Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 40425 del 16/12/2021

Cassazione civile sez. II, 16/12/2021, (ud. 22/11/2021, dep. 16/12/2021), n.40425

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16732/2017 R.G. proposto da:

D.P.B., rappresentata e difesa dagli avv.ti Dino Salati, e

Giovanni Di Domenico, elettivamente domiciliata in Roma, Via Belli

n. 39, presso l’avv. Francesco Mangano;

– ricorrente –

contro

D.M., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 4188/2016,

depositata in data 29.12.2016;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

22.11.2021 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. D.P.B. ha evocato in giudizio dinanzi al tribunale di Milano, sezione distaccata di Rho, D.C., + ALTRI OMESSI, sostenendo di aver usucapito l’immobile ad uso abitazione ed annesso cortile, catastalmente identificato al foglio (OMISSIS), avendolo posseduto ininterrottamente e pacificamente per oltre vent’anni.

I convenuti – ad eccezione di Do.Cl. e D.P. – si sono costituiti, eccependo che il bene erano stato concesso in comodato. Hanno proposto riconvenzionale per il rilascio dell’immobile e il risarcimento del danno.

Il contraddittorio è stato integrato nei confronti di D.A., + ALTRI OMESSI, altri eredi di D.L.V..

Acquisite le prove documentali e assunte le dichiarazioni dei testi, all’esito il Tribunale ha respinto la domanda, ritenendo che la D.P. avesse ottenuto la disponibilità del bene in forza di un contratto di comodato, che ha dichiarato risolto per morte del comodante – D.L.V. – ordinando il rilascio dell’immobile. La pronuncia è stata confermata dal giudice distrettuale, ponendo in rilievo che “alla luce della diversa qualificazione della detenzione del bene affermata dai convenuti, che hanno sostenuto l’esistenza di un rapporto di comodato gratuito, in origine intercorso tra il loro dante causa ed il padre della D.P., cui costei sarebbe successivamente subentrata, l’appellante ha opposto una generica contestazione, senza nulla replicare, né provare in merito alla diversa e non qualificata modalità di apprensione del bene, limitandosi a richiedere prove sull’esistenza di condotte che non presentano alcuna connotazione distintiva, essendo di comune appartenenza al comodatario, quanto al possessore iure proprio. Nulla, infatti, è dato sapere sugli avvenimenti, che avrebbero condotto l’attrice ad occupare il bene per anni, senza il consenso del D. e nel suo disinteresse, mentre quanto provato, ovvero la protratta A occupazione dell’immobile con propri arredi e suppellettili, l’esecuzione di lavori di manutenzione, ristrutturazione e miglioria ed anche il pagamento dei tributi sui rifiuti, è riconducibile a circostanze tutte compatibili con l’esistenza di un contratto di comodato”.

La cassazione della sentenza è chiesta da D.P.B. con ricorso in tre motivi. Le controparti non hanno svolto difese.

2. Va dato atto che il ricorso non è stato notificato a A.M.G., che è stata parte del giudizio d’appello. Non è necessario regolarizzare il contraddittorio: dato l’esito del presente giudizio, tale adempimento appare superfluo, dovendo prevalere le esigenze di celere definizione e di ragionevole durata del processo.

3. Il primo motivo deduce la violazione dell’art. 2727 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, contestando alla Corte di merito di aver ritenuto pacifica la conclusione di un contratto di comodato sulla base solo delle eccezioni formulate dai convenuti, benché della concessione in godimento gratuito dell’immobile da parte di D.L. non vi fosse alcuna prova. La sussistenza del primo contratto era contestata ed era sfornita di prova, non essendovi neppure elementi per ritenere concluso un secondo contratto di comodato tra la ricorrente e gli eredi di D.L.V..

Il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 1140 c.c. e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il giudice di merito desunto la sussistenza del comodato dal fatto che la D.P. non era stata in grado di provare il possesso ad usucapionem, sebbene fosse onere dei convenuti dimostrare che il bene era utilizzato a titolo di detenzione. Inoltre, ove fosse stata accertata la sussistenza del comodato, occorreva comunque stabilire se il bene fosse stato occupato oltre il termine di scadenza del contratto e verificare la durata della successiva occupazione, potendosi comunque configurare una situazione possessoria. La ricorrente sostiene – infine – di aver posto in essere atti di interversione del possesso, avendo manifestato chiaramente la volontà di voler esercitare il possesso uti dominus.

Il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 1158 e 2697 c.c., assumendo che, non essendoci prova del comodato, l’esercizio del potere di fatto andava qualificato come possesso ad usucapionem Occorreva inoltre considerare che l’immobile era stato abbandonato e che gli eredi del D. non ne avevano il possesso, come provava una missiva del difensore dei resistenti prodotta in giudizio.

I tre motivi – che vanno esaminati congiuntamente, attesa la connessione delle questioni sollevate – sono inammissibili.

Appare più volte ribadito nella sentenza di appello che non poteva ritenersi sussistente alcuna prova dell’esercizio del possesso pieno da parte della ricorrente (cfr. sentenza pag. 8), ossia del compimento di attività di esercizio uti domini del potere di fatto, con modalità esteriori capaci di manifestare, anche agli occhi dei titolari, la volontà di acquistare l’esclusiva proprietà dell’immobile.

La pronuncia ha chiarito che tutte le attività svolte dalla D.P. si esaurivano in condotte compatibili con il contenuto di un mero rapporto di detenzione, senza affatto riconoscere l’esistenza di un contratto di comodato con l’originario titolare dell’immobile e senza affatto ricondurre il potere di fatto concretamente esercitato dalla ricorrente ad un titolo di godimento di natura personale.

Non risulta – inoltre – violata né la presunzione di possesso pieno ex art. 1141 c.c., né il principio secondo cui la prova della detenzione è a carico di chi contesti l’altrui possesso.

La pronuncia appare conforme all’indirizzo di questa Corte secondo cui chi agisce per far accertare l’usucapione della proprietà è tenuto a dimostrare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie e quindi sia del corpus che dell’animus possidendi, sicché la carenza di prova di uno solo di essi di per sé giustifica il rigetto della domanda (Cass. 14092/2010; Cass. 22667/2017; Cass. 15145/2004).

Su tale profilo, la sentenza ha logicamente evidenziato che l’occupazione dell’immobile con arredi, l’effettuazione di ristrutturazioni e il pagamento delle imposte sui rifiuti non potevano considerarsi atti di esercizio del possesso pieno.

Le ulteriori argomentazioni svolte in ricorso, riguardo al fatto i D. non avessero la materiale disponibilità dei beni o che la D.P. avesse comunque esercitato un potere pieno, oggettivamente riconoscibile come tale anche per la sua durata, sollecitano una diversa valutazione delle risultanze processuali, che è compito riservato al giudice di merito, sottratto al controllo di legittimità. Il ricorso è quindi respinto.

Nulla sulle spese, non avendo gli intimati svolto difese.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 22 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2021

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