Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4037 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. I, 18/02/2011, (ud. 17/12/2010, dep. 18/02/2011), n.4037

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15253-2008 proposto da:

F.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, P.ZZA COLA DI RIENZO 92, presso l’avvocato DE NISCO

VINCENZO, rappresentato e difeso dall’avvocato OROPALLO EUGENIO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

17/01/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/12/2010 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato LORENZO NARDONE, con delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso come da allegato al verbale di

udienza.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 19/3/2007 avanti alla corte d’appello di Napoli F.A., dipendente delle Ferrovie Secondarie Meridionali, poi Gestione Commissariale della Circumvesuviana (Circumvesuviana s.r.l.), esponeva: di avere proposto ricorso al Pretore del Lavoro in data 15/9/1994, per il pagamento dei danni subiti per la prestazione di lavoro nel giorno destinato al riposo settimanale; che il Pretore dichiarava il difetto di giurisdizione, per cui l’esponente con successivo ricorso del 27/1/1998 adiva il TAR Campania, che, con sentenza n. 13262/2003, accoglieva il ricorso; che la Circumvesuviana proponeva ricorso avverso detta sentenza al Consiglio di Stato, che decideva con sentenza n. 617/05, cui non veniva data esecuzione; che pertanto l’esponente proponeva ricorso per ottemperanza, iscritto al n. RG 9051 del 2005, giudizio deciso con la sentenza 1788 del 2006, che ordinava alla Circumvesuviana l’esecuzione del giudicato e, per il caso di ulteriore inottemperanza, nominava Commissario ad acta per provvedere all’indicato adempimento; che il termine fissato per l’adempimento decorreva infruttuosamente, per cui il ricorrente, con atto di significazione dell’ottobre 2006, diffidava il Capo di Gabinetto del Presidente della Regione Campania, quale commissario ad acta, a provvedere, ed i Commissari ad acta, in data 18/12/2006,deliberavano in tal senso, a distanza di oltre otto anni dall’inizio del processo amministrativo.

Tanto premesso, il ricorrente agiva ex L. n. 89 del 2001, chiedendo la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento della somma di Euro 18.000,00, per danni morali, oltre accessori ed in via subordinata, della somma di Euro 14.460,00.

La corte d’appello, con decreto depositato il 17/1/2008, dichiarava l’inammissibilità del ricorso, ritenendo verificatasi la decadenza L. n. 89 del 2001, ex art. 4 atteso che il ricorso era stato depositato il 19/3/2007, oltre il termine di sei mesi dal deposito della sentenza del Consiglio di Stato n. 617 del 2005, notificata, a detta del ricorrente, il 17/5/05, che definiva il giudizio iniziato avanti al TAR con ricorso del 27/1/1996, nè poteva ritenersi l’unicità del processo sino alla completa soddisfazione con il giudizio di ottemperanza, con la conseguente decorrenza del termine dal momento in cui i commissari ad acta avevano deliberato l’obbligo di pagamento, atteso che tale fattispecie esula dalla previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 per cui la valutazione giudiziale deve arrestarsi al processo di merito concluso con la sentenza del Consiglio di Stato. Ricorre per cassazione il F., sulla base di un unico motivo.

Resiste il Ministero con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. – Con l’unico motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, ex art. 360 c.p.c., n. 3, sostenendo che, trattandosi di determinazione dell’indennizzo da riconoscere al lavoratore, la sentenza del Tar, modificata dal Consiglio di Stato, non ha dato soddisfazione piena al diritto azionato, che si è invece realizzata solo nel momento in cui i commissari ad acta hanno dato piena e sostanziale attuazione al giudicato del Consiglio di Stato, determinando la misura dell’indennizzo da pagare, tanto che solo da questo momento il ricorrente è stato posto in grado di procedere esecutivamente, forte del titolo esecutivo; nè vi è mai stato il processo esecutivo , avendo la Circumvesuviana reso spontanea esecuzione. Nella memoria, il ricorrente ribadisce che sono troppe le differenze tra processo esecutivo in sede di giudizio civile e giudizio di ottemperanza nel processo amministrativo, per applicare identici principi e sottopone a critica la recente sentenza del S.C. 1732/09, sostenendo che con l’entrata in vigore il 1/12/2009 del Trattato di Lisbona, è stata riconosciuta vincolatività giuridica alla carta dei diritti fondamentali della UE proclamata il 12/12/2007, ed ai diritti fondamentali CEDU, considerati come facenti parte del diritto dell’Unione come principi generali, da cui la diretta applicazione della interpretazione della CEDU da parte dei paesi della UE. Va nel caso richiamata la recente pronuncia delle sezioni unite, n. 27365 del 2009, che, parallelamente alla coeva pronuncia 27348, ha enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, questo va identificato, in base all’art. 6 della Convenziono Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in considerazione delle situazioni soggettive controverse e azionate su cui il giudice adito deve decidere, le quali, per la citata norma sovranazionale, sono “diritti e obblighi”, ai quali, per gli artt. 24, 111, e 113 Cost., devono aggiungersi gli interessi legittimi di cui sia chiesta tutela ai giudici amministrativi. In rapporto al criterio di distinzione della Convenzione sopra richiamato, il processo di cognizione e quello di esecuzione regolati dal codice di procedura civile come quello cognitivo del giudice amministrativo e il processo di ottemperanza, teso a far conformare la P.A. a quanto deciso in sede cognitoria, devono considerarsi tra loro autonomi, in rapporto alla diversità delle situazioni soggettive azionate in ciascuno di essi (nei primi, cognitori, diritti e interessi legittimi, e nei secondi esclusivamente diritti all’adempimento).

Dalla differenza funzionale richiamata deriva la diversità della struttura di ognuno di detti procedimenti, nascendo il processo di cognizione da una domanda di accertamento di un diritto, obbligo o interesse legittimo controverso, e il secondo dalla valutazione positiva di tali situazioni contenuta in una pronuncia esecutiva, la cui inadempienza dal convenuto o resistente soccombente, comporta che la stessa costituisca titolo esecutivo che, notificato con il precetto, introduce i procedimenti (alcuni anche cognitori) tesi a soddisfare quanto accertato dal giudice della cognizione (cfr. libro terzo del c.p.c.), potendosi, qualora soccombente sia una pubblica amministrazione agire anche in ottemperanza, perchè la predetta si conformi al giudicato, ponendo in essere atti sostitutivi di quelli annullati perchè illegittimi, a seguito di notifica della messa in mora a provvedere nei sensi della decisione emessa in sede cognitoria non osservata.

Consegue alla detta autonomia dei diversi giudizi che le loro durate non possono sommarsi per rilevarne una complessiva dei due processi, di cognizione da un canto e di esecuzione o di ottemperanza dall’altro, e che solo dal momento delle decisioni definitive in ciascuno dei processi, sarà possibile, per ognuno di essi, domandare, nei termini della L. n. 89 del 2001, art. 4, l’equa riparazione per violazione dell’art. 6 della Convenzione”. Ciò posto, quanto al primo rilievo del P.G., è sufficiente rilevare che le S.U. hanno tenuto presente anche il caso di decisione amministrativa resa ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1998, come si riscontra nel corso della motivazione. Quanto alle questioni di costituzionalità prospettate in subordine, le stesse, anche a non ritenere la diretta vincolatività per il giudice nazionale del principio ermeneutico sovranazionale, ove esistente, per l’obbligo di conformarsi agli obblighi internazionali, vanno comunque ritenute manifestamente infondate, atteso che non può ritenersi che la Corte di Strasburgo, nell’interpretare la CEDU, abbia elaborato un concetto di “giusto processo” nel quale devono necessariamente considerarsi unitari o come due fasi del “medesimo” processo (L. n. 89 del 2001, art. 4) sui “diritti e obblighi di natura civile” (art. 6 Conv.), il giudizio di cognizione e quello eventuale di esecuzione, per considerare unica la loro complessiva durata, secondo il principio di effettività di cui all’art. 13 della convenzione.

Come infatti rileva la sentenza delle S.U. cit., è evincibile dalle pronunce del 31 marzo 2009, Simaldone c. Italia, e del 29 marzo 2006, Scordino c. Italia, che per il principio di effettività, l’esecuzione della sentenza deve essere considerata parte integrante del processo, “affinchè la lentezza eccessiva del ricorso indennitario non ne comprometta il carattere adeguato” (sent.

Scordino), con ciò avendosi riguardo ai soli giudizi interni di ripristino dei danni da lesione dei diritti riconosciuti dalla convenzione, da cui consegue che il principio è privo di rilievo generale,dovendosi ritenere che l’art. 13 della convenzione riguardi le sole azioni volte a reintegrare le vittime delle violazioni dei diritti riconosciuti da norme convenzionali, ma non esprime un principio di carattere generale per il quale debba ritenersi unico il lasso temporale del giudizio di cognizione e di quello eventuale del giudizio di esecuzione o di ottemperanza.

Va pertanto respinto il ricorso; le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo,seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a rifondere all’Amministrazione le spese di lite del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1000,00, oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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