Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4036 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. III, 16/02/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 16/02/2021), n.4036

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36011-2018 proposto da:

M.E., rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO

SCHEMBRI, e con il medesimo elettivamente domiciliato in ROMA,

presso lo studio dell’avvocato DOMENICA MARIA MANTI, in VIA MESSINA,

30, pec: fabio.schembri.milano.pecavvocati.it;

– ricorrente –

Contro

I.M., rappresentato e difeso dall’avvocato ARTURO IANNELLI,

ed elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio del medesimo

in VIA G. P. DA PALESTRINA 19, pec:

arturoiannelli.ordineavvocatiroma.org;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6353/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/11/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI;

lette le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CORRADO MISTRI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

I.M. convenne, con atto di citazione del 4/3/2010, davanti al Tribunale di Roma la società Al. Editore ed E.M., rispettivamente editrice ed autore del libro dal titolo “(OMISSIS)”, testo basato sulle memorie difensive di G.G., già consulente tecnico del P.M. D.M. per la Procura di Catanzaro, lamentando il contenuto diffamatorio dei riferimenti alla sua persona – generale della Guardia di Finanza – accostata a V.G.E., già esponente della (OMISSIS). Nel libro riportano brani di conversazioni telefoniche tra I. ed V.E. con una tecnica espositiva tipica del cd. “giornalismo d’inchiesta” volto a far luce su vicende remote e recenti della storia della Repubblica.

Il giornalista M. si costituì in giudizio negando il contenuto diffamatorio delle affermazioni contestate e difendendo il suo operato, consistito nel limitarsi a recepire le memorie difensive di G. nell’ambito di un procedimento che lo vedeva indagato dalla Procura di Roma per il reato di cui all’art. 323 c.p.

2. Il Tribunale adito, riconosciuta la veridicità dei fatti esposti, la continenza delle espressioni utilizzate e la sussistenza, in capo al M., della scriminante del diritto di critica, rigettò la domanda.

3. I. propose appello lamentando l’erronea applicazione dell’art. 51 c.p., depositò una memoria difensiva del G. in un processo penale nel quale egli era imputato, diede prova dei contatti intercorsi, degli incarichi da lui ricevuti e svolti e si dichiarò estraneo ad ogni contatto con la (OMISSIS).

4. Nel contraddittorio con il M. e la Al. Editori srl, la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 6353 del 9/10/2018, ha parzialmente accolto l’appello, ritenendo per quanto ancora qui di interesse, di condividere i principi di questa Corte, coerenti con quelli Cedu, in ordine al corretto esercizio del diritto di cronaca, di ritenere che, nel caso in esame, fosse presente l’interesse pubblico alla divulgazione delle notizie, la natura allusiva delle affermazioni contenute nella prefazione al libro di T.M., la non piena rilevabilità della “verità” delle notizie riportate sia con riguardo ai “frenetici contatti telefonici” intercorsi tra il generale I. e il V. sia con riguardo alle allusioni neppure velate relative all’incarico ricevuto da I. quale Presidente della Tangenziale di Napoli considerato nel libro quale compenso per l’attività svolta dal medesimo quale “(OMISSIS)” della Guardia di Finanza. Conclusivamente il giudice d’appello ha ritenuto che l’intenzione dell’autore dell’articolo non fosse tanto quella di offrire una cronaca quanto, piuttosto, di rappresentare a tinte fosche la figura del generale I. con la conseguente lesione dell’onore dell’appellante, per tanti anni a servizio delle istituzioni della Repubblica, da risarcire con una somma di Euro 10.000,00.

5. Avverso la sentenza il giornalista M. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. Ha resistito I. con controricorso.

6. La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, in vista della quale il P.G. ha depositato conclusioni scritte nel senso dell’accoglimento del ricorso ed entrambe le parti hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata da parte resistente per violazione degli artt. 125 e 365 c.p.c. afferenti alla pretesa mancata sottoscrizione del ricorso con firma digitale. Il P.G. ha replicato che, pur mancando il ricorso della firma digitale, lo stesso ha in ogni caso raggiunto lo scopo non essendo intervenuto alcun disconoscimento dell’atto da parte resistente e dovendo attribuirsi alla firma apposta dal difensore in calce al ricorso il valore di sottoscrizione del medesimo.

Le considerazioni del P.G, devono essere condivise. L’indirizzo giurisprudenziale che aveva affermato la necessità, a pena di nullità, della sottoscrizione dell’atto con firma digitale è stato rivisto dalla giurisprudenza più recente che ha escluso l’improcedibilità del ricorso qualora parte resistente depositi una copia analogica del ricorso ritualmente notificata o non disconosca la conformità all’originale della copia notificata (Cass., S.U., n. 22438 del 24/9/2018). In coerenza con tale nuovo indirizzo, qualora il destinatario della notifica rimanga solo intimato ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata, il ricorrente dovrà depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica fino all’udienza pubblica o all’adunanza in camera di consiglio (Cass., 3, n. 27480 del 30/10/2018).

Aderendo a tale meno formalistico indirizzo giurisprudenziale il ricorso deve considerarsi ammissibile.

1.1 Con l’unico motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., art. 595 c.p.c., art. 51 c.p. con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente si duole che la sentenza, pur aderendo ad una giusta ricostruzione dei limiti del “giornalismo d’inchiesta” volto ad affermare valori ed ideali che l’autore intende trasmettere al lettore, a differenza della mera cronaca, abbia erroneamente valorizzato la natura “allusiva” delle dichiarazioni del M., senza considerare che la maggior parte delle notizie riportate dall’articolo erano del tutto corrispondenti a verità e di sicuro interesse pubblico. La Corte territoriale avrebbe dovuto valorizzare anche l’affidabilità della fonte scelta dal M., quale il consulente della Procura Dott. G.G., per concludere nel senso dell’elevato interesse pubblico delle notizie riferite e per escluderne la natura diffamatoria. Inoltre, ad avviso del ricorrente la sentenza non avrebbe neppure preso posizione rispetto alle ragioni di dissenso espresse dall’appellante nei riguardi della sentenza di prime cure.

1.2 II motivo è fondato e merita accoglimento. Nel giornalismo d’inchiesta occorre valutare non tanto l’attendibilità e la veridicità della notizia quanto piuttosto il rispetto dei doveri deontologici di lealtà e buona fede oltre che la maggiore accuratezza possibile posta dal giornalista nella ricerca delle fonti e della loro attendibilità. La sentenza in esame, pur partendo da condivisibili premesse, è erroneamente pervenuta a ritenere la responsabilità civile del giornalista e dell’editore senza prendere posizione sul rispetto da parte dei medesimi dei menzionati doveri deontologici, ma limitandosi a valorizzare il solo criterio della verità o verosimiglianza della notizia. Dunque la sentenza ha applicato il parametro valutativo della veridicità della notizia senza considerare che il giornalista intendeva porre in essere un’attività di giornalismo d’inchiesta esprimendo la propria opinione sugli eventi riferiti in forza della libertà di manifestazione del pensiero. La giurisprudenza di questa Corte riconosce ampia tutela ordinamentale al giornalismo d’inchiesta, il quale implica il minor rigoroso apprezzamento della veridicità della notizia e valorizza il rispetto dei doveri deontologici di lealtà e di buona fede unitamente alla maggiore accuratezza possibile nella ricerca delle fonti (Cass., 3, n. 16236 del 9/7/2010). Secondo questa Corte il giornalismo di denuncia è tutelato dal principio costituzionale del diritto alla libera manifestazione del pensiero in contesti in cui sussiste l’interesse pubblico all’oggetto dell’indagine giornalistica ed il diritto della collettività ad essere informata non solo sulle notizie di cronaca ma anche sui temi sociali di particolare rilievo attinenti la libertà, sicurezza salute e ad altri diritti di interesse generale. In questa prospettiva è scriminato il giornalista che eserciti la propria attività mediante la denuncia di sospetti di illeciti, allorquando tali sospetti, secondo un apprezzamento caso per caso riservato al giudice di merito, non siano obiettivamente del tutto assurdi ma risultino espressi in modo motivato e argomentato sulla base di elementi obiettivi e rilevanti (Cass. Pen., 5, n. 9337 del 12/12/2012).

Si impone, pertanto, l’annullamento con rinvio della impugnata sentenza dovendo procedere la Corte territoriale alle opportune valutazioni in ordine al rispetto, da parte del giornalista nella conduzione dell’inchiesta dell’obbligo di attenersi ai doveri di lealtà e di buona fede e dell’obbligo di ricercare la notizia con la maggiore accuratezza possibile.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame ed anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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