Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4033 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. I, 18/02/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 18/02/2011), n.4033

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

LAMINATOI MERIDIONALI S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), in persona del

Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. S.

NITTI 11, presso lo STUDIO GAGLIARDI – MILITERNI, rappresentati e

difesi dall’avvocato MILITERNI INNOCENZO, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

contro

CONSORZIO CO.GE.RI.;

– intimato –

e sul ricorso n. 1624/2007 proposto da:

CONSORZIO CO.GE.RI. (c.f./P.I. (OMISSIS)), in persona del

Presidente del C.D. pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CARLO MIRABELLO 26, presso l’avvocato IANNUCCILLI PASQUALE, che

lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

LAMINATOI MERIDIONALI S.P.A., in persona del Liquidatore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E. S. NITTI 11, presso lo

STUDIO MILITERNI – GAGLIARDI, rappresentata e difesa dall’avvocato

MILITERNI INNOCENZO, giusta procura a margine del controricorso al

ricorso incidentale;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 961/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 28/03/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2010 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato I. MILITERNI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale, rigetto del ricorso

incidentale;

udito, il controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato P.

IANNUCCILLI che ha chiesto il rigetto del ricorso principale,

accoglimento del ricorso incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 10 settembre 1991 la Laminatoi Meridionali s.p.a. chiamo’ in giudizio davanti al Tribunale di Napoli il Consorzio CO.GE.RI e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, esponendo che: – il Presidente della Regione Campania, quale Commissario straordinario di Governo L. 14 maggio 1981, n. 219, ex art. 81 aveva individuato due aree di sua proprieta’, rispettivamente di mq 24.000 e di mq 7.017, per un intervento straordinario previsto dalla legge citata; -il terreno era stato occupato dal consorzio in forza di ordinanza del 12 dicembre 1986; – l’amministrazione aveva offerto a titolo d’indennita’ di espropriazione la somma di L. 294.473.500 per l’area piu’ grande, e di L. 87.798.030 per l’altra, oltre alle maggiorazioni previste dalla L. 29 luglio 1980, n. 385; – l’indennita’ offerta non era congrua, in relazione alla natura edificatoria del suolo. Tanto premesso, l’attrice chiese la determinazione delle indennita’ di espropriazione e di occupazione o in subordine, essendo l’occupazione divenuta illegittima per la scadenza dei termini, la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni.

Con sentenza 22 gennaio 2002 il G.O.A., al quale la causa era stata nel frattempo assegnata, accertata la sopravvenuta illegittimita’ dell’occupazione, e l’esclusiva responsabilita’ del consorzio, accolse la domanda nei confronti di questo.

Il consorzio propose appello, deducendo:

– la nullita’ della sentenza perche’ pronunciata senza che fosse stata data comunicazione dell’assegnazione della causa al G.O.A.;

l’esclusiva responsabilita’ della Presidenza del Consiglio dei ministri;

– nel merito, l’infondatezza della domanda stante la legittimita’ della procedura, conclusasi con decreto di espropriazione;

in via subordinata, l’applicabilita’ della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis;

– l’erronea determinazione della somma dovuta sulla premessa, contestata, della natura edificatoria del suolo.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza 28 marzo 2006, accertata la nullita’ del giudizio di primo grado, decise la causa nel merito.

La corte accerto’ che: – il decreto di espropriazione in data 15 settembre 1994 era stato emesso in carenza di potere, perche’ dopo la scadenza del termine del 31 dicembre 1987, originariamente fissato per il compimento dei lavori e delle procedure espropriative, termine poi prorogato al 30 dicembre 1991 con ordinanza 11 aprile 1990; – il fondo aveva subito una radicale trasformazione con i lavori eseguiti sin dal giugno 1989, e alla data del 31 dicembre 1991, di scadenza del termine di occupazione legittima, in mancanza di decreto di espropriazione si era realizzato l’illecito aquiliano con gli effetti dell’accessione invertita; – all’azione era passivamente legittimato esclusivamente il consorzio; – nello strumento urbanistico vigente al tempo dell’occupazione la proprieta’ della societa’ attrice, di mq 34.167, era compresa in parte in zona verde di rispetto cimiteriale, e in parte in zona a verde agricolo, ed era pertanto inedificabile; – la sua perdita doveva essere risarcita sulla base del valore venale;

– tenuto conto delle caratteristiche intrinseche del terreno e delle possibilita’ di sfruttamento diverse da quella agricola consentite dallo strumento di pianificazione del territorio, detto valore doveva essere determinato in Euro 16,00 al mq, utilizzando come termine di confronto l’atto pubblico di compravendita del 20 aprile 1993 con il quale la stessa appellata aveva trasferito ad altra societa’ altre porzioni originariamente comprese nelle medesime particelle catastali, per un prezzo unitario di L. 34.615/mq; – il consorzio doveva pagare inoltre la somma di Euro 125.499,02, pari al valore dei manufatti insistenti sul suolo dell’attore, in conformita’ dei calcoli del CTU; – le somme liquidate dovevano essere rivalutate fino alla data della sentenza e gli interessi legali erano dovuti sul totale (Euro 672.171,02) rivalutato anno per anno; – l’indennita’ di occupazione legittima doveva essere determinata con il criterio dell’interesse legale sull’indennita’ virtuale di espropriazione, e quindi con applicazione del criterio della L. n. 359 del 1992, art. 5 della semisomma tra valore venale e rendite catastali del decennio.

La corte pose le spese a carico del giudizio e della consulenza a carico del consorzio in ragione di due terzi, compensandole nel resto, e compenso’ integralmente le spese tra l’attrice e la Presidenza del consiglio dei Ministri.

Per la cassazione di questa sentenza, non notificata, ricorre la societa’ Laminatoi Meridionali s.p.a. per sei motivi.

Il consorzio resiste con controricorso e ricorso incidentale per due motivi.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri resiste con separati controricorsi sia al ricorso principale, e sia al ricorso incidentale.

La ricorrente principale resiste al ricorso incidentale con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi proposti contro la medesima sentenza devono essere riuniti a norma dell’art. 345 c.p.c. I primi due motivi del ricorso principale vertono sull’asserita responsabilita’ della pubblica amministrazione (nella fattispecie:

Presidenza del Consiglio dei ministri) che abbia demandato al concessionario il compimento di tutte le operazioni materiali, tecniche e giuridiche occorrenti per la realizzazione del programma edilizio, per l’irreversibile trasformazione del bene nel periodo di occupazione legittima, in virtu’ della sua competenza funzionale all’emanazione del provvedimento conclusivo di espropriazione (primo motivo); e sulla sua responsabilita’ solidale con il concessionario (secondo motivo).

A sua volta il consorzio, con il secondo motivo di ricorso incidentale, pone il quesito se la L. n. 219 del 1981, artt. 80 e 81 debbano essere intesi nel senso che non implicano la traslazione dei poteri al concessionario relativamente ai rapporti espropriativi per i quali la delega conferita “in nome e per conto” del concedente, e l’intervento diretto di suoi organi nelle attivita’ piu’ significative o delle operazioni espropriative, fanno si’ che l’unico legittimato passivo sia il concedente.

I motivi del ricorso principale sono inammissibili, nella parte in cui la loro formulazione generica prescinde dalla fattispecie di causa, in cui ha trovato applicazione la L. 14 maggio 1981, n. 219, art. 81 norma posta dal giudice di merito quale ratio decidendi sul punto. Per il resto essi sono manifestamente infondati, e tale giudizio deve estendersi al motivo del ricorso incidentale vertente sullo stesso punto, ponendosi tutti in contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa corte, per la quale, in tema di esecuzione di opere ricomprese nel programma straordinario di urbanizzazione nell’area metropolitana del Comune di Napoli previsto dalla L. 14 maggio 1981, n. 219, le norme di cui agli artt. 81 e segg. di detta legge demandano necessariamente all’ente concessionario il compimento in nome proprio di tutte le operazioni materiali, tecniche e giuridiche occorrenti per la realizzazione del programma edilizio, ancorche’ comportanti l’esercizio di poteri di carattere pubblicistico, quali quelli inerenti all’espletamento delle procedure di espropriazione; correlativamente, l’ente concessionario – e non gia’ la P.A. concedente – risponde direttamente dei danni cagionati a terzi dall’opera pubblica e delle obbligazioni strumentalmente preordinate alla sua esecuzione, derivino gli stessi da attivita’ legittima ovvero (ed a maggior ragione, atteso anche il carattere personale della relativa responsabilita’) da illecito aquiliano – e, in questo secondo caso, sia dall’illegittima occupazione temporanea di immobili privati, sia da ogni altro vizio inficiante il procedimento espropriativo e tale da determinare l’inesistenza del potere ablativo – anche se la colpa sia riferibile al concedente nella predisposizione del progetto e nell’imposizione delle direttive, potendo cio’ rilevare esclusivamente nei rapporti interni derivanti dalla concessione, ai fini di un’eventuale rivalsa (v. per tutte Cass. 19 aprile 2005 n. 8197, nonche’ Cass. Sez. un. 20 marzo 2009 n. 6769). Di contro a cio’, il motivo di ricorso del consorzio non propone alcun argomento esegetico a livello normativo, ma postula soluzioni diverse alle quali dovrebbe pervenirsi – in materia pur regolata interamente dalla legge e comprendente la previsione di poteri in deroga ai principi generali dell’ordinamento – attraverso l’esame, del resto non consentito in questa sede, dell’atto di delega.

La recente giurisprudenza di questa corte, richiamata dalla difesa del consorzio nel corso della discussione orale, non rileva nella decisione sulla fattispecie oggi all’esame della corte, perche’ riguarda l’ipotesi estranea al presente giudizio – che funzionari dell’amministrazione del commissario straordinario abbiano preso parte attiva all’immissione nel possesso dei beni, eseguita dopo che era spirato il termine legale di tre mesi dal decreto di occupazione.

Con il terzo, il quarto e il quinto motivo del ricorso principale si censura l’affermazione della qualificazione non edificatoria del suolo per cui e’ causa, in contrasto con il parere espresso dal consulente tecnico d’ufficio. Si deduce che tale qualificazione urbanistica, pur contrastante con il piano di fabbricazione vigente all’epoca, sarebbe stata acquisita con l’autorizzazione, rilasciata dalla Regione al Comune di Arzano, a modificare il programma di fabbricazione nella parte in cui stabiliva la destinazione agricola del terreno della societa’, poi occupato dal consorzio, e per il quale era stata chiesta una concessione edilizia di ampliamento dello stabilimento produttivo esistente sul terreno adiacente, in deroga al predetto programma di fabbricazione. Si invoca la giurisprudenza di questa corte, per la quale la concessione in deroga comporta la modifica della destinazione urbanistica dell’area interessata.

I motivi in questione sono inammissibili, perche’, tenuto conto delle ragioni poste a fondamento della decisione di merito, e che sono state ignorate nella parte decisiva, le questioni sollevate non sono idonee a definire il giudizio in senso diverso dalla statuizione della sentenza impugnata. Il giudice di merito, dopo aver motivatamente affermato – in contrasto con l’opinione del consulente – che l’area occupata ed irreversibilmente trasformata aveva una destinazione agricola, e dopo aver negato valore alla concessione in deroga chiesta dalla societa’ e autorizzata dalla regione, ha affermato correttamente che per la stima del valore dell’area doveva farsi riferimento ai comuni canoni in materia di risarcimento da fatto illecito, con quantificazione del danno correlata al valore di mercato del suolo, e ha poi proceduto alla stima con il metodo sintetico comparativo, prendendo a termine di confronto una compravendita stipulata dalla stessa societa’ di porzioni comprese nelle stesse particelle, pervenendo ad una conclusione nella quale la discussa qualificazione urbanistica ha perso di fatto ogni incidenza (includendo il valore di mercato ogni aspettativa di possibile utilizzazione edificatoria, ove presente), e riconoscendo alla parte danneggiata un danno perfettamente equivalente al valore di mercato della proprieta’ perduta. L’assenza di qualsiasi censura su questo punto decisivo dell’impugnata sentenza (salvo quanto si dira’ a proposito del mezzo successivo) comporta l’irrilevanza, e quindi l’inammissibilita’ delle questioni sollevate con i mezzi in esame.

Per i riflessi che la questione di diritto sollevata con il motivo puo’ avere nell’esame del successivo settimo mezzo d’impugnazione, occorre peraltro aggiungere quanto segue. La concessione in deroga, che nell’esposizione del ricorrente sarebbe stata peraltro solo “autorizzata” dalla regione (e dunque non ancora neppure rilasciata dal comune), sarebbe stata in ogni caso rilasciata per un’opera che non e’ stata eseguita, e la decadenza che in tali casi si verifica non consentirebbe di riconoscere a quel provvedimento alcuna ulteriore efficacia. Piu’ in radice, peraltro, la concessione in deroga agli strumenti urbanistici, contemplata dalla L. n. 1150 del 1942, art. 41 quater (disposizione introdotta dalla L. n. 765 del 1967, art. 16), consentita esclusivamente per opere pubbliche o di interesse pubblico, per il fatto stesso di essere legata alla realizzazione di un particolare progetto pubblico o di pubblico interesse, non incide sul valore di mercato dell’area, considerata autonomamente dall’opera per la quale la concessione in deroga sia stata rilasciata; laddove solo l’effettiva costruzione del fabbricato darebbe titolo al proprietario per essere risarcito, oltre che del terreno – considerato ancora come inedificabile, perche’ la concessione non e’ valido parametro di qualificazione urbanistica, da ricercare esclusivamente degli strumenti di zona – anche del fabbricato. Correttamente, pertanto, il giudice di merito non ne ha tenuto conto, non essendo pertinenti i richiami della parte ricorrente a precedenti di questa corte, in materia di rapporti di vicinato tra proprietari, che nulla hanno a che vedere con la materia qui trattata.

Con il sesto motivo si censura la determinazione del valore dell’area eseguita sulla base di un atto di compravendita posto in essere a quattro anni di distanza dall’irreversibile trasformazione del fondo “medesimo”, sostenendosi che il trasferimento aveva avuto luogo a favore della societa’ proprietaria del suolo confinante, “unica interessata all’acquisto di un suolo fuori commercio”.

Il mezzo d’impugnazione e’ posto sotto la rubrica cumulativa della violazione di legge e dell’insufficiente e contraddittoria motivazione, ma nel suo svolgimento non indica quale sarebbe la norma di diritto violata dalla corte territoriale, ne’ precisa se il vizio della motivazione sarebbe riconducibile ad un’insufficienza – configurabile solo sul presupposto dello svolgimento nel giudizio di merito di difese, che sarebbe stato necessario richiamare in modo puntuale nel ricorso – o una contraddizione in nessun modo esplicitata. Esso si conclude con la formulazione di un quesito “di diritto”, che, a causa della natura stessa gli argomenti svolti a sostegno del mezzo del vizio denunciato, di un tale quesito non possiede i requisiti. La ricorrente omette invece di indicare, come avrebbe dovuto a pena d’inammissibilita’ a norma dell’art. 366 bis c.p.c., il fatto controverso in relazione al quale la motivazione sarebbe viziata, o le ragioni per le quali il – pur genericamente – dedotto vizio di motivazione sarebbe inidoneo a sorreggere la decisione, e specificamente perche’ il suolo venduto dovesse ritenersi “fuori commercio” (per la necessita’ di un momento di sintesi che circoscriva puntualmente i limiti della censura, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’, v. Cass. Sez. un. 1 ottobre 2007, n. 20603). Il mezzo e’ pertanto inammissibile.

Con il settimo motivo si censura la liquidazione dell’indennita’ di occupazione legittima, fatta prendendo a base del calcolo non gia’ il valore venale del bene, ma l’indennita’ virtuale della sua espropriazione, calcolata a norma della L. n. 359 del 1992, art. 5 (semisomma tra valore venale e rendite catastali del decennio). Si pone il quesito se l’indennita’ di occupazione debba essere determinata in base al valore venale del bene.

Sul punto, premesso che il D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, e’ stato dichiarato incostituzionale con sentenza n. 348 del 2007 della corte delle leggi, e non puo’ pertanto trovare piu’ applicazione, si deve osservare quanto segue. Il giudice di merito ha accertato che l’area oggetto dell’occupazione legittima da parte del consorzio deve qualificarsi inedificabile, perche’ soggetta in parte a vincolo cimiteriale e in parte destinata ad uso agricolo nello strumento urbanistico vigente. Trattandosi dunque di liquidare l’indennita’ di occupazione, doveva trovare applicazione la L. n. 865 del 1971, art. 20, comma 3 e succ. mod. per cui l’indennita’ e’ pari, per ciascun anno di occupazione, ad un dodicesimo dell’indennita’ che sarebbe dovuta per l’espropriazione dell’area da occupare, calcolata a norma dell’art. 16 ovvero, per ciascun mese o frazione di mese di occupazione, ad un dodicesimo della indennita’ annua. Applicando illegittimamente alla fattispecie la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis il giudice di merito ha di fatto liquidato l’indennita’ richiesta sulla base di un valore edificabile di un terreno in realta’ agricolo, e pur applicando il criterio della semisomma tra valore venale e rendite catastali del decennio, che comporta di fatto quasi il dimezzamento di quel valore, e’ pervenuto in ogni caso ad un esito ben piu’ favorevole al proprietario, di quello che sarebbe conseguito all’applicazione del calcolo condotto sulla corretta premessa della natura agricola del suolo. Il mezzo d’impugnazione, conseguentemente non e’ sorretto da un interesse che giustifichi la cassazione sul punto della sentenza, perche’ il nuovo giudizio, condotto sulla base di parametri legali, non potrebbe avere per la parte un esito piu’ favorevole.

L’ultimo motivo di ricorso, vertente sul regolamento delle spese processuali, e’ inammissibile, avendo il giudice di merito fatto uso dei suoi poteri discrezionali, in una fattispecie nella quale le doglianze della parte avevano avuto un riconoscimento solo parziale.

Con il primo mezzo d’impugnazione del ricorso incidentale, denunciando la violazione del D.Lgs. 20 settembre 1999, n. 354, art. 9, comma 2 il consorzio sostiene, in consapevole opposizione alla giurisprudenza consolidata di questa corte, che la norma avrebbe disposto, per quel che in questa causa rileva, l’incondizionata proroga biennale dei termini di efficacia dei decreti di occupazione d’urgenza emanati per la realizzazione degli interventi di cui al titolo 8^ della L. n. 219 del 1981, e che una diversa interpretazione privilegerebbe in modo irrazionale il comportamento dei concessionari meno solerti, che, non avendo ancora completato nel 1999, all’entrata in vigore, del decreto legislativo, i lavori e le procedure espropriative, avrebbero un trattamento di favore rispetto alle procedure gia’ perfezionate con il decreto di esproprio emesso dopo il compimento dei lavori.

La censura e’ manifestamente infondata, riproponendo una tesi gia’ esaustivamente confutata dalle precedenti decisioni di questa corte, peraltro ricordate dallo stesso consorzio. E’ solo da aggiungere che la sanatoria in questione opererebbe, nella fattispecie ipotizzata con il mezzo di ricorso, solo se. alla data di entrata in vigore della legge i termini per il compimento delle opere e delle espropriazioni fossero ancora pendenti, il che esclude che nel caso ipotizzato possa configurarsi una solerzia minore di quella dimostrata da coloro i quali abbiano in precedenza lasciato scadere tutti i termini senza portare a compimento il procedimento espropriativo.

In conclusione entrambi i ricorsi devono essere respinti.

Tenuto conto dell’esito complessivo del giudizio, si ravvisano giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di legittimita’ tra tutte le parti.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio di legittimita’.

Cosi’ deciso a Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima della Corte suprema di cassazione, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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