Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4027 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 16/02/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 16/02/2021), n.4027

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33027-2019 proposto da:

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA 4,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE BELCASTRO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROSSANO POZZER;

– ricorrente –

contro

F.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI

ANTONIO PLANA, 4, presso lo studio dell’avvocato PANINI BUCCIARELLI

AVV. SONDA SCALERA STUDIO LEGALE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ELISABETTA FERRARIO;

– controricorrente –

e contro

C.R., UNIPOL ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 6246/18 del TRIBUNALE di BUSTO ARSIZIO,

depositata il 22/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’avvocato P.R., con atto notificato il 30 ottobre 2019, ha proposto ricorso per cassazione, articolato in unico motivo, avverso l’ordinanza 22 maggio 2019 del Tribunale di Busto Arsizio, relativa al decreto ingiuntivo intimato dall’avvocato F.E. a C.R. per il pagamento dei compensi relativi ad attività giudiziale in una causa civile.

Resiste con controricorso l’avvocato F.E.. Rimangono intimati, senza svolgere attività difensive, la UnipolSai Assicurazioni s.p.a. e C.R..

Il procedimento davanti al Tribunale si è svolto nelle forme di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14. C.R. aveva dedotto in sede di opposizione che il rapporto professionale fosse intercorso in realtà non con l’avvocato F. ma con lo studio associato P.. Venne poi chiamata in causa la Unipol Sai Assicurazione, mentre intervennero volontariamente sia l’avvocato P.R. sia lo Studio associato P. & Associati, affermando la propria legittimazione attiva in ordine al credito professionale controverso.

Il Tribunale di Busto Arsizio ha affermato che l’incarico professionale era stato conferito da C.R. esclusivamente all’avvocato F., come confermato dalla procura alle liti, che non conteneva menzione alcuna dell’appartenenza di quest’ultima all’associazione professionale P. & associati. Il Tribunale ha pure accertato che lo statuto dell’associazione non prevedeva che solo questa potesse esercitare le pretese creditorie verso i clienti, non avendo rilievo in senso contrario che l’avvocato F. non avesse una partita IVA o utilizzasse la carta intestata allo studio associato. Avvertiva il Tribunale che lo statuto dell’associazione obbligava ciascun associato a devolvere i proventi della propria attività allo studio associato, senza con ciò privare il singolo professionista della legittimazione ad azionare i crediti verso il singolo cliente.

L’unico motivo di ricorso dell’avvocato P.R. assume la violazione dell’art. 83 c.p.c., e artt. 2232,1703 e ss. c.c., per aver il Tribunale individuato nella procura alle liti il contratto di patrocinio, senza esaminare la pratica della cliente C., il ruolo svolto dall’avvocato F. nella vicenda, la corrispondenza intercorsa, le modalità di fatturazione.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il ricorrente e la controricorrente hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2.

E’ infondata l’eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso, sollevata dalla controricorrente F., avendo riguardo alla data di comunicazione dell’ordinanza del Tribunale di Busto Arsizio (22 maggio 2019). L’ordinanza del tribunale che abbia deciso sull’opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, non è appellabile, ma soggetta a ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., il cui termine breve di proposizione decorre dalla notificazione dell’ordinanza; in assenza di tale notificazione, torna applicabile il termine lungo d’impugnazione di cui all’art. 327 c.p.c., e non già il termine di trenta giorni di cui all’art. 702 quater c.p.c., relativo all’appello nell’ambito del rito sommario di cognizione.

Il ricorso è comunque inammissibile.

L’ordinanza impugnata ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei tre motivi di ricorso non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c., n. 1 (Cass. Sez. U., 21/03/2017 n. 7155).

La rubrica del motivo di ricorso allega la violazione dell’art. 83 c.p.c., e artt. 2232,1703 e ss. c.c., ma il contenuto della censura non espone un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata dalle richiamate prescrizioni legislative, quanto un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, imputabile alla valutazione delle risultanze di causa che il Tribunale di Busto Arsizio ha operato nell’esercizio dell’apprezzamento di fatto tipicamente inerente al giudice di merito, e la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo attraverso il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Peraltro, il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) che sia stato oggetto di discussione tra le parti, mentre il ricorrente si limita a lamentare l’omesso o l’erroneo esame di elementi istruttori con riguardo ad un fatto storico (la conclusione del contratto di patrocinio) che è stato comunque preso in considerazione dal Tribunale, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

I giudici di merito hanno ritenuto sussistente la prova del conferimento dell’incarico professionale all’avvocato F.E. da parte di C.R. sulla base dell’esame della procura alle liti, negando rilievo alla autonoma legittimazione dello studio associato.

La conclusione raggiunta dalla decisione impugnata si uniforma all’interpretazione che della questione di diritto presceglie questa Corte, secondo cui, al fine di individuare il soggetto obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore, occorre distinguere tra rapporto endoprocessuale nascente dal rilascio della procura “ad litem” e rapporto che si instaura tra il professionista incaricato ed il soggetto che ha conferito l’incarico. Più in generale, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, il rapporto di prestazione d’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l’avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso, ferma la presunzione di coincidenza del contratto di patrocinio con la procura alle liti, salvo che venga provato, anche in via indiziaria, il distinto rapporto di clientela (Cass. Sez. 6 – 2, 12/03/2020, n. 7037; Cass. Sez. 3, 03/08/2016, n. 16261; Cass. Sez. 2, 29/09/2004, n. 19596; Cass. Sez. 1, 02/06/2000, n. 7309; Cass. Sez. 3, 04/02/2000, n. 1244).

Il ricorrente, assumendo, ancora nella memoria, che nella specie fosse stato provato in via indiziaria un rapporto di clientela con lo studio associato, si limita in sostanza a prospettare che il ragionamento presuntivo fondato sulla procura alle liti non era viceversa idoneo a dar prova dell’incarico conferito all’avvocato F., ovvero a delineare una mera diversa valutazione di merito degli stessi fatti esaminati dai giudici del merito.

Quanto al rilievo dell’associazione professionale, l’art. 36 c.c., stabilisce che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati, dovendo, tuttavia, accertare il giudice del merito tale circostanza. Il Tribunale di Busto Arsizio ha invece negato, alla luce dello statuto prodotto, la sussistenza della legittimazione attiva esclusiva dello studio professionale associato rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico.

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente a rimborsare alla controricorrente F.E. le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo. Non deve provvedersi al riguardo per gli altri intimati che non hanno svolto attività difensive.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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