Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4042 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. I, 18/02/2011, (ud. 19/01/2011, dep. 18/02/2011), n.4042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9106-2008 proposto da:

I.F. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 34, presso l’avvocato DE

LUCA DANIELA, rappresentato e difeso dall’avvocato DEL PINTO

MAURIZIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositato il

15/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato il 15 marzo 2007 la Corte d’appello di Campobasso, in parziale accoglimento della domanda di equa riparazione, formulata da I.F. in relazione ad un processo d’esecuzione, promosso nell’ottobre 1998 nei confronti di V.E. innanzi al Tribunale di L’Aquila, nel quale, a seguito di due opposizioni dell’esecutato si erano innestati due gradi di giudizio di merito aventi necessità di accertamenti tecnici, e dichiarato estinto all’udienza del 6 aprile 2006 a seguito di transazione intervenuta tra le parti, ha determinato il pregiudizio non patrimoniale in Euro 1.500,00 oltre accessori, in riferimento ad un eccesso di un anno e mezzo rispetto al limite della ragionevole durata.

I.F. ha impugnato questo decreto col presente ricorso per cassazione affidato a due mezzi.

Ha resistito il Ministero della Giustizia con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo, con cui il ricorrente deduce violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e correlato vizio di motivazione, anche con riferimento all’art. 816 c.p.c., comma 4, pone la questione di diritto se il computo della durata del processo d’esecuzione per l’adempimento di obbligo di fare debba tener conto della durata dell’opposizione all’esecuzione, promossa nel suo alveo dall’esecutato, ovvero se i relativi tempi di svolgimento non incidano sui tempi del processo stesso, quiescente di fatto in quanto non sospeso dal giudice dell’esecuzione. La vicenda processuale, narrata nel motivo, si è scandita nell’introduzione di due opposizioni dell’esecutato V.E., entrambe trattate e decise dal giudice dell’esecuzione in seno alla procedura esecutiva;

la prima respinta con ordinanza del g.e. del 20.11.99 e l’altra definita con ordinanza del medesimo giudice e poi in appello con sentenza della Corte d’appello di L’Aquila. Il processo d’esecuzione non venne sospeso, dunque era in corso di svolgimento solo de facto.

Il calcolo della sua durata, eseguito dalla Corte di merito computando i tempi delle fasi in esso innestatesi, non si presta alle critiche mosse dal ricorrente. Aderisce; infatti, seppur inconsapevolmente, ad esegesi espressa nella sentenza di questa Corte n. 12867/2010 secondo cui, la durata del processo esecutivo, ai fini della valutazione in ordine alla violazione del termine ragionevole, non può essere determinata detraendo il periodo di tempo resosi necessario per la definizione del giudizio di opposizione all’esecuzione, durante il quale l’esecuzione sia rimasta sospesa per disposizione del giudice, stante il collegamento funzionale tra i due processi; peraltro, la fase contenziosa di contestazione del diritto a procedere ad esecuzione forzata può essere valutata dal giudice dell’equa riparazione nell’ambito della considerazione della complessità del caso, ai sensi dell’art. 2, comma 2, della Legge citata”.

L’enunciato trova sicura applicazione anche nel caso di specie, in cui non risulta esser stato assunto dal giudice dell’esecuzione formale provvedimento di sospensione ai sensi dell’art. 624 c.p.c..

Ciò che interessa ai fini i della ragionevole durata è infatti, al di là dell’assunzione formale del decreto anzidetto, l’effettiva condizione di quiescenza del processo d’esecuzione, il cui svolgimento si sia arrestato nella necessaria attesa della definizione dell’opposizione dell’esecutato. L’errore in cui sarebbe incorso il giudice dell’esecuzione, sia per non aver assunto l’anzidetta misura sia per aver, secondo quanto assume il ricorrente, trattato irritualmente la prima opposizione, non incide sui tempi del processo, siccome la sua trattazione, effettivamente e pacificamente posticipata dalle iniziative assunte dall’esecutato, ha ripreso il suo corso ordinario solo dalla data della loro definizione. La tempistica, detratta la durata dei procedimenti indicati, si è incontrovertibilmente scandita nei tempi ritenuti ordinar secondo consolidati standards applicativi. Il processo esecutivo è stato introdotto con atto del 12.11.98; il primo incidente d’esecuzione è stato introdotto dal V. all’udienza del 24.3.99 e definito con ordinanza 5/20.11.99; il secondo incidente è stato introdotto con atto 14.12.99 e si è concluso in appello con sentenza 2.2.2004, nei tempi di regola congrui per la trattazione dei due gradi di merito;

l’estinzione del processo d’esecuzione, quello per così dire principale, è stata dichiarata infine all’udienza del 6.4.2006. In conclusione quest’ultimo processo, cui si riferisce la domanda di equo indennizzo, è stato definito in un arco di tempo di due anni e poco più di sei mesi. L’eccesso di durata, calcolato dal giudice di merito in un anno e sei mesi, è dunque congruo. Il secondo motivo è inammissibile.

Deduce vizio di motivazione in ordine alla valutazione della complessità del caso sottoposto all’indagine del giudice di merito.

Il motivo non si concretizza nella prescritta sintesi conclusiva che deve contenere, a conclusione del motivo di censura, l’esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza e contraddittorieta rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, secondo quanto disposto dall’art. 366 bis c.p.c. per tutte Cass. n. 4556/2009. E’ perciò inammissibile.

Tutto ciò premesso, si dispone il rigetto del ricorso con condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidandole in Euro 700,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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