente in materia risarcitoria la liquidazione del danno non
patrimoniale subito dai congiunti in conseguenza dell’uccisione
del familiare deve avvenire in base a valutazione equitativa,
vertendosi in tema di lesione di valori inerenti alla persona, in
quanto tali privi di contenuto economico, e deve tener conto
dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di
convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la
consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di
vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti.(Cass.

n.

1410

del 21/01/2011).
11.3.Nella fattispecie la sentenza impugnata ha fatto corretta
applicazione di tali principi, condividendo la liquidazione
effettuata dal primo giudice che aveva tenuto conto dell’età del
deceduto, del vincolo di parentela del de cuius con gli attori,
della realtà sociale in cui il fatto si era verificato e del ruolo
affidato al capofamiglia, integrando il tutto con i criteri
tabellari adottati dai tribunali.
17

solo, e non quale frazione del danno biologico, sia pure calcolato

12.11 ricorso va pertanto rigettato.

Esistono giusti motivi per compensare le spese processuali tra la
Milano Assicurazioni e la ricorrente, segnatamente per
l’infondatezza dell’eccezione di novità della domanda in appello,
prospettata in quella sede e ribadita in questa, oggetto del primo
motivo di ricorso.
La ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio

liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di cassazione sostenute dai resistenti
Bacchioni Filippa,

Ciaramella Filippa,

Rocco ed Antonio„

liquidati in complessivi e. 7200,00, di cui e. 200,00 per spese,
oltre accessori di legge. Compensa le spese processuali di questo
giudizio tra la ricorrente e la Milano Assicurazioni s.p.a..
Così deciso in Roma, lì 16 gennaio 2013.

di cassazione sostenute dai resistenti Bacchioni e Ciaramella,

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