Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4027 del 15/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 15/02/2017, (ud. 22/11/2016, dep.15/02/2017),  n. 4027

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2892-2012 proposto da:

P.S., (c.f. (OMISSIS)), A.G. (c.f. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso il dott.

ALFREDO PLACIDI, rappresentati e difesi dall’avvocato SAVERIO

PROFETA, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI ALTAMURA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

DONATELLO GENOVESE, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 320/2011 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 11/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2016 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato BUFANO EMANUELE, con delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 13.7.91 il Tribunale di Bari, decidendo sull’opposizione alla stima dell’indennità d’esproprio proposta da P.S. e A.G., condannava il Comune di Altamura a pagare agli opponenti la somma – rivalutazione compresa – di Lire 618.146.977 per indennità d’esproprio e quella di Lire 157.531.481 – anch’essa rivalutata – per l’indennità di occupazione oltre interessi legali. Con sentenza del 26.11.98 la Corte d’appello di Bari, adita dal Comune, calcolava il dovuto L. n. 359 del 1992, ex art. 5 bis determinando l’indennità di espropriazione nella sorte di Lire 220.881.520 al gennaio 1982, che rivalutata ascendeva a Lire 621.028.769 e, liquidava per il quinquennio di occupazione la sorte di Lire 55.220.375 che rivalutava in Lire 155.257.157.

La decisione veniva cassata, con rinvio, da questa Corte con sentenza n. 4453 del 2001, che, preso atto dell’inusuale andamento del giudizio, articolatosi in due gradi di merito, affermava il principio secondo cui il giudice d’appello non poteva aumentare il valore venale stimato dal c.t.u. di prime cure, accettato dagli espropriati, che non avevano interposto gravame, senza violare il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ed il divieto di reformatio in peius.

La Corte di Bari, giudicando in sede di rinvio, con la sentenza indicata in epigrafe, determinava il dovuto L. n. 2359 del 1865, ex art. 39 tenuto conto del valore venale di Lire 49.650/mq. già determinato dal Tribunale e non contestato dagli espropriati, ma entro il limite dell’importo complessivo riconosciuto in appello ed anch’esso accettato dai P. A., ed in totale, accessori compresi, in complessivi Euro 572.265,47 alla data del 3.3.2000, quando era intervenuto il deposito Euro 663.491,59, da parte del Comune, che aveva perciò diritto al rimborso della differenza pari ad Euro 91.226,12.

Per la cassazione della sentenza, hanno proposto ricorso i P. A. sulla scorta di due articolati motivi, ai quali il Comune ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con i due motivi di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 384, 324, 329, 345 e 112 c.p.c., art. 2909 c.c., della L. n. 2359 del 1865, art. 39; della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis oltre che vizio di motivazione. I ricorrenti rilevano, col primo motivo, che, nel corso del giudizio di rinvio, celebrato all’esito della sentenza rescindente di questa Corte, il criterio di determinazione dell’indennità per i suoli non edificatori di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Consulta, con sentenza n. 348 del 2007, sicchè non essendo il rapporto esaurito, la norma non poteva essere più applicata. Tale emergenza, proseguono i ricorrenti, era stata riconosciuta dal giudice del rinvio, che aveva, appunto, statuito doversi applicare il criterio del valore venale del bene di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 5 ma aveva, poi, incongruamente, liquidato le medesime somme riconosciute con la sentenza d’appello, che aveva applicato il criterio incostituzionale, riconoscendo contraddittoriamente ed erroneamente un autonomo giudicato interno in ordine al criterio di stima.

I ricorrenti aggiungono, col secondo motivo, che la sentenza è erronea quando ha ritenuto esservi stata acquiescenza sulla misura delle indennità complessivamente stimate con la sentenza d’appello) a prescindere dai criteri di calcolo succedutisi nel tempo, così opinando, i giudici del rinvio non hanno considerato che la cosa giudicata parziale può formarsi solo nell’ipotesi di una sentenza contenente statuizioni su più capi autonomi, caso che non ricorreva nella specie, dovendo ancora statuirsi nel merito della domanda indennitaria. Nè era stato considerato che sul valore stimato dal Tribunale, il Comune aveva prestato parziale acquiescenza, avendo riconosciuto con l’atto d’appello che il giusto valore del suolo doveva ammontare a Lire 265.532.908, pari a Lire 40.801/mq, stimato dal CTU col metodo analitico, sicchè il valore non poteva essere inferiore a tale importo unitario, computato il quale, residuava, comunque un credito a loro favore.

2. Il primo motivo è eccentrico rispetto alle statuizioni della sentenza impugnata, che non ha applicato la norma dichiarata incostituzionale, ma ha ritenuto che la somma portata dalla sentenza di primo grado non fosse incrementabile proprio in applicazione del principio di diritto stabilito dalla precedente sentenza di questa Corte, in base al quale, appunto, la mancata impugnazione della parte beneficiaria della condanna produce un effetto preclusivo che, se non costituisce giudicato in senso proprio, comporta tuttavia che la sentenza impugnata possa essere modificata esclusivamente per corrispondere all’unica impugnazione e impedisce che operi in danno dell’appellante – con riforma in peggio – la sopravvenuta innovazione normativa, derivi da ius superveniens o, come nella specie, dalla declaratoria di incostituzionalità, pur se espressamente ritenuta applicabile anche ai procedimenti in corso non definiti con sentenza passata in giudicato.

3. Anche il secondo motivo è infondato. Esso non tiene conto: a) che la sentenza d’appello si è sostituita a quella di primo grado, quali che fossero le doglianze mosse dal Comune appellante, ed è stata cassata proprio perchè era pervenuta ad un assetto globalmente peggiore per il debitore; b) che ogni questione relativa ad eventuali preclusioni rinvenibili nella posizione del controricorrente avrebbe dovuto esser dedotta nell’ambito della precedente e vincolante pronuncia rescindente di questa Corte.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2017

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