Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4033 del 18/02/2020

Cassazione civile sez. I, 18/02/2020, (ud. 24/09/2019, dep. 18/02/2020), n.4033

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30856/2018 proposto da:

B.Y., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Lara Petracci, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 868/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 12/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2019 da Dott. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

B.Y., nato in (OMISSIS), con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 impugnava dinanzi il Tribunale di Ancona, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale in tutte le sue forme.

Il richiedente aveva narrato di essere fuggito dal proprio Paese per le violenze subite nella famiglia di origine per mano di parenti, alcuni già arrestati dalla polizia locale con l’accusa di avere appiccato il fuoco alla casa di abitazione, in conseguenza della mancata consegna di bestiame da parte del padre quale dote per lo sposalizio.

Sia in primo che in secondo grado le sue dichiarazioni, pur superando la genericità dei riferimenti di contesto cronologico e personale, sono state inscritte nell’ambito di una vendetta privata con una connotazione strettamente criminale repressa dall’Autorità locale e si esclusa la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, in tutti i casi previsti, oltre che della protezione umanitaria.

Il richiedente propone ricorso per cassazione con quattro mezzi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo, si deduce la nullità della sentenza per vizio di omessa motivazione o motivazione apparente: il ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia valorizzato la sua storia personale, omettendo di esaminare l’effettiva sussistenza del “danno grave”. Si duole, quindi che sia stata esclusa la sua credibilità, nonostante la stessa non fosse stata messa in dubbio nè dalla Commissione territoriale, nè dal giudice di primo grado.

Il motivo è inammissibile.

Contrariamente a quanto assume il ricorrente la Corte territoriale non ha escluso la credibilità del narrato, ma lo ha inscritto in una vicenda di carattere privato e di criminalità comune, e, nel respingere la domanda di protezione sussidiaria ed umanitaria (le uniche per le quali sia stato proposto il motivo) ha ritenuto che nella regione di provenienza non emergeva una situazione connotata da violenza diffusa e generalizzata, alla stregua del rapporto Amnesty International Italia del 2016 relativo al (OMISSIS), e che neppure il ricorrente aveva segnalato specifiche condizioni di vulnerabilità.

La censura risulta del tutto generica e non si confronta con il reale contenuto decisorio che non critica con puntualità, limitandosi ad elencare una serie di precedenti giurisprudenziali e di disposizioni normative, senza soffermarsi in alcun modo sulla sua vicenda personale e sulla situazione del Paese di provenienza.

2. Con il secondo motivo, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Il ricorrente sostiene che la Corte anconetana non ha effettuato un esame congruo della domanda, adottando una decisione apodittica e carente di motivazione e si duole che non abbia proceduto ad una valutazione individuale della specifica situazione della persona; lamenta anche la mancata attivazione di poteri istruttori d’ufficio.

Il motivo, che critica il medesimo passaggio motivazionale oggetto del primo motivo, è inammissibile per le ragioni già esposte in relazione a detto motivo. Peraltro non è nemmeno allegato su quali profili specifici avrebbe dovuto essere attivata la cooperazione istruttoria.

3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e/o la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 lamentando che non sia stata ritenuto applicabile l’art. 14, lett. B) che disciplina la protezione sussidiaria, in caso di tortura o di altra forma di pena o di trattamento disumano e degradante Il motivo è inammissibile.

L’assunto del ricorrente è meramente apodittico e non si confronta con quanto accertato dalla Corte territoriale in merito al carattere privato della vicenda ed alla circostanza che, alla stregua dello stesso racconto del richiedente, era emerso che l’Autorità locale si era attivata per reprimere i fatti criminosi posti in essere contro la sua famiglia.

4. Violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 sotto il profilo della concessione della protezione umanitaria.

Quanto, infine, alla protezione umanitaria, la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della medesima deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio: infatti, la temuta violazione dei diritti umani “deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, che nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei seri motivi attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese” (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione).

La censura formulata dall’odierno istante non coglie nel segno perchè non illustra nessuna situazione personale di vulnerabilità non esaminata dai giudici di merito.

5. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva della controparte.

Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, stante la provvisoria ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso;

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2020

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