Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4027 del 18/02/2020

Cassazione civile sez. I, 18/02/2020, (ud. 10/09/2019, dep. 18/02/2020), n.4027

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23999/2018 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo

studio dell’avvocato Faggiani Guido che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Dalla Bona Roberto;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 262/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2019 dal Cons. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 15 gennaio 2018, ha rigettato l’appello avverso il decreto con cui il Tribunale di Milano aveva rigettato la domanda proposta da J.J., cittadino della Nigeria, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo le sue dichiarazioni state ritenute credibili (costui aveva riferito di aver sostenuto alle elezioni locali del 2013 il partito PDP e di essere scappato dalla Nigeria per il timore di essere ucciso, come già capitato ad alcuni suoi amici, da esponenti del partito rivale ACN, guidato da S.O., con cui aveva avuto uno scontro, risultato vincitore nella tornata elettorale). In particolare, il giudice di secondo grado aveva osservato che il racconto del richiedente, relativo al suo scontro con il candidato del partito ACN, risultava generico e lacunoso, essendo presenti nella narrazione gravi contraddizioni su elementi significativi della vicenda.

Al richiedente è stata inoltre negata la protezione sussidiaria, essendo stata ritenuta l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata nella sua zona di provenienza.

Il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari per carenza di una condizione di vulnerabilità.

Ha proposto ricorso per cassazione J.J. affidandolo a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e della direttiva n. 2004/83/CE in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha applicato come regime probatorio quello dell’art. 2697 c.c., nonostante che nei procedimenti di protezione internazionale i parametri di riferimento siano quelli di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 (la coerenza interna della narrazione del richiedente, quella esterna, la plausibilità, e la verifica tenendo conto dell’atteggiamento personale del richiedente e della situazione geopolitica del paese di provenienza).

La Corte d’Appello ha omesso le attività processuali richieste dalla normativa speciale limitandosi a riprendere la motivazione del Tribunale, che si era a sua volta appiattito sulla valutazione della Commissione territoriale.

2. Il motivo è inammissibile.

Va, osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, il ricorrente ha solo genericamente contestato il giudizio di non credibilità formulato dal giudice di merito, senza neppure allegare gravi anomalie motivazionali (nei termini sopra illustrati), che sono le uniche attualmente denunciabili nei ristretti limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ma limitandosi a dedurre che il giudice di secondo grado aveva ripreso la motivazione del Tribunale, che si era a sua volta appiattito sulla valutazione della Commissione territoriale.

Inoltre, il ricorrente, con l’apparente censura della violazione da parte del Tribunale di una norma di legge, ovvero il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ha, in realtà svolto delle censure di merito, in quanto finalizzate a prospettare una diversa lettura delle sue dichiarazioni.

In proposito, questa Corte, sempre nella pronuncia n. 3340 del 05/02/2019 sopra citata, ha statuito che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, con la conseguenza che il giudizio di fatto in ordine alla credibilità del richiedente non può essere censurato sub specie violazione di legge ed è quindi sottratto al sindacato di legittimità.

3. Con il secondo motivo è stata nuovamente dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e della direttiva n. 2004/83/CE in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Lamenta il ricorrente che il giudice d’appello, nell’esaminare la sua richiesta di concessione della protezione sussidiaria, non ha esercitato i suoi poteri istruttori officiosi e comunque le affermazioni della Corte d’Appello sono prive di riscontri specifici tratti da fonti accreditate (COI).

4. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).

Nel caso di specie, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata, citando (e quindi esercitando i suoi poteri istruttori officiosi) fonti internazionali accreditate come Amnesty International e European Asylum Support Office, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure del ricorrente, sul punto, si configurano come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dai giudici di merito. Peraltro, non è dirimente la circostanza che le informazioni relativa situazione socio-politica della Nigeria non siano state tratte dall’ACHNUR o dal Ministero degli Esteri, a norma del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, avendo questa Corte già affermato che la richiesta e l’adozione delle fonti indicate dal citato art. 8 non ha carattere esclusivo, ben potendo essere utilizzate informazioni assunte, anche via web, attraverso altri canali d’informazione, (vedi Cass. n. 16202 del 24/09/2012 e n. 10202 del 2011) purchè le fonti utilizzate siano specificamente indicate e non risultino quindi anonime.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 4, comma 4 T.U.I., direttiva 2004/83/CE, 2 Cost. e 8CEDU.

Lamenta il ricorrente che il giudice d’appello non ha effettuato una valutazione volta a verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani.

6. Il motivo è infondato.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già avuto modo di affermare che, anche ove sia dedotta dal richiedente una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d’origine, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente, oltre a non aver dedotto assolutamente nulla in ordine alle proprie condizioni personali, se non concentrando ogni sforzo di allegazione sulla sua vicenda – ritenuta non credibile dai giudici di merito – parimenti nulla ha allegato in ordine alla eventuale privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani nel Paese d’origine, limitando a dolersi che tale accertamento non sia stato compiuto dai giudici di merito.

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, non essendosi il Ministero intimato costituito in giudizio.

Non si applica il doppio contributo, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a carico dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2020

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