Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 40429 del 16/12/2021
Cassazione civile sez. II, 16/12/2021, (ud. 13/10/2021, dep. 16/12/2021), n.40429
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N. R.G. 3437/2017) proposto da:
G.C. B., (C.F.: (OMISSIS)) e G.A., (C.F.:
(OMISSIS)), rappresentate e difese, in virtù di procura speciale
apposta in calce al ricorso, dagli Avv.ti Giuseppe Maria Masullo, e
Gabriella Napoli, ed elettivamente domiciliate presso lo studio
della seconda, in Roma, Via Fabio Massimo n. 95;
– ricorrenti –
contro
D.D.B.G., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e
difeso, in virtù di procura a margine del controricorso, dagli
Avv.ti Massimo Cocchi, e Chiara Srubek Tomassy ed elettivamente
domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma via XX
settembre n. 98/E;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 5576/2016
(pubblicata il 23 settembre 2016);
uditi la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
13 ottobre 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
lette (e memorie depositate dalle difese di entrambe le parti ai
sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. D.D.B.G., figlio adottivo di D.L. (deceduto il (OMISSIS)) conveniva in giudizio, dinanzi a Tribunale di Roma, con atto di citazione del settembre 2001, G.C. B. e G.A. per sentir accertare che determinati beni mobili di cui le convenute – eredi di G.C.V. (alla cui morte erano stati inventariati), con la quale il suddetto padre adottivo conviveva – si trovavano in possesso (in un immobile di (OMISSIS)), erano di proprietà dello stesso D.L. e, quindi, suoi per esserne erede universale in virtù di testamento olografo.
Nella costituzione nelle predette convenute, l’adito Tribunale, con sentenza n. 1227/2012, accoglieva per quanto di ragione la formulata domanda e, per l’effetto, accertava – sulla base delle complessive risultanze probatorie acquisite – la proprietà in capo all’attore della proprietà di alcuni beni mobili specificamente indicati nei lotti di cui all’inventario fatto redigere dal curatore dell’eredità della c.d. zia By., ordinandone alle citate sorelle G. la consegna.
2. Decidendo sull’appello formulato da queste ultime e nella costituzione dell’appellato, che formulava – a sua volta – appello incidentale per il riconoscimento del suo titolo di proprietario sui lotti nn. (OMISSIS) (di cui al suddetto inventario), la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 5576/2016 (pubblicata il 23 settembre 2016), in parziale riforma dell’impugnata decisione, negava il riconoscimento della proprietà in capo all’appellato del lotto n. (OMISSIS) e dei lotti dal (OMISSIS), modificava la stessa nel senso che dovevano ritenersi riconosciuti al D.D. i lotti da intendersi correttamente indicati dal n. (OMISSIS), ed, in accoglimento del gravame incidentale, dichiarava – rivalutando il complessivo quadro istruttorio acquisito in primo grado (sulla scorta, in particolare, di convergenti prove orali) – il D. proprietario anche dei reclamati lotti nn. (OMISSIS), ordinando alle appellanti principali la consegna dei relativi beni in favore dell’appellato, confermando nel resto la sentenza di prime cure e compensando per metà le spese del grado di appello, accollate per la residua metà a carico delle appellanti principali.
3. Avverso la predetta sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, G.C. B. e G.A., resistito con controricorso dall’intimato D.D.B.G..
I difensori di entrambe le parti hanno rispettivamente depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo le ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., sul presupposto che, con l’impugnata sentenza, il giudice di secondo grado, nell’accogliere l’appello incidentale del B., aveva, in effetti, illegittimamente consentito l’ingresso nel giudizio di appello di una domanda nuova riguardante il riconoscimento in capo all’appellato della proprietà riguardante gli oggetti inventariati identificati con i nn. (OMISSIS).
2. Con la seconda censura le ricorrenti hanno dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., nonché degli artt. 112,115,116 e 621 c.p.c. e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, per contraddittorietà della motivazione e per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avuto riguardo, in particolare, alla mancata valutazione delle circostanze allegate dalle stesse ricorrenti (in entrambi i gradi di giudizio) relative alla prova della titolarità dei beni mobili rinvenuti nella casa della loro dante causa ed oggetto di rivendicazione da parte del B., nonché all’omessa pronuncia in ordine alle eccezioni sollevate con riferimento alla considerazione del quadro indiziario per la ricostruzione della controversa vicenda.
3. Con la terza doglianza le ricorrenti hanno prospettato – con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 24 Cost., lamentando l’ingiusta loro condanna al pagamento della metà delle spese giudiziali di secondo grado, malgrado l’insussistenza della loro soccombenza e la legittimità della loro opposizione all’avversa domanda.
4. Rileva il collegio che il primo motivo è manifestamente infondato.
Invero, occorre evidenziare che, fin dall’atto introduttivo, l’odierno controricorrente aveva chiesto l’accertamento del suo diritto di proprietà sui numerosi e vari beni mobili (tanto è vero che era stato necessario procedere ad un apposito inventario degli stessi) di cui sarebbe stato riconosciuto titolare tra quelli già appartenuti al suo padre adottivo, senza specificarli individualmente ma riferendo il “petitum” a tutti quelli che sarebbero stati accertati come rientranti nella sua titolarità secondo giustizia (richiesta reiterata anche nell’atto di appello incidentale) e la Corte di appello, in base alle risultanze probatorie rivalutate, ha, perciò, legittimamente riconosciuto il diritto di proprietà in capo all’appellante incidentale anche sui beni già individuati e specificati nel riportato svolgimento del fatto.
Quindi – diversamente da quanto prospettato – non può dirsi configurata alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., a fronte di una domanda di D.D.B.G. già in origine di carattere generale in relazione alla rivendicazione di tutti quei beni controversi di cui doveva ritenersi proprietario per legge e ribadita anche nel giudizio di appello.
5. La seconda censura si profila inammissibile, perché essa si risolve nella risollecitazione in questa sede della rivalutazione del materiale probatorio acquisito da parte della Corte di appello, che invece è stato dalla stessa adeguatamente operata in base ad una legittima e corretta applicazione del principio del prudente apprezzamento delle prove acquisite complessivamente in giudizio.
A tal riguardo, infatti, va posto in risalto come il giudice di secondo grado abbia puntualmente valorizzato sia i rapporti intercorsi tra le parti, sia la natura e la provenienza dei beni, sia le risultanze dell’eseguito inventario, sia le specifiche emergenze della prova documentale acquisita e di quella orale espletata, con particolare riguardo all’attività di individuazione e riconoscimento effettuato da persone a diretta conoscenza dei fatti, come, in particolare, M.A. e la governante R.R., senza che sia venuto in rilievo il ricorso a prove legali.
E’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 27000/2016 e Cass. n. 1229/2019) che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una asserita erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione, evenienza quest’ultima che non si è venuta affatto a verificare nel caso in questione, poiché la Corte di appello ha adeguato preso in considerazione tutti gli elementi probatori posti in discussione con l’appello del Ma. e li ha valutati adeguatamente, giustificando idoneamente le conclusioni raggiunte, secondo il suo prudente apprezzamento.
E’, quindi, inammissibile ogni motivo di ricorso in sede di legittimità con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (v. Cass. n. 8758/2017).
6. La terza ed ultima doglianza è all’evidenza infondata avendo la Corte di appello regolato le spese giudiziali applicando legittimamente gli artt. 91 e 92 c.p.c., dando conto della prevalente soccombenza delle appellanti principali (ritenute, infatti, parzialmente soccombenti ma non in senso paritario rispetto all’appellante incidentale) e, quindi, ponendo a carico delle stesse la metà delle spese del grado.
7. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna delle ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle stesse ricorrenti, sempre con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, in via solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 13 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2021