Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 40421 del 16/12/2021
Cassazione civile sez. II, 16/12/2021, (ud. 15/06/2021, dep. 16/12/2021), n.40421
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22622-2019 proposto da:
C.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II N.
4, presso lo studio dell’avvocato MARIO ANTONIO ANGELELLI,
rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO MARIO PASQUALINO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1416/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,
depositata il 03/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15/06/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo rigettava il gravame proposto da C.K. avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Palermo in data 13.9.2017, con la quale era stato rigettato il ricorso proposto dal ricorrente avverso il provvedimento della Commissione territoriale competente che aveva respinto la sua domanda di protezione, internazionale ed umanitaria.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione C.K., affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32,D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, art. 6 della Direttiva n. 115 del 2008, della L. n. 881 del 1977, art. 11,artt. 113,115 e 116 c.p.c., artt. 10 e 32 Cost., perché la Corte distrettuale avrebbe omesso di considerare il pericolo di essere incarcerato e soggetto a trattamento inumano e degradante in relazione all’accusa di omosessualità rivolta nei confronti del richiedente.
La censura è fondata.
Il ricorrente aveva riferito di essere fuggito dal Gambia, proprio Paese di origine, perché denunciato dal fratellastro di essere omosessuale, fatto – questo – punito con un minimo di 14 anni di reclusione. Il giudice di merito ha ritenuto la storia non credibile, perché il ricorrente, a fronte di una denuncia falsa, avrebbe potuto difendersi in Patria. Inoltre, il giudice di merito ha ritenuto la vicenda non idonea ai fini del riconoscimento della protezione invocata dal richiedente, posto che costui aveva dichiarato di non essere omosessuale, e dunque non si sarebbe trovato nella condizione di rischiare di subire alcun trattamento inumano e degradante in dipendenza del proprio orientamento sessuale.
La Corte territoriale, tuttavia, tralascia di considerare che il pericolo di essere assoggettato a trattamento inumano e degradante non dipende necessariamente dall’effettiva inclinazione sessuale dell’interessato, bensì dal modo con cui la collettività lo identifica. Va infatti considerato che, nell’ambito di un ordinamento che criminalizza l’inclinazione omosessuale, o comunque di un contesto sociale che marginalizza e discrimina le persone omosessuali, la stessa accusa di omosessualità, ancorché non veritiera, espone l’interessato ad un trattamento inumano e degradante, poiché egli rischia di essere tratto in arresto, o comunque ad una discriminazione.
In merito, va ribadito che la circostanza che nel Paese di provenienza del richiedente la protezione sia previsto il reato di omosessualità rende di per sé il predetto soggetto vulnerabile in ragione del suo orientamento sessuale, che non è frutto di scelta consapevole ma di inclinazione naturale. Proprio l’esistenza di una legislazione contraria alla libera e piena esplicazione dei diritti fondamentali della persona nel Paese di origine – tra i quali rientra certamente quello di coltivare di una relazione affettiva, etero od omosessuale, che costituisce elemento essenziale e ineludibile della piena estrinsecazione della personalità umana – espone infatti il richiedente la protezione non soltanto al rischio, ma alla certezza di subire, a causa del suo orientamento sessuale, un trattamento umanamente degradante, in ogni caso non paritetico e comunque non in linea con gli standard internazionali in tema di tutela dei diritti umani fondamentali.
Sul punto, questa Corte ha affermato, con principio che il Collegio condivide ed al quale intende dare continuità, che “Ai fini della concessione della protezione internazionale, la circostanza per cui l’omosessualità sia considerata un reato dall’ordinamento giuridico del Paese di provenienza (nella specie, (OMISSIS)) è rilevante, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, tale da giustificare la concessione della protezione richiesta” (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 15981 del 20/09/2012, Rv. 624006; conf. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 26969 del 24/10/2018, Rv. 651511).
In termini analoghi, cfr. anche Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 2875 del 06/02/2018, Rv. 647344, che con specifico riferimento ad un cittadino del Gambia accusato di omosessualità ha affermato che ove il richiedente adduca il rischio di persecuzione, al fine di ottenere la protezione internazionale, il giudice non deve valutare nel merito la sussistenza o meno del fatto, ossia la fondatezza dell’accusa, ma deve limitarsi ad accertare, ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 8, comma 2 e art. 14, lett. c), se tale accusa sia reale, cioè effettivamente rivolta al richiedente nel suo Paese, e dunque suscettibile di rendere attuale il rischio di persecuzione o di danno grave in relazione alle conseguenze possibili secondo l’ordinamento straniero. Anche una falsa accusa, dunque, è idonea ad integrare i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, ove sussistano rischi inquadrabili nell’ambito delle previsioni di cui all’art. 14, lett. a) e b) sopra citato, o quantomeno di quella umanitaria, in funzione della evidente condizione di vulnerabilità in cui si trova la persona esposta a trattamento discriminatorio, marginalizzante e non paritetico in funzione della sua libera scelta sessuale.
L’accoglimento del primo motivo implica l’assorbimento del secondo, con il quale il ricorrente lamenta l’omesso esame della sua condizione soggettiva di vulnerabilità.
La sentenza va quindi cassata in relazione alla censura accolta e la causa rinviata alla Corte di Appello di Palermo, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte di Appello di Palermo, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 15 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2021