Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4037 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2021, (ud. 04/03/2020, dep. 16/02/2021), n.4037

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25442-2016 proposto da:

D.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MASSIMO FARINA;

– ricorrente –

contro

ENTE AUTONOMO VOLTURNO – E.A.V. – S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO POLLAIOLO 5, presso lo studio dell’avvocato YURI PICCIOTTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO BOCCHINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3187/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 04/05/2016 R.G.N. 1230/2014.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 4 maggio 2016, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato le domande proposte da D.A. nei confronti dell’Ente Autonomo Volturno srl, volte all’accertamento che tra le parti era intercorso un unico ed ininterrotto rapporto di lavoro subordinato dirigenziale dal 1 ottobre 2003 al 30 settembre 2011, con condanna al pagamento di spettanze retributive;

2. la Corte territoriale ha innanzitutto escluso che il primo contratto di lavoro subordinato, stipulato tra le parti per una durata quinquennale, fosse stato convertito ab origine in un rapporto a tempo indeterminato perchè illegittimamente prorogato;

ha altresì accertato, per il periodo successivo, sulla base della disamina del testo dell’accordo del 9 settembre 2008 e delle prove testimoniali, che il rapporto aveva assunto “i caratteri di una forma di collaborazione coordinata e continuativa e non subordinata”;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso D.A. con 5 motivi, cui ha resistito la società con controricorso;

entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati:

1.1. con il primo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo rappresentato dall’evidenza che l’attività prestata quale dirigente dal D. nel corso del primo quinquennio fosse la medesima di quella prestata nel corso dell’esecuzione del successivo contratto triennale di collaborazione stipulato senza soluzione di continuità;

1.2. con il secondo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1230,1362,2727,2697 c.c., sostenendo che la successione senza soluzione di continuità tra i due rapporti era circostanza tale da radicare l’esistenza di una presunzione semplice, insita in un generale principio di infrazionabilità del rapporto di lavoro, per cui il Collegio giudicante “avrebbe dovuto accertare che la prestazione svolta successivamente al 1 ottobre 2008, per oggetto e modalità di esecuzione, evidenziava significativi elementi di novità rispetto a quella precedentemente svolta”, per cui l’operatività dell’art. 2697 c.c. avrebbe dovuto determinare che “l’onere probatorio relativo all’esistenza di fatti estintivi, idonei ad escludere che la successione dei rapporti giustificasse una medesima qualificazione degli stessi, gravava” sulla società;

1.3. con il terzo mezzo si lamenta omesso esame di un fatto decisivo “rappresentato dall’affidamento e dalla responsabilità di una unità organizzativa” da cui far derivare il decisivo elemento dell’inserimento del D. nella struttura organizzativa del datore di lavoro, così come l’omesso esame della funzione di presidente delle commissioni giudicatrici di gare;

1.4. il quarto motivo denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2095 c.c. nonchè del D.L. n. 1163 del 2006, art. 84, comma 3”, lamentando che la Corte napoletana non avrebbe tenuto in alcun modo conto delle peculiarità che contraddistinguono la subordinazione nel rapporto di lavoro dirigenziale, con i tratti della cd. subordinazione attenuata, caratterizzata non dalla etero-direzione quanto piuttosto dalla etero-organizzazione;

1.5. con il quinto motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 10 e dell’art. 2118 c.c.”, criticando l’assunto della Corte territoriale secondo cui “il protrarsi di un contratto di lavoro a tempo determinato dirigenziale oltre il termine previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 10 non determina la conversione in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”;

2. quest’ultimo motivo – che, per il suo potenziale carattere assorbente, può essere esaminato per primo – è infondato;

infatti, secondo questa Corte (Cass. n. 17010 del 2017), “In tema di contratto di lavoro a tempo determinato dei dirigenti, il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 10, comma 4, si interpreta nel senso che il limite quinquennale ivi previsto non costituisce il termine finale massimo entro cui deve essere contenuto il rapporto, comprensivo di eventuali proroghe o rinnovi, bensì il vincolo di durata massima del singolo contratto, in quanto il lavoro a termine non costituisce – limitatamente a detta categoria di prestatori – deroga al principio generale della normale durata a tempo indeterminato del contratto e, conseguentemente, non sono applicabili le disposizioni che, in caso di superamento del termine massimo, ne comportano la conversione, senza che tale interpretazione, in considerazione della natura fiduciaria delle funzioni svolte e del peculiare ruolo di preminenza gerarchica e/o professionale assegnato, si ponga in contrasto con l’art. 3 Cost. ovvero con la normativa Europea in materia”;

3. gli altri motivi, esaminabili congiuntamente per connessione in quanto investono l’accertamento del vincolo della subordinazione dedotto da parte ricorrente, non sono meritevoli di accoglimento;

per essi occorre premettere taluni consolidati orientamenti giurisprudenziali circa i limiti del sindacato di legittimità su sentenze di merito che accertino, ovvero neghino, l’esistenza in concreto della fattispecie disegnata in astratto dall’art. 2094 c.c.;

3.1. secondo questa Corte la valutazione delle risultanze processuali che inducono il giudice del merito ad includere un rapporto controverso nello schema contrattuale del rapporto di lavoro subordinato o autonomo costituisce accertamento di fatto, per cui è censurabile in Cassazione solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto (Cass. n. 13202 del 2019; Cass. n. 5436 del 2019; Cass. n. 332 del 2018; Cass. n. 17533 del 2017; Cass. n. 14434 del 2015; Cass. n. 4346 del 2015; Cass. n. 9808 del 2011; Cass. n. 23455 del 2009; Cass. n. 26896 del 2009);

in particolare, qualora l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa del concreto atteggiarsi del rapporto, può farsi ricorso ad elementi dal carattere sussidiario e funzione indiziaria (per tutte: Cass. SS.UU. n. 379 del 1999, con la risalente giurisprudenza ivi richiamata) che, lungi dal prescindere dall’essenzialità della subordinazione, ne accertano in via indiretta l’esistenza quali evidenze sintomatiche di un vincolo non rintracciabile aliunde; chiaro che la mera applicazione dei singoli indici rivelatori rimane muta o può essere addirittura fuorviante se non si accompagna ad una globale visione di insieme che attribuisca maggiore o minor valore ad alcuni di essi a seconda delle peculiarità della prestazione di cui si discute; vale, cioè, il paradigma logico secondo cui gli indizi, proprio perchè tali, vanno letti congiuntamente affinchè il processo inferenziale conduca a risultati univoci; ancora le Sezioni unite di questa Corte (n. 379/99 cit.) insegnano come “ciò che deve negarsi è soltanto l’autonoma idoneità di ciascuno di questi elementi, considerato singolarmente, a fondare la riconduzione del rapporto in contestazione all’uno o all’altro tipo contrattuale (id est, a costituire il criterio, generale ed astratto, preordinato a siffatto risultato specifico), non anche la possibilità che, in una valutazione globale dei medesimi, funzionale alla suddetta indagine prioritaria e decisiva sulla sussistenza del requisito della subordinazione, essi vengano assunti, come concordanti, gravi e precisi indici rivelatori dell’effettività di tale sussistenza”;

3.2. l’accertamento in ordine alla ricostruzione dei fatti, principali e secondari, che concretano gli indici sintomatici della subordinazione e del come si siano verificati nella vicenda storica che origina la controversia compete ai giudici di merito, così come a costoro spetta anche la valutazione di detti fatti, al fine di esprimere un giudizio complessivo dei medesimi che sintetizzi le ragioni per cui da essi si sia tratto il convincimento circa la sussistenza o meno della subordinazione medesima; trattandosi di giudizi di fatto questa Corte può sottoporli a sindacato nei limiti consentiti da una prospettazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione tempo per tempo vigente; inoltre il giudice di legittimità può sindacare la sussunzione operata dall’impugnata sentenza, sempre nei limiti di una censura appropriata, negando – per dirla con la decisione delle SS.UU. n. 379/99 già citata – che un singolo elemento sintomatico possa fondare la riconduzione del rapporto in contestazione all’uno o all’altro tipo contrattuale, dovendo invece essere praticata una valutazione globale dei medesimi, quali “concordanti, gravi e precisi indici rivelatori” dell’effettività della sussistenza della subordinazione;

3.4. tuttavia chi ricorre per cassazione non può limitarsi ad opporre un diverso convincimento, criticando la sentenza impugnata per aver dato credito a talune circostanze, che si assumono prive di valore significativo, piuttosto che ad altre, ritenute al contrario più rilevanti, con ciò assumendo erroneamente di avere individuato vizi idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata; come noto, infatti, al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, essendo del tutto estranea allo scrutinio di legittimità la funzione di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie; in particolare, tanto più in giudizi nei quali la decisione è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi, tutti concorrenti a supportare la prova del fatto principale, il ricorrente non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, pur in possibile o probabile corrispondenza alla realtà fattuale, poichè è necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile (per tutte, sui limiti del sindacato di legittimità in tema di subordinazione, v. Cass. n. 11015 del 2016; successive conformi: v. Cass. n. 9157 del 2017; Cass. n. 9401 del 2017; Cass. n. 25383 del 2017; da ultimo: Cass. n. 32385 del 2019);

4. alla stregua degli esposti principi i restanti motivi di ricorso non possono che essere respinti;

4.1. parte ricorrente, con il primo e terzo mezzo di impugnazione, denuncia omesso esame di fatti decisivi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, variamente rappresentati dalle seguenti circostanze: il D. avrebbe prestato quale dirigente, nel corso del primo contratto quinquennale, la medesima attività di quella prestata nel corso del triennio successivo; egli sarebbe stato inserito nella struttura organizzativa del datore di lavoro; infine avrebbe espletato la funzione di presidente delle commissioni aggiudicatrici di gare, spettante per legge a dipendenti dell’ente;

in proposito va rimarcato che il vizio denunciato, secondo la formulazione novellata dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – rigorosamente interpretata dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici) – deve essere letto, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, ed introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne “l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”, considerato altresì che “l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie”;

ciò posto, va rilevato, circa il primo fatto dedotto da parte ricorrente, che la Corte territoriale, alla pag. 8 della sentenza impugnata, ha espressamente preso in considerazione la circostanza (riferita dal teste T.) “che l’attività svolta dal ricorrente rimase immutata nel tempo”, esplicitamente ritenendola non “dirimente” in relazione agli altri elementi acquisiti, per cui, essendo stato il fatto storico preso in considerazione dal giudicante, non è configurabile il vizio di omesso esame; quanto alle altre circostanze la cui valutazione sarebbe stata omessa, secondo la prospettiva del D., il Collegio reputa che nessuna di esse assuma reale valenza “decisiva”, nel senso rettamente inteso di fatto che, se fosse stato preso in considerazione, avrebbe condotto ad un esito diverso della lite, con giudizio prognostico di certezza e non di mera probabilità; tanto anche in relazione alla giurisprudenza innanzi richiamata secondo cui, nel giudizio di sintesi avente ad oggetto l’accertamento della subordinazione, nel quale la decisione è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi, tutti concorrenti a supportare la prova del fatto principale, il ricorrente non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, poichè è necessario che essa appaia come l’unica possibile, nè può lamentare che sia stato dato credito a talune circostanze, che si assumono prive di valore significativo, piuttosto che ad altre, ritenute al contrario più rilevanti;

4.2. quanto poi all’errore in diritto, di cui ci si duole con il secondo motivo, per il quale la successione, senza soluzione di continuità, tra i due rapporti intrattenuti dal D. era idonea a generare una presunzione semplice che sarebbe insita in un generale principio di “infrazionabilità del rapporto di lavoro”, è appena il caso di rilevare che la giurisprudenza richiamata a sostegno dell’assunto (Cass. n. 6877 del 1986, con le altre alla stessa riferibile) non è conferente nella specie, atteso che riguarda la diversa ipotesi in cui si sono succeduti due rapporti di lavoro subordinato – e non un rapporto accertato come autonomo che succede ad uno precedente a carattere subordinato – con una novazione simulata “finalizzata a frustrare il diritto all’infrazionabilità dell’anzianità”; più in generale, circa la pretesa violazione delle regole sulle presunzioni, queste costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, ma nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, per cui spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare il fatto da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto a lui riservato (cfr. Cass. n. 10847 del 2007; Cass. n. 24028 del 2009; Cass. n. 21961 del 2010);

4.3. infine, il quarto motivo critica la sentenza della Corte partenopea per aver negato la qualificazione del rapporto ex art. 2094 c.c. prescindendo dalla nozione di “subordinazione attenuata” valida per i dirigenti e privilegiando l’elemento “volontaristico” risultante dall’esame del contratto stipulato tra le parti;

la censura, nella sostanza, non evidenzia un error in iudicando che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (tra le molteplici, Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007), sicchè il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata perchè è quella che è stata operata dai giudici del merito; piuttosto si critica la ricostruzione della vicenda storica e, soprattutto, l’apprezzamento delle circostanze fattuali operato dalla Corte territoriale, la quale ha invece compiutamente espresso il suo convincimento secondo cui “il D., secondo contratto, ha avuto piena autonomia nell’organizzare tutta l’attività esecutiva delle indicazioni emesse dagli organi di governo… autonomia non solo riguardante la propria attività ma anche nella gestione dell’organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo… (con) responsabilità personale della gestione e dei risultati”;

in ordine, poi, all’elemento volontaristico, sebbene sia consolidato il principio secondo cui la formale qualificazione delle parti in sede di conclusione del contratto individuale non impedisce di accertare il comportamento tenuto dalle parti nell’attuazione del rapporto di lavoro, va detto che tale orientamento impedisce di attribuire valore preclusivo di ogni ulteriore indagine alla dichiarazione contrattuale di qualificazione del rapporto ma non ostacola un iter interpretativo che, partendo dal dato volontaristico, si curi di accertare se il contenuto concreto del rapporto e le sue effettive modalità di svolgimento siano conformi alle pattuizioni stipulate ovvero siano piuttosto proprie del rapporto di lavoro subordinato (cfr. Cass. n. 12926 del 1999; Cass. n. 5665 del 2001), in particolare laddove non si ravvisi una situazione di chiara debolezza contrattuale del lavoratore (cfr. Cass. n. 12085 del 2003; Cass. n. 15001 del 2000; Cass. n. 7796 del 1993; Cass. n. 3170 del 1990) o quando le concrete modalità di svolgimento dello stesso lascino margini di ambiguità e/o di incertezze (v. Cass. n. 11207 del 2009; Cass. n. 13884 del 2004; Cass. n. 13884 del 2004; Cass. n. 17549 del 2003; Cass. n. 12364 del 2003; Cass. n. 6673 del 2003; Cass. n. 7931 del 2000); in tale prospettiva la stessa Corte Costituzionale ha espresso l’avviso che “il nomen iuris adoperato dai contraenti, sfornito di un valore assoluto e dirimente, non può essere del tutto pretermesso e rileva come elemento sussidiario, quando si riveli difficile tracciare il discrimine tra l’autonomia e la subordinazione” (Corte Cost. n. 76 del 2015); nella specie non poteva certo trascurarsi, per dirimere la questione, che l’alto dirigente, manifestando “disinteresse alla prosecuzione di un’attività lavorativa in regime di dipendenza”, avesse liberamente sottoscritto un contratto di lavoro autonomo, “a soddisfacimento di reciproci interessi”, senza sottoposizione “ad alcun potere gerarchico, disciplinare o direttivo” e “senza obblighi di presenza o di giustificazione delle assenza” (circostanze tutte sottolineate dalla Corte territoriale), in cambio di un elevato trattamento economico annuo e in una situazione in cui non era ragionevolmente ipotizzabile una reale posizione di debolezza contrattuale ed economica dello stipulante;

5. conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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