Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 40396 del 16/12/2021
Cassazione civile sez. VI, 16/12/2021, (ud. 16/11/2021, dep. 16/12/2021), n.40396
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10867-2021 proposto da:
H.F., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la
CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato LORENZO TRUCCO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
contro
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA presso la CORTE di CASSAZIONE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1004/2020 della Corte d’appello di Torino,
depositata il 12/10/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. Alberto
Pazzi.
Fatto
RILEVATO
che:
1. Il Tribunale di Torino, con ordinanza ex art. 702-bis c.p.c. del 17 dicembre 2018, rigettava il ricorso proposto da H.F., cittadino pakistano proveniente dalla regione dell’Azad Kashmir, avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento del suo status di rifugiato nonché del suo diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 o a quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
Il migrante, in particolare, aveva raccontato di aver abbandonato il Pakistan dopo essere stato denunciato per la sua militanza politica nel partito indipendentista del Kashmir e quale organizzatore di una manifestazione nel corso della quale vi erano stati gravi scontri fra i partecipanti e la polizia.
2. La Corte d’appello di Torino, con sentenza pubblicata in data 12 ottobre 2020, respingeva l’impugnazione proposta dal richiedente asilo. In particolare, la Corte di merito, confermato il giudizio di non credibilità già espresso dal primo giudice, riteneva di conseguenza di escludere la sussistenza o il fondato rischio per il migrante di subire, in caso di rimpatrio, atti persecutori o un danno grave connessi alla vicenda personale riferita.
Negava che la zona di provenienza del migrante fosse soggetta a una situazione di violenza indiscriminata e/o fosse priva di controllo statale.
Escludeva, infine, che potesse essere riconosciuta la protezione umanitaria, in mancanza di specifiche situazioni di vulnerabilità del richiedente asilo e di un’apprezzabile condizione di integrazione.
3. Per la cassazione di questa statuizione ha proposto ricorso H.F. prospettando tre motivi di doglianza.
Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c. al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
Diritto
CONSIDERATO
che:
4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7, 8 e 11 in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in quanto la Corte di merito ha evidenziato pretese incongruenze nel racconto del richiedente senza disporre la sua audizione, specificamente richiesta nell’atto di impugnazione, non procedendo a un incombente assolutamente necessario ai fini della valutazione della credibilità; questa insanabile contraddizione esistente nella motivazione della decisione impugnata – in tesi di parte ricorrente – è aggravata dal fatto che la Corte di merito ha omesso qualsivoglia motivazione in relazione alla richiesta di audizione.
La pretesa mancanza di credibilità delle dichiarazioni del migrante, inoltre, è stata illegittimamente rilevata, dato che la Corte di merito ha preteso una produzione documentale attestante la pendenza di un processo a suo carico, senza tener conto delle caratteristiche delle istituzioni giudiziarie pakistane, e la conferma della vicenda narrata da fonti di stampa, rinviando così a circostanze aleatorie del tutto scollegate dal comportamento dell’Hussain.
5. Il motivo risulta, nel suo complesso, inammissibile.
5.1 Questa Corte, in passato, ha già avuto occasione di spiegare che nel procedimento, in grado d’appello, relativo a una domanda di protezione internazionale, non era ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio – contenuto nel D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, comma 13 – al precedente comma 10, che prevedeva l’obbligo di sentire le parti, non si configurava come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collegava il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (Cass. 24544/2011).
Il principio vale a maggior ragione rispetto alle controversie, come quella in esame, che rimangono regolate dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, dato che la norma, al pari dell’art. 702-quater c.p.c. al quale la stessa rinvia, non fa cenno ad alcun incombente istruttorio a cui la Corte d’appello sia comunque tenuta.
Il richiedente asilo non aveva dunque alcun diritto di essere sentito in interrogatorio personale in sede di appello (anche in considerazione del fatto che l’obbligo di audizione deve essere valutato – come è stato precisato dalla decisione della Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano – alla stregua dell’intera procedura di esame della domanda di protezione (par. 42) e sulla base del potere del giudice di esaminare la completa documentazione, che a suo giudizio può ritenere esaustiva (par. 44)). 5.2 L’appellante invece, preso atto della valutazione di non credibilità soggettiva espressa dal giudice di primo grado, avrebbe potuto sollecitare il proprio interrogatorio personale all’interno dell’impugnazione al fine di offrire i chiarimenti che avesse ritenuto opportuni e la Corte territoriale, a fronte di una simile richiesta, avrebbe avuto l’onere di valutare se l’incombente fosse indispensabile ai fini della decisione, come previsto dall’art. 702-quater c.p.c.. Il corredo esplicativo dell’istanza di audizione doveva però risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza, poiché il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza (Cass. 25312/2020).
Indicazione, questa, che nel caso di specie è stata del tutto tralasciata, discendendone l’inammissibilità del mezzo a motivo della sua genericità.
5.3 Va escluso, poi, che la valutazione di non credibilità dipendesse necessariamente dalla vana sollecitazione di chiarimenti sui profili del racconto risultati generici, contraddittori o non plausibili.
La procedimentalizzazione legale della decisione in ordine all’affidabilità delle dichiarazioni del migrante, secondo i criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non prevede infatti l’obbligo di una sua audizione in presenza di contraddizioni, incongruenze o assenza di dettagli all’interno del racconto e quale condizione per la valorizzazione di queste circostanze in termini di inattendibilità.
Al contrario la norma stabilisce che il giudice possa direttamente valutare l’affidabilità delle dichiarazioni del migrante tenendo conto della loro coerenza e plausibilità, della mancanza di contraddizioni con informazioni generali e specifiche pertinenti al caso che siano disponibili (lett. c) e dei riscontri effettuati (lett. e).
5.4 La valutazione di affidabilità del dichiarante è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici indicati all’interno del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, oltre che di criteri generali di ordine presuntivo idonei a illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese (Cass. 20580/2019).
La Corte di merito si è ispirata a questi criteri laddove, all’esito dell’esame delle dichiarazioni rese dal migrante, ha rilevato – nel senso previsto dal appena citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1, secondo cui il migrante è tenuto a presentare, unitamente alla domanda di protezione internazionale o comunque appena disponibili, tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la medesima domanda – che il racconto offerto dal richiedente asilo non era suffragato da alcuna documentazione attestante l’effettiva pendenza di un processo nei suoi confronti, malgrado la stessa fosse di agevole acquisizione.
Oltre a ciò, la Corte di merito ha sottolineato – e ciò in applicazione degli specifici criteri previsti dal comma 5, lett. c), della norma in discorso – che le fonti di informazione disponibili non segnalavano recenti problemi fra autorità statali e militanti del partito JKNAP, né vi era evidenza specifica della manifestazione evocata dal migrante.
Una volta constatato come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo sia il risultato di una decisione compiuta alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, è sufficiente aggiungere che la stessa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in questa sede solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
Si deve, invece, escludere l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, nel senso proposto in ricorso, trattandosi di censura attinente al merito; censure di questo tipo si riducono, infatti, all’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che però è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 3340/2019).
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, perché i giudici distrettuali non hanno adeguatamente valorizzato la condizione di generalizzata instabilità esistente nel Kashmir, dove permane un’ampia violazione dei diritti umani, al fine di riconoscere la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).
7. Il motivo è inammissibile.
La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che “ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 18306/2019).
Non assumono, invece, alcuna rilevanza situazioni (quali la condizione di generalizzata instabilità e ampia violazione dei diritti fondamentali addotte nel motivo in esame) che, per la loro intrinseca diversità dalla condizione tipizzata dalla norma, non sono ad essa riconducibili, dato che il rischio di danno grave cui si riferisce il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è esclusivamente quello che deriva dalla violenza indiscriminata nella situazione di conflitto armato in corso nello Stato di provenienza (Cass. 14350/2020).
8. Il terzo motivo di ricorso si duole della violazione del art. 5 T.U.I., comma 6, e art. 19 T.U.I., in relazione all’art. 10 Cost., comma 3, perché la Corte di merito non ha adeguatamente valutato la condizione di vulnerabilità dell’Hussain, tenendo conto della situazione di assoluta precarietà e violazione delle libertà democratiche esistente nella regione di provenienza, né si è curata di effettuare un giudizio di comparazione fra lo stato in cui il migrante si sarebbe trovato a vivere in caso di rimpatrio e la condizione di integrazione raggiunta all’interno del paese ospitante.
7. Il motivo è inammissibile.
La Corte di merito, all’esito del giudizio di non credibilità, ha ritenuto, da una parte, che fossero state dedotte situazioni di generale criticità del paese di origine prive di specifica correlazione soggettiva con la condizione del migrante e inidonee così a tradursi in una specifica situazione di vulnerabilità, dall’altra che l’esistenza di un contratto di lavoro a termine della durata di soli tre mesi non consentisse, in mancanza di ulteriori peculiari elementi, di ritenere che l’appellante si fosse significativamente radicato nel tessuto sociale e lavorativo italiano.
In questo modo la Corte d’appello ha inteso sostenere, da un lato, che non era stato raggiunto un apprezzabile livello di integrazione in Italia, dall’altro che al fine del riconoscimento della protezione umanitaria non erano sufficienti le allegazioni sulla sola situazione generale esistente nel paese di origine, poiché tale misura, atipica e residuale, è il frutto della valutazione di una specifica condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente e, dunque, richiede che all’allegazione delle condizioni generali del paese di origine si accompagni l’indicazione di come siffatta situazione influisca sulle condizioni personali del richiedente asilo provocando una particolare condizione di vulnerabilità.
Rispetto a quest’ultima considerazione la doglianza in esame si limita a lamentare la mancata valutazione della situazione della regione di origine anche al fine del riconoscimento della protezione umanitaria, senza cogliere e criticare la ratio decidendi posta a base, su questo punto specifico, della decisione impugnata, come il ricorso per cassazione deve invece necessariamente fare (Cass. 19989/2017).
A fronte degli accertamenti concernenti la mancanza di un’apprezzabile integrazione – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la censura intende poi, nella sostanza, proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017).
8. In conclusione, in virtù delle ragioni sopra illustrate il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c. ed al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2021