Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4034 del 20/02/2018

Civile Ord. Sez. 3 Num. 4034 Anno 2018

Presidente: SPIRITO ANGELO

Relatore: IANNELLO EMILIO

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2831/2016 R.G. proposto da

Banca Mediolanum S.p.A., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Ignazio

Danisi e Fabrizio Siggia, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via Cardinal De Luca, n. 22;

– ricorrente contro

AA, BB e CC, rappresentati e difesi

dall’Avv. Gigi Sandri;

– ricorrenti in via incidentale avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 2631/2015

depositata il 19 giugno 2015;

52oP3

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31 gennaio

Data pubblicazione: 20/02/2018

2018 dal Consigliere Emilio Iannello.

Rilevato in fatto

1. Banca Mediolanum S.p.A. propone ricorso per cassazione, con

due mezzi, nei confronti di AA e degli eredi di Maria

G.R (i quali resistono con controricorso, proponendo a loro

volta ricorso incidentale con unico motivo), avverso la sentenza in

decisione di primo grado e in parziale accoglimento delle domande

delle appellanti AA e GG (subentrate

iure

successionis al loro padre, attore in primo grado, PP), ha

condannato la banca, ex art. 31, comma 3, d.lgs. 24 febbraio 1998,

n. 58, al pagamento in favore delle predette della somma di C

231.246,40, oltre rivalutazione e interessi compensativi, a titolo di

risarcimento dei danni derivati dal fatto illecito commesso da

ZZ, promotore finanziario della banca legato alla

stessa da rapporto di agenzia: danni così ridotti, rispetto a

quelli dedotti in domanda, ex art. 1227, comma primo, cod. civ., per

il riconosciuto concorso di colpa del danneggiato.

Secondo l’assunto posto a fondamento della pretesa risarcitoria,

accolto nei limiti predetti dai giudici d’appello:

— PPaveva aperto presso la Banca Mediolanum un

conto corrente ordinario e un dossier titoli cointestati con il genero;

— sulla base di tali rapporti vennero attivate diverse gestioni

patrimoniali e contratti di investimento, per complessive lire

640.000.000;

— solo dopo la morte del genero, avvenuta il 31/5/2005, il PP

si accorse che l’intero ammontare del capitale investito, dopo il suo

realizzo e il riaccredito degli importi sul conto corrente con lo stesso

cointestato, era stato distratto dal genero (nel periodo dal 29/6/2002

al 17/2/2003) a proprio esclusivo vantaggio sul diverso conto aperto,

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epigrafe con la quale la Corte d’appello di Milano, in riforma della

sempre presso Mediolanum, a lui cointestato e alla moglie .

Hanno al riguardo ritenuto i giudici d’appello che:

a) è riconoscibile, in quanto esposto, il fatto illecito del promotore

finanziario, costituito dall’indebita appropriazione di somme bensì

versate su conto a lui cointestato ma di esclusiva pertinenza del

b) sussiste il nesso di necessaria occasionalità tra il fatto e le

incombenze affidate al promotore, atteso che il PP non avrebbe

trasferito le proprie somme su tale conto se il genero non avesse

avuto la qualifica di promotore, la cui attività ha così inteso favorire,

affidandogli anche la gestione dei propri risparmi;

c) non sussiste alcuna prova che delle somme distratte dal ZZ

sul diverso conto cointestato a sé e alla moglie, quest’ultima si fosse

avvantaggiata, né che le stesse fossero state destinate a soddisfare i

bisogni e le necessità familiari, comprese quelle del nucleo del

suocero, considerato che quest’ultimo si manteneva con una propria

pensione e viveva in una unità abitativa, bensì vicina, ma tuttavia

autonoma;

d) il mancato controllo degli estratti conto regolarmente inviati

dalla banca integra concorso di colpa del danneggiato, determinato

nella misura del 30%.

2. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc.

civ..

Considerato in diritto

1. Con il primo motivo di ricorso la Banca Mediolanum S.p.A.

denuncia «l’assenza di prova degli illeciti imputati a ZZ

e, quindi, l’omesso esame di fatti decisivi della controversia ovvero la

violazione e falsa applicazione dell’art. 31 co. 3 t.u.f.».

Rileva che: non vi è prova che il ZZ abbia distratto a proprio

vantaggio le somme destinate agli investimenti scelti da Pierino

3

suocero;, né che lo abbia fatto all’insaputa e senza il consenso del

suocero; tutti i disinvestimenti sono avvenuti su richiesta e con il

consenso di quest’ultimo e comunque in assenza di condotte illecite

da parte del ZZ; i prelevamenti effettuati sul conto cointestato al

suocero, sono avvenuti solo dopo che il denaro disinvestito era stato

in esso depositato; è indimostrato che sia stato il ZZ a disporre

legittimamente, poiché cointestatario del conto, abilitato ad esercitare

disgiuntamente ogni diritto e facoltà propria del titolare del rapporto;

non è stato dimostrato in alcun modo quale sia stato il reale utilizzo

delle somme disinvestite e poi trasferite sul conto cointestato al

ZZ e alla moglie, né è dimostrato che di tale

utilizzo non fossero consapevoli il PP e la figlia non se ne fossero essi stessi avvantaggiati.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce «l’assenza del c.d.

“nesso di occasionalità necessaria” tra l’incarico professionale del

signor ZZ e l’illecito commesso ai danni del signor

PP e quindi la violazione e falsa applicazione dell’art. 31

co. 3 t.u.f.».

Sostiene che la Corte d’appello ha applicato erroneamente la

citata norma atteso che l’illecito ipotizzato a carico del ZZ è stato

comunque realizzato del tutto al di fuori e a prescindere dalle

incombenze professionali che gli erano state affidate dalla banca.

Rileva che: ad agevolare la asserite distrazioni è stata unicamente

la cointestazione con il suocero del conto corrente che ha costituito

provvista e base per gli investimenti e i disinvestimenti, la quale però

è frutto della scelta operata dal PP in ragione degli stretti rapporti

familiari e non indotta in alcun modo dalla banca.

3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale AA, X e Y(questi ultimi quali eredi)

censurano il riconoscimento di un concorso di colpa in capo al

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di tale denaro e, comunque, se lo ha fatto, egli ha operato

danneggiato con la conseguente diminuzione del risarcimento.

Sostengono che la condotta del loro dante causa va considerata

come mero elemento della vicenda in cui si inserisce, che non vale ad

attenuare o ridurre le conseguenze dannose del fatto illecito.

Richiamati precedenti giurisprudenziali che escludono la diminuzione

del risarcimento in caso di provocazione da parte della persona offesa

trovare applicazione nel caso di specie nel quale al danneggiato può,

semmai, essere rimproverata una mancanza di cautela, ovvero una

colposa negligenza.

4. È inammissibile il primo motivo di ricorso.

Lungi dal far emergere una erronea qualificazione giuridica della

fattispecie, esso impinge esclusivamente nella ricognizione fattuale

della stessa, in astratto sindacabile solo sul piano della motivazione,

nei limiti del vizio rilevante ai sensi dell’art. 360, comma primo, num.

5, cod. proc. civ..

La censura contestualmente dedotta sotto tale profilo è poi

inammissibile, muovendosi essa al di fuori del paradigma dettato

dalla citata norma, come modificata dall’art. 54, comma 1, lett. b),

d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge

7 agosto 2012, n. 134.

Nel nuovo regime, infatti, dà luogo a vizio della motivazione

sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico,

principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza

o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra

le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato,

avrebbe determinato un esito diverso della controversia); tale fatto

storico deve essere indicato dalla parte — nel rigoroso rispetto delle

previsioni di cui all’art. 366, comma primo, num. 6, e all’art. 369,

comma secondo, num. 4, cod. proc. civ. — insieme con il dato,

testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il

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come e il

dal reato, affermano che a maggior ragione tale principio deve

quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di

discussione tra le parti, dovendosi anche evidenziare la decisività del

fatto stesso (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Cass. 22/09/2014,

n. 19881).

Nel caso di specie tale specificazione manca, rivelandosi piuttosto

la doglianza nel suo complesso diretta a sollecitare una mera nuova

dedotti nei giudizi di merito e compiutamente esaminati dai giudici a

quibus.

Buona parte delle argomentazioni spese si appalesano peraltro

inconferenti in quanto non pertinenti alla

ratio decidendi della

sentenza impugnata che non ha individuato l’illecito del promotore

nell’attività di investimento o disinvestimento dei fondi messi a

disposizione dal suocero, bensì nell’utilizzo fattone successivamente,

profittando della cointestazione del conto corrente la quale però

rimane giustificata, secondo l’insindacabile apprezzamento dei giudici

di merito, non solo dal rapporto familiare ma anche dalla qualifica di

promotore finanziario della banca e dall’intento di giovarsene per

ottenere rendimenti finanziari.

5. Per analoghe considerazioni si appalesa inammissibile anche il

secondo motivo, con il quale si denuncia (solo) un error in iudicando

muovendo però da una premessa fattuale — quella cioè che l’illecito

ipotizzato a carico del ZZ sia stato comunque realizzato del tutto

al di fuori e a prescindere dalle incombenze professionali che gli erano

state affidate dalla banca — esattamente opposta a quella accertata

in sentenza, anche in tal caso dunque il vizio risolvendosi nella mera

sollecitazione di una nuova valutazione di merito, ben al di là del

sindacato proprio del motivo dedotto e comunque (anche) dei limiti

sopra detti nei quali è consentito nel vigente regime processuale

dedurre vizio di motivazione.

6.

È infine inammissibile anche l’unico motivo di ricorso

6

valutazione di merito dei medesimi argomenti ed elementi di fatto già

incidentale.

Risulta invero inosservato l’onere della specificità

ex art. 366,

comma primo, num. 4, cod. proc. civ. secondo cui il ricorso deve

indicare «i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione

delle norme di diritto su cui si fondano».

Come affermato da Cass. Sez. U. n. 17931 del 2013, tale

del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e

del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al

giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e

stabilire se la stessa, così come esposto nel mezzo di impugnazione,

abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma

inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui

all’art. 360 citato.

Ben diversamente la censura si risolve, come reso evidente dalla

sintesi sopra riferita, nella prospettazione di generiche

argomentazioni difensive, senza peraltro in alcun modo confrontarsi

con la decisione sul punto adottata e senza in particolare precisare se

e per quale ragione la stessa debba ritenersi errata, in diritto o in

fatto.

7. Entrambi i ricorsi vanno pertanto dichiarati inammissibili, la

reciproca soccombenza giustificando conseguentemente l’integrale

compensazione delle spese del presente giudizio.

Ricorrono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, d.P.R.

30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, legge 24

dicembre 2012, n. 228, per l’applicazione del raddoppio del contributo

unificato a carico di entrambe le parti.

P.Q.M.

dichiara inammissibili il ricorso principale e quello incidentale.

Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,

7

requisito comporta l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito

inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della

ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo

a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso

principale e per quello incidentale, a norma del comma 1-bis, dello

stesso articolo 13.

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