Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 40338 del 16/12/2021

Cassazione civile sez. VI, 16/12/2021, (ud. 12/10/2021, dep. 16/12/2021), n.40338

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15122-2020 proposto da:

AVS DI V.A., domiciliata presso la cancelleria della CORTE

DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa

dall’avvocato GERARDO CORALLUZZO;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA SPA, (OMISSIS), domiciliata presso la cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANGELO VICINANZA;

– resistente –

avverso la sentenza n. 416/2020 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 20/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 12/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA

GORGONI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Dopo aver tentato infruttuosamente la conciliazione con Telecom Italia SPA per ottenere il risarcimento dei danni subiti per il guasto alla linea telefonica, protrattosi dal 20 dicembre 2010 al 13 gennaio 2011, la ditta AVS citava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Salerno, la compagnia telefonica.

L’attrice deduceva che per i 18 giorni durante i quali la linea telefonica non aveva funzionato Telecom le dovesse non solo l’indennizzo pari al 50% del canone mensile per ogni giorno lavorativo compreso il sabato, ma anche il danno economico documentato, rappresentato dal non aver potuto inviare telematicamente 33 progetti, dell’importo di Euro 100.000,00 ciascuno oltre ad Iva, relativi all’operazione denominata (OMISSIS), perché la linea telefonica e la ADSL erano guaste per cause imputabile a Telecom.

Il Tribunale di Salerno, con la sentenza n. 2707/2016, rigettava la domanda attorea.

La Corte d’Appello di Salerno, con la sentenza n. 416/2020, resa pubblica il 20 aprile 2020, accoglieva parzialmente l’impugnazione della ditta AVS, riconoscendole il diritto all’indennizzo, quantificato in Euro 1.400,00, previsto dalle condizioni generali di contratto, art. 26, ma negava all’appellante il risarcimento del danno da lucro cessante, ritenendo che non vi fosse prova del verificarsi del danno, non bastando la consulenza di parte, priva di riscontri oggettivi.

La ditta AVS ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando due motivi.

Nessuna attività difensiva risulta svolta in questa sede da Telecom Italia SPA.

Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 2729 c.c., e all’art. 1226 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché a fronte dell’accertato l’inadempimento di Telecom, il giudice a quo avrebbe dovuto procedere alla liquidazione equitativa del danno, anziché giudicare non sufficiente la documentazione versata in atti, cioè i 33 contratti dei clienti, il bando di gara, la prova che il click day del portale Inail, sebbene con una interruzione il giorno 12 gennaio 2011, aveva funzionato regolarmente negli altri giorni, la relazione del consulente di parte, che non solo aveva descritto il danno, ma lo aveva quantificato in modo dettagliato: fondo spese Euro 82.500, compensi per attività istruttoria Euro 280.000,00. La Corte d’Appello avrebbe dunque non correttamente applicato la distribuzione dell’onere della prova in materia di inadempimento contrattuale, ove, secondo la ricorrente, trovando applicazione il principio della presunzione della colpa, al creditore sarebbe bastato provare l’inadempimento ed al convenuto sarebbe spettato l’onere di dimostrare l’impossibilità sopravvenuta di adempiere per causa non imputabile.

Avendo accertato l’inadempimento di Telecom, la Corte d’Appello avrebbe dovuto riconoscerle l’indennizzo pari al 50% del canone mensile corrisposto per ogni giorno lavorativo di ritardo o di inadempimento delle condizioni e dei termini e liquidare il danno da lucro cessante equitativamente sulla scorta della documentazione prodotta in giudizio o avrebbe dovuto disporre una CTU per quantificarlo, come pure le era stato chiesto.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui quando si agisce per il ristoro del danno patrimoniale da lucro cessante ciò “che necessariamente si richiede è la prova, anche presuntiva, della sua certa esistenza, in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale, attenendo il giudizio equitativo solo all’entità del pregiudizio medesimo, in considerazione dell’impossibilità o della grande difficoltà di dimostrarne la misura” (Cass. 16/05/2013, n. 11968).

Invocare la liquidazione equitativa del giudice non è un modo per sottrarsi all’onere di provare né l’an né il quantum debeatur. Difatti, va rammentato che “l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare; ciò non esime la parte interessata – per consentire al giudice il concreto esercizio di tale potere, la cui sola funzione è di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso – dall’onere di dimostrare non solo ran debeatur” del diritto al risarcimento”, bensì anche “ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui, nonostante la riconosciuta difficoltà, possa ragionevolmente disporre” (così Cass. 17/10/2016, n. 20889; Cass. 08/01/2016, n. 127).

Nel caso di specie, in verità, la Corte territoriale ha escluso che la ditta AVS avesse dimostrato la ricorrenza del danno, quindi l’an debeatur. Ed a nulla vale che la ricorrente contesti la valutazione delle risultanze istruttorie operata dalla Corte di merito, infatti, l’eventuale “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 12/10/2017, n. 23940; Cass. 12/04/2017, n. 9356). Ne’ ricorre, d’altra parte, la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., per avere il Giudice d’Appello attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata, secondo le regole dettate da quella norma. Infatti, la ricorrenza dell’inadempimento, che la Corte territoriale non ha messo in discussione, non esimeva la creditrice dall’onere di dimostrare che quell’inadempimento aveva avuto come conseguenza immediata e diretta il danno economico da essa lamentato. L’art. 1218 c.c., solleva il creditore dell’obbligazione che si afferma non adempiuta (o non esattamente adempiuta) dall’onere di provare la colpa del debitore, ma non da quello di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno di cui domanda il risarcimento nei termini tuttavia di seguito precisati. Questa Corte ha precisato che – sebbene nesso di causa ed imputazione della responsabilità non siano teoricamente coincidenti, perché un conto è collegare la condotta all’evento di danno (causalità materiale) e l’evento di danno alle conseguenze pregiudizievoli (causalità giuridica), altro conto è il criterio di valore che collega un effetto giuridico ad una determinata condotta, rappresentato, nel campo della responsabilità per inadempimento di un’obbligazione, dall’inadempimento – nel caso di responsabilità di cui all’art. 1218 c.c., l’inadempimento si sostanzia nel mancato soddisfacimento dell’interesse dedotto in obbligazione, sicché il giudizio di causalità materiale non è distinguibile praticamente da quello relativo all’inadempimento; pertanto, sul creditore della prestazione grava l’onere di provare la causalità giuridica, mentre l’inadempimento che assorbe la causalità materiale è sufficiente che venga allegato (Cass. 11/11/2019, n. 28991).

Neppure meriterebbe accoglimento la pretesa risarcitoria ove qualificata in termini di perdita di chance, come in qualche argomentazione difensiva pure adombra il mezzo impugnatorio. La perdita di una chance patrimoniale, la quale postula la preesistenza di una situazione “positiva”, ie. di un quid su cui sia andata ad incidere sfavorevolmente la condotta colpevole del danneggiante, impedendone la possibile evoluzione migliorativa (così Cass. 11/11/2019, n. 289939), è vero che, secondo l’insegnamento di questa Corte, potrebbe ricorrere in ipotesi quale quella in esame, così come è vero che potrebbe essere liquidata equitativamente (Cass. 03/08/2017, n. 19342), ma sarebbe stato necessario dimostrarne la configurabilità, rispondente ai parametri di apprezzabilità, serietà e consistenza (Cass. 21/01/2021, n. 1105; Cass. 29/01/2019, n. 2358; Cass. 08/06/2018, n. 14916;). Ciò non è avvenuto nel caso di specie e, quindi, nessun appunto può muoversi alla decisione impugnata.

Pacifico quanto precede si osserva che per giurisprudenza consolidata è precluso al giudice predisporre indagini tecniche a solo scopo esplorativo.

La consulenza tecnica d’ufficio, in particolare, contrariamente a quanto suppone la difesa di parte ricorrente, non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze.

Ne deriva che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, e non può trovare ingresso in causa, qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova ovvero a compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati.

2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione, difetto di motivazione e/o motivazione omessa, apparente, comunque, motivazione insufficiente in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 e dell’art. 111 Cost., comma 6, in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la Corte d’appello dapprima affermato “alcuna valutazione e/o prova può essere fornita, in detta materia, in via del tutto presuntiva o secondo calcoli probabilistici, non supportati da valido riscontro” avrebbe contraddittoriamente aggiunto “il giudice deve procedere alla liquidazione di tale voce – lucro cessante – di danno sulla base di una valutazione probabilistica e non in termini di mera probabilità” (Cass. 14/05/2019, n. 12705).

Deve escludersi che la Corte territoriale sia incorsa nel vizio denunciato, avendo soltanto specificato, senza incorrere in alcuna contraddizione, in che modo avrebbe dovuto essere soddisfatto l’onere della prova del danno richiesto dalla odierna ricorrente, il quale, come già anticipato, era stato argomentato anche in termini di perdita di chance e come tale avrebbe richiesto la dimostrazione della probabilità di conseguire per la società ricorrente utili derivanti dall’approvazione dei 33 progetti che non aveva potuto inviare telematicamente. La Corte territoriale ha inteso solo ribadire l’orientamento secondo il quale essendo l’evento di danno incerto nella sua reale verificazione la richiesta risarcitoria necessitava, dal punto di vista probatorio, la dimostrazione una soglia probabilistica più elevata che non poteva identificarsi nella mera probabilità. Ancora una volta, dunque, la Corte territoriale ha escluso che la società richiedente avesse dimostrato di avere subito un danno risarcibile, perché esso avrebbe dovuto essere provato nei suoi termini di serietà, apprezzabilità e consistenza. La ricorrente sovrappone il piano della prova del danno con quello della prova della sua quantificazione.

3. La Corte rigetta, dunque, il ricorso.

4. Nulla deve essere liquidato per le spese, dato che la resistente non ha svolto attività difensiva in questa sede.

5. Deve darsi atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico del ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2021

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