Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4025 del 20/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4025 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA
sul ricorso 17064-2011 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO
RICCI, CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO,
GIUSEPPINA GIANNICO, giusta procura speciale in calce al
ricorso;

– ricorrente contro
LA ROSA GIUSEPPE, LA ROSA ANGELA, LA ROSA TINDARA
tutti in qualità di eredi di Ruggeri Teresa;

– intimati –

Data pubblicazione: 20/02/2014

avverso la sentenza n. 1044/2010 della CORTE D’APPELLO di
MESSINA del 17/6/2010, depositata il 6/7/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;
udito per il ricorrente l’Avvocato MAURO RICCI che si riporta agli

1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente
contenuto:
“Con sentenza n. 1044 del 2010 depositata in data 6 luglio 2010, la
Corte di appello di Messina, pronunciando sull’appello proposto
dall’I.N.P.S., nei confronti di Giuseppe La Rosa, Angela La Rosa,
Tindara La Rosa (eredi di Teresa Ruggeri), avverso la sentenza n.
625/05 del Tribunale di Messina, confermava la pronuncia di primo
grado di declaratoria del diritto dell’assicurata alla conversione della
pensione di invalidità in quella di vecchiaia. La Corte, richiamando la
pronunzia a SS.UU. della Cassazione n. 8433 del 4 maggio 2004,
riteneva che sussistesse l’idoneità dell’unica posizione assicurativa a
realizzare nel corso del tempo i presupposti per l’attribuzione dell’una
o dell’altra prestazione. Sulla scorta di tale principio generale (la portata
del quale non era ridotta dalla sua enunciazione per il solo assegno
ordinario di inabilità, e non anche per la pensione di inabilità di cui
all’art. 2 della legge n. 222 del 1984) riteneva che sussistesse il diritto
alla trasformazione non ostandovi una differenziazione concettuale tra
le prestazione in godimento e quella che la legge considera
trasformabile e trovando applicazione la regola, prevista dall’art. 1,
comma 10, della legge n. 222/84, sulla computabilità come periodi di
contribuzione di quelli di godimento dell’assegno di invalidità, pur se
non vi era stata prestazione di attività lavorativa.

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scritti.

Avverso tale pronuncia l’I.N.P.S. (che, ai sensi dell’art. 372 cod.
proc. civ., ha depositato certificato di morte di Giuseppe La Rosa,
certificato di stato di famiglia originario dello stesso e visura
dell’Agenzia delle Entrate relativa alla dichiarazione di successione)
propone ricorso affidato a due motivi.

duplice qualità di eredi di Teresa Ruggieri e di Giuseppe La Rosa) rituale è stata la notifica effettuata dal ricorrente alle suddette nella
qualità (anche) di eredi di Giuseppe La Rosa, giusta provvedimento
reso all’udienza camerale del 28 febbraio 2013 -.
Con il primo motivo l’I.N.P.S. censura la sentenza impugnata
lamentando violazione o falsa applicazione dell’art. 10 del R.D.L. 14
aprile 1939, n. 636 convertito nella legge 6 luglio 1939, n. 1272 e
dell’art. 1, commi 6 e 10, della legge 12 giugno 1984, n. 222, nonché
dell’art. 8 del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11
novembre 1983, n. 638, dell’art. 60 del R.D.L. n. 1827 del 1935,
dell’art. 9 del R.D.L. n. 636 del 1939, dell’art. 2 della legge n. 218 del
1952, degli artt. 1, 2, 5 e 6 del d. lgs. n. 503 del 1992, in relazione
all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.. In particolare rileva che, non essendo
applicabile in via analogica la disposizione di cui all’art. 1, comma 10,
della legge n. 222 del 1984, che prevedeva la trasformazione
automatica dell’assegno di invalidità in pensione di vecchiaia,
erroneamente la Corte territoriale aveva affermato l’avvenuto
mutamento del titolo pensionistico assumendo che i periodi di
godimento della pensione di invalidità fossero utili ai fini del diritto alla
pensione di vecchiaia.
Con il secondo motivo, denunciando violazione delle stesse
norme, censura la parte della motivazione in cui si è osservato che, in

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Sono rimasti solo intimati Angela La Rosa e Tindara La Rosa (nella

sede di trasformazione del titolo della pensione, rimane salvo il
trattamento previdenziale più favorevole in godimento.
Il ricorso è qualificabile come manifestamente fondato.
Ed invero, in ordine alla problematica concernente il diritto al
mutamento della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia, la

orientamento (Cass. n. 2875 del 7 febbraio 2008), ha affermato che la
trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia al
compimento dell’età pensionabile è possibile ove di tale ultima
pensione sussistano i requisiti propri anagrafico e contributivo, non
potendo essere utilizzato, ai fini di incrementare l’anzianità
contributiva, il periodo di godimento della pensione di invalidità.
Infatti, deve escludersi la possibilità di applicare alla pensione di
invalidità la diversa regola prevista dalla legge n. 222 del 1984, art. 1,
comma 10, in riferimento all’assegno di invalidità – secondo cui i
periodi di godimento di detto assegno nei quali non sia stata prestata
attività lavorativa si considerano utili ai fini del diritto alla pensione di
vecchiaia – giacché ostano a siffatta interpretazione ermeneutica la
mancanza di ogni previsione, nella normativa sulla pensione di
invalidità, della utilizzazione del periodo di godimento ai fini
dell’incremento dell’anzianità contributiva, il carattere eccezionale delle
previsioni che nell’ordinamento previdenziale attribuiscono il
medesimo incremento in mancanza di prestazione di attività lavorativa
e di versamento dei contributi, nonché le differenze esistenti fra la
disciplina sulla pensione di invalidità e quella sull’assegno di invalidità,
là dove quest’ultimo, segnatamente, è sottoposto a condizioni più
rigorose, anche e soprattutto rispetto al trattamento dei superstiti (così
Cass. n. 18580 del 7 luglio 2008, ribadita da Cass. n. 5646 del 9 marzo
2009, Cass. n. 21292 del 6 ottobre 2009 n. 21292; Cass. n. 24772 del 25
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giurisprudenza di questa Corte, correggendo un precedente diverso

novembre 2009, Cass. n. 6434 del 17 marzo 2010; Cass. n. 3855 del 17
febbraio 2011, Cass. n. 29015 del 27/12/2011; più in generale si veda
Cass., SS.UU., n. 9492 del 19 maggio 2004, la quale afferma il principio
generale che è consentita la conversione della pensione di invalidità in
pensione di vecchiaia solo nel caso che di questa siano maturati tutti i

erroneamente il giudice di merito abbia esteso alla titolare di pensione
di invalidità ottenuta nel regime precedente, in base al R.D.L. 14 aprile
1939, n. 636, il beneficio contributivo previsto dall’art. 1, comma 10,
della legge n. 222 del 1984, per i titolari dell’assegno di invalidità. Ed
invero la Corte di merito ha ritenuto che l’assicurata avesse raggiunto il
requisito contributivo (780 contributi settimanali, pari a quindici anni
di contribuzione) con l’accredito dei contributi figurativi per il periodo
di fruizione della pensione di invalidità, sebbene a siffatta operazione
ermeneutica ostassero, per come detto, la mancanza di ogni previsione,
nella normativa sulla pensione di invalidità, della utilizzazione del
periodo di godimento ai fini dell’incremento dell’anzianità contributiva,
nonché il carattere eccezionale delle previsioni che nell’ordinamento
previdenziale attribuiscono il medesimo incremento in mancanza di
prestazione di attività lavorativa e di versamento dei contributi.
Egualmente deve ritenersi errata l’affermazione del giudice di
merito che, in caso di trasformazione, l’importo della pensione di
vecchiaia non possa essere minore di quello della pensione di
invalidità, tale previsione essendo valida solo nel regime della
trasformazione della prestazione da assegno ordinario di invalidità
concesso ai sensi dell’art. 1, comma 1 e ss., della legge n. 222 del 1984
in pensione di vecchiaia (cfr. in tal senso Cass. n. 17492 del 26 luglio
2010).

Ric. 2011 n. 17064 sez. ML – ud. 16-01-2014
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requisiti anagrafici e contributivi). Deve, pertanto, ritenersi che

Per tutto quanto sopra considerato, si propone, in accoglimento del
proposto ricorso, la cassazione dell’impugnata sentenza e, non essendo
necessari ulteriori accertamenti di fatto, la decisione della causa nel
merito a norma dell’art. 384, commi 1 e 2, cod. proc. civ., con il rigetto
della domanda proposta dalla lavoratrice, con ordinanza, ai sensi

2 – Ritiene questa Corte che le considerazioni svolte dal relatore
siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata
giurisprudenza di legittimità in materia. Ricorre con ogni evidenza il
presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per la definizione
camerale del processo.
3 – Conseguentemente, il ricorso va accolto e va cassata
l’impugnata sentenza; non essendo necessari ulteriori accertamenti di
fatto, la causa va decisa nel merito a norma dell’art. 384, commi 1 e 2,
cod. proc. civ., con il rigetto della domanda proposta dalla lavoratrice.
4 – Non è luogo a pronunciare sulle spese, attesa l’applicabilità,
ratione temporis, dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo vigente
anteriormente alla novella di cui a D.L. 30 settembre 2003, n. 269,
convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326.

P.Q.M.
LA CORTE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, rigetta la domanda di cui al ricorso introduttivo.
Nulla per le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 gennaio 2014.

dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ.”.

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