Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4042 del 18/02/2020

Cassazione civile sez. I, 18/02/2020, (ud. 30/09/2019, dep. 18/02/2020), n.4042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26985-2018 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTRANTO n. 12,

presso lo studio dell’avvocato MARCO GRISPO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositata il

28/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 13.8.2018 il Tribunale di Campobasso respingeva il ricorso interposto da A.M., ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di protezione internazionale in precedenza emesso dalla Commissione territoriale di Salerno, sezione di Campobasso.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto l’ A. affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2017, artt. 2, 3,4,5,7,14,16 e 17 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 nonchè l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente denegato il beneficio della protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato e della tutela sussidiaria, senza considerare che il racconto del richiedente era credibile e dimostrava un pericolo di danno grave alla sua persona in relazione alla condizione del suo Paese di origine, ed in particolare dell’area del (OMISSIS), nella quale si registrerebbe una situazione di insicurezza derivante da frequenti attacchi terroristici diretti contro luoghi di culto, uffici pubblici, scuole, strutture delle forze di sicurezza locali, mercati e mezzi di trasporto pubblico. A sostegno di tale allegazione, il ricorrente richiama quanto riportato dal comunicato del Ministero degli Esteri in data 28.4.2017, nonchè una serie di ulteriori fonti qualificate (cfr. pagg. 14 e ss. del ricorso).

Il motivo è inammissibile. Il ricorrente non allega alcuna specifica circostanza idonea a superare le argomentazioni del giudice di merito, che ha ritenuto innanzitutto non rilevante nè credibile la storia narrata dall’ A. ai fini del riconoscimento della invocata protezione internazionale, evidenziando che egli aveva dichiarato di non esser mai stato coinvolto in alcuna specifica attività politica, di aver soltanto affisso nel 2013 alcuni manifesti e di non aver subito alcuna minaccia diretta in relazione a tale fatto, comunque risalente a quattro anni prima. Rispetto ai richiamati profili di criticità evidenziati dal Tribunale il ricorrente non solo non ha fornito alcun elemento idoneo a superare le argomentazioni del giudice di merito, ma – anzi – ha espressamente affermato, a pag. 5 del ricorso, che “… non si vuole in questa sede contestare il giudizio di irrilevanza della storia narrata dal ricorrente ai fini del riconoscimento delle esigenze di protezione internazionale, ma il solo giudizio di scarsa credibilità del suo stesso racconto”. Sul punto, è opportuno evidenziare che le due valutazioni, di non rilevanza e di non credibilità, costituiscono aspetti di un’unica valutazione: in altre parole, in tanto il richiedente la protezione può essere ammesso ad una tutela di carattere internazionale, in quanto la sua storia presenti elementi di rilevanza, rispetto alle due figure di status di rifugiato e di protezione sussidiaria previste a livello Eurounitario, e risulti credibile. Ne deriva che la censura incentrata sul solo giudizio di credibilità, che non attinga anche il profilo della ritenuta irrilevanza delle circostanze narrate dal richiedente, non è idonea ad assicurare a quest’ultimo la protezione internazionale da lui invocata. Sotto questo profilo, la censura in esame risulta anche carente del necessario interesse specifico all’impugnazione.

Inoltre, va rilevato che il Tribunale ha ritenuto insussistente, nella zona del (OMISSIS), una situazione di violenza indiscriminata o di insicurezza diffusa rilevante ai fini della concessione della protezione sussidiaria, fondando tale valutazione sul contenuto del “più recente report del Ministero degli esteri, consultato a febbraio 2018”; ed infine, ha del pari ritenuto insussistente in capo all’ A. alcuna condizione di vulnerabilità rilevante ai fini della concessione della protezione umanitaria e l’assenza di legami specifici e personali tra il predetto e l’Italia.

Sul punto, se da un lato questa Corte ha affermato che il giudice di merito, nel fare riferimento alle cd. fonti privilegiate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 deve indicare la fonte in concreto utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13449 del 17/05/2019, Rv.653887) e che la predetta fonte dev’essere aggiornata alla data della decisione (Cass. Sez.1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv.654174), pur tuttavia ciò non può valere ad esonerare il ricorrente dall’onere di allegazione delle specifiche circostanze ritenute decisive ai fini del riconoscimento dell’invocata misura di protezione. Ne discende che il motivo di ricorso che mira a contrastare l’apprezzamento delle fonti condotto dal giudice di merito deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base la Corte territoriale ha deciso siano state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre e più aggiornate e decisive fonti qualificate. Solo laddove dalla censura emerga la precisa dimostrazione di quanto precede, infatti, può ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie smentite da altri dati decisivi ed informazioni tratte da fonti non più attuali.

In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dalla Corte di Appello si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 nonchè l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè il Tribunale avrebbe errato nel denegare al richiedente anche la tutela umanitaria, omettendo di considerare la sua condizione di vulnerabilità e la sua integrazione nella società italiana.

La censura è inammissibile in quanto il ricorrente non allega alcuna specifica circostanza atta a dimostrare l’esistenza di una qualsiasi situazione di vulnerabilità, che il giudice di merito ha escluso. Del pari, non vengono allegati fatti idonei a comprovare un radicamento nel territorio nazionale e un livello di integrazione nel tessuto sociale italiano che possano essere ritenuti rilevanti sotto il profilo della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Sul punto, il motivo non attinge neanche il punto della decisione di merito con il quale è stata ritenuta l’insufficienza dello svolgimento, da parte dell’ A., di una attività lavorativa a carattere occasionale (cfr. pag.3 del decreto impugnato).

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in difetto di notificazione di controricorso da parte dell’Avvocatura dello Stato.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 30 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2020

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