Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4026 del 20/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4026 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA
sul ricorso 22603-2011 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO
RICCI, CLEMENTINA PULLI, giusta procura speciale in calce al
ricorso;

– ricorrente contro
PAPA ITALIANI EMMA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
GIUSEPPE MARCORA 18/20, presso l’UFFICIO LEGALE
CENTRALE DEL PATRONATO, rappresentata e difesa

Data pubblicazione: 20/02/2014

dall’avvocato FAGGIANI GUIDO, giusta procura speciale a margine
del controricorso;
– controdcorrente

avverso la sentenza n. 141/2011 della CORTE DI APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;
udito per il ricorrente l’Avvocato MAURO RICCI che si riporta ai
motivi del ricorso;
udito per la controricorrente l’Avvocato GUIDO FAGGIANI che si
riporta agli scritti.
1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente
contenuto:
“Con sentenza n. 141/2011 depositata in data 18 maggio 2011, la
Corte di appello di Perugia respingeva l’impugnazione proposta
dall’I.N.P.S. avverso la sentenza resa dal Tribunale di Terni che aveva
riconosciuto in favore di Emma Papa Italiani l’assegno mensile di
invalidità con decorrenza dal 28/12/2008. Confermava la Corte
territoriale la ritenuta sussistenza del requisito sanitario con la
decorrenza già indicata dal Tribunale e riteneva, quanto al requisito
reddituale, che lo stesso fosse stato dimostrato dalla documentazione
fiscale prodotta dalla ricorrente e, quanto al requisito della mancanza di
occupazione ai sensi della legge n. 244 del 24/12/2007, che lo stesso
fosse stato dimostrato a mezzo dell’autocertificazione di non svolgere
attività lavorativa resa annualmente all’I.N.P.S. dall’interessata.
Avvero tale sentenza propone ricorso per cassazione l’I.N.P.S.
affidato ad un motivo.
Resiste con controricorso Emma Papa Italiani.
Ric. 2011 n. 22603 sez. ML – ud. 16-01-2014
-2-

PERUGIA del 23.2.2011, depositata il 18/05/2011;

Con l’unico articolato motivo l’I.N.P.S. denuncia: “Violazione e
errata applicazione dell’art. 13 della legge n. 118 del 1971 anche nel
testo sostituito dall’art. 1, comma 35, della 1. n. 247/2007, dell’art. 1
comma 94 della legge n. 247/2007, dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 11
delle disposizioni sulla legge in generale, tutti in relazione all’art. 360 n.

motivazione in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.”. Si duole del
fatto che la Corte territoriale ha ritenuto che, con l’entrata in vigore
della legge n. 247/2007, possa ritenersi superata la necessità di offrire
giudizialmente la prova del requisito della mancata occupazione
nonché del fatto che la Corte territoriale, pur non avendo la Papa
Italiani dato la prova di detto requisito nei tempi e nei modi previsti dal
codice di rito e dal codice civile, tuttavia ha ritenuto provato il
requisito della mancata occupazione.
Il motivo è manifestamente fondato.
Si osserva innanzitutto che, mentre nella vigenza dell’art. 13 della
legge n. 118 del 1971 (testo precedente alle modifiche) andava
richiesta la prova del requisito della incollocazione al lavoro
(pacificamente rappresentante, al pari della ridotta capacità lavorativa e
del requisito economico e reddituale di cui agli artt. 12 e 13 della legge
citata, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione) con la nuova
normativa, che ha sostituto la previgente dicitura “incollocati al
lavoro” con la più ampia espressione “che non svolgono attività
lavorativa”, è del diverso requisito che occorre fornire la
dimostrazione.
Sul punto, questa Corte ha precisato che, in tema di invalidità
civile, la prova del requisito del mancato svolgimento di attività
lavorativa previsto per beneficiare dell’assegno di invalidità di cui
all’art. 13, legge 21 aprile 1971, n. 118, come novellato dall’art. 1,
Ric. 2011 n. 22603 sez. ML – ud. 16-01-2014
-3-

3 cod. proc. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria

comma 35, legge 24 dicembre 2007, n. 247, non può essere fornita in
giudizio mediante mera dichiarazione dell’interessato, anche se
rilasciata con formalità previste dalla legge per le autocertificazioni, che
può assumere rilievo solo nei rapporti amministrativi ed è, invece,
priva di efficacia probatoria in sede giurisdizionale – cfr., in tal senso,

giugno 2013, n. 14121 -. Si è, in particolare, ritenuta tale impostazione
valida anche ai fini dell’applicazione del nuovo testo della legge n. 118
del 1971, art. 13, in quanto la previsione da parte di detta disposizione
(secondo cui l’assegno di invalidità civile è concesso, nel concorso
degli altri requisiti, “agli invalidi civili … che non svolgono attività
lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste”) di una
dichiarazione sostitutiva di tipo autocertificatorio da rendere
annualmente all’I.N.P.S., circa il mancato svolgimento di attività
lavorativa, non evidenzia una deroga circa la rilevanza di dichiarazioni
di tale genere solo nell’ambito amministrativo, restando impregiudicati
i principi sulla prova operanti nei giudizi civili, nei quali, peraltro, in
difetto di specifici limiti normativi, è ammessa anche la prova per
presunzioni.
La Corte di appello di Perugia non si è attenuta a tali principi ed in
particolare ha ritenuto che il riferimento alla dichiarazione sostitutiva
resa annualmente all’I.N.P.S. dovesse essere inteso come volto a
riservare alla fase amministrativa l’accertamento della originaria
sussistenza e della successiva persistenza della condizione di mancato
svolgimento dell’attività lavorativa ed in conseguenza ha ritenuto che la
stessa, in quanto successiva al conseguimento del beneficio,
rappresenti una mera condizione per il permanere di esso e non già un
elemento costitutivo.

Ric. 2011 n. 22603 sez. ML – ud. 16-01-2014
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Cass. 20 dicembre 2010, n. 25800; id. 12 novembre 2012 n. 19651; 4

Per quanto sopra considerato, si propone l’accoglimento del
ricorso con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 5″.
2 – Ritiene questa Corte che le considerazioni svolte dal relatore
siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata
giurisprudenza di legittimità in materia. Va ulteriormente precisato che

parzialmente diverso stabilito da questa Corte con la sentenza n.
22113/2009, secondo cui “ai fini del riconoscimento dell’assegno di
invalidità civile, le donne invalide ultrasessantenni ed
infrasessantacinquenni, che non hanno più diritto ad essere iscritte
nelle liste speciali di collocamento per aver raggiunto l’età pensionabile,
possono dimostrare il requisito dell’incollocamento al lavoro, richiesto
per l’erogazione delle E relative prestazioni, provando, con gli ordinari
mezzi di prova, ivi comprese le presunzioni, lo stato di effettiva
disoccupazione o di0 non occupazione”, posto che, nel caso in esame,
come si evince dal contenuto del ricorso introduttivo del giudizio
ritualmente riprodotto dall’I.N.P.S., l’interessata non ha versato in atti,
in uno con il ricorso introduttivo del giudizio, alcuna documentazione
attestante il possesso del requisito dell’incollocamento – fino al
31/12/2007 – e del mancato svolgimento dell’attività lavorativa dall’1/1/2008 – né svolto la benché minima deduzione in ordine al
possesso di detti requisiti, circostanze, queste, non solo preclusive di
ogni approfondimento istruttorio ma altresì ostative all’operatività di
una presunzione.
Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod.
proc. civ. per la definizione camerale del processo.
3 – Conseguentemente, il ricorso va accolto e va cassata
l’impugnata sentenza; non essendo necessari ulteriori accertamenti di

Ric. 2011 n. 22603 sez. ML – ud. 16-01-2014
-5-

non potrebbe giungersi a diverse conclusioni in base al principio

fatto, la causa va decisa nel merito a norma dell’art. 384, commi 1 e 2,
cod. proc. civ., con il rigetto dell’azionata domanda.
4 – Il diverso esito dei giudizi di merito rispetto al presente di
legittimità costituisce giusto motivo per compensare tra le parti le
spese dell’intero processo.

LA CORTE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, rigetta l’azionata domanda. Compensa tra le
parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 gennaio 2014.

P. Q. M.

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