Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4034 del 15/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 15/02/2017, (ud. 20/12/2016, dep.15/02/2017),  n. 4034

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 3696 del ruolo generale dell’anno

2016, proposto da:

G.L., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso, giusta

procura in calce al ricorso, dall’avvocato Giovanni Ferraù (C.F.:

FRR GNN 73R19 C351L);

– ricorrente –

nei confronti di:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, (C.F.: (OMISSIS)), in persona

del Presidente pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza n. 4096/2015 della Corte di appello

di Roma, depositata il 07/07/2015;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 20 dicembre 2016 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. G.L., medico iscritto ad un corso di specializzazione in anni accademici anteriori al 1991/1992, deducendo di non avere ricevuto la remunerazione prevista dalle Direttive CEE n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76, ha agito in giudizio nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla mancata attuazione delle suddette direttive comunitarie.

La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Roma, per intervenuta prescrizione.

La Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado.

Ricorre il G., sulla base di due motivi.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’amministrazione intimata.

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto ritenuto destinato ad essere rigettato.

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2.

2. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 degli artt. 2934 e 2943 c.c., art. 702 bis c.p.c. e art. 24 Cost. Tempestività della domanda. Interruzione della prescrizione”.

Con il secondo motivo si chiede poi, in conseguenza dell’auspicato accoglimento del primo, la modifica della regolamentazione del regime delle spese di lite, avvenuta in base al principio di soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c..

Secondo il ricorrente, avendo egli provveduto (come riconosciuto dalla corte di appello) ad interrompere il corso del termine decennale di prescrizione in data 5 aprile 2003, e a depositare il ricorso introduttivo del presente giudizio (promosso nelle forme del procedimento sommario di cognizione, ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c.) in data 11 gennaio 2013, la prescrizione stessa non potrebbe ritenersi maturata.

Il ricorso è manifestamente infondato.

La corte di appello ha ritenuto che il mero deposito del ricorso non fosse sufficiente ad interrompere il corso della prescrizione, essendo necessaria la sua notificazione, nella specie pacificamente avvenuta in data (10 luglio 2013) successiva a quella di integrale maturazione del termine di prescrizione.

Ha quindi deciso la controversia facendo applicazione del costante orientamento di questa Corte, espresso soprattutto con riferimento al rito speciale del lavoro, secondo cui, in ipotesi di domanda giudiziale proposta con ricorso, l’effetto interruttivo della prescrizione non si produce con il deposito del ricorso giurisdizionale presso la cancelleria del giudice adito, ma solamente con la notificazione dell’atto al convenuto (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. L, Sentenza n. 25757 del 09/12/2009, non massimata; Sez. L, Sentenza n. 14862 del 24/06/2009, Rv. 608994; Sez. L, Sentenza n. 22238 del 23/10/2007, Rv. 599577; Sez. L, Sentenza n. 14439 del 29/07/2004, Rv. 575083; Sez. L, Sentenza n. 6343 del 30/03/2004, Rv. 571681; Sez. L, Sentenza n. 16639 del 05/11/2003, Rv. 567926; Sez. L, Sentenza n. 3373 del 06/03/2003, Rv. 560944; Sez. L, Sentenza n. 6423 del 08/05/2001, Rv. 546523; Sez. L, Sentenza n. 12489 del 23/11/1992, Rv. 479654; Sez. L, Sentenza n. 543 del 17/01/1992, Rv. 475360).

E’ opportuno precisare che l’orientamento in questione non può ritenersi in alcun modo contraddetto, ma è anzi confermato dalle pronunzie (come ad es. Cass. Sez. L, Sentenza n. 20859 del 26/11/2012, non massimata; Sez. L, Sentenza n. 10212 del 04/05/2007, Rv. 596631; in precedenza: v. anche Cass. Sez. L, Sentenza n. 7295 del 16/04/2004, Rv. 572130 e Sez. L, Sentenza n. 14548 del 09/11/2000, Rv. 541514, richiamate dal ricorrente) che applicano il principio opposto (per cui il deposito del ricorso è sufficiente a determinare l’effettivo interruttivo) con riguardo alla prescrizione prevista dal D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112 per l’esercizio dell’azione giudiziaria diretta a conseguire le prestazioni dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali gestita dall’INAIL. Quest’ultima costituisce infatti una regolamentazione del tutto peculiare, non solo in ragione della sua appartenenza allo speciale sistema dell’assicurazione INAIL, ma soprattutto per l’intervento di una espressa pronunzia di illegittimità costituzionale (Corte cost. n. 129 del 21 maggio 1986) emessa peraltro sulla base di presupposti ordinamentali diversi (che configuravano l’istituto de quo come una sorta di decadenza – cui non era, pertanto, applicabile l’art. 2943 c.c. – insuscettibile di atti interruttivi diversi dall’azione giudiziaria: per tale superato indirizzo, v., ex multis, Cass. Sez. U, Sentenza n. 4857 del 08/10/1985, Rv. 442251). La pronunzia del giudice costituzionale è stata infatti ritenuta non superabile dal successivo mutamento dei presupposti legislativi circa la natura della prescrizione “de qua” come prescrizione in senso tecnico (e non più come decadenza).

Nè può invocarsi, a sostegno della tesi sostenuta dal ricorrente, la recente pronunzia delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui “la regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinataria, sancita dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo agli atti processuali e non a quelli sostanziali, si estende anche agli effetti sostanziali dei primi ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale, sicchè, in tal caso, la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica, mentre in ogni altra ipotesi tale effetto si produce solo dal momento in cui l’atto perviene all’indirizzo del destinatario” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 24822 del 09/12/2015, Rv. 637603). Anche a prescindere dalla dubbia possibilità di estendere il suddetto “principio di scissione degli effetti” alla fase intercorrente tra il deposito del ricorso giurisdizionale e la sua notifica, certo è che nella fattispecie concreta in esame non ci troviamo di fronte ad una ipotesi in cui il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale. Dunque, trova applicazione il principio generale desumibile dall’art. 2943 c.c., per il quale la prescrizione è interrotta solo nel momento in cui l’atto interruttivo viene a conoscenza del destinatario.

La manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso comporta analoga conclusione con riguardo al secondo, allo stesso del tutto consequenziale.

3. Il ricorso è rigettato.

Nulla è a dirsi in relazione alle spese del giudizio, non avendo la amministrazione intimata svolto alcuna attività difensiva.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2017

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