Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4024 del 15/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 15/02/2017, (ud. 10/11/2016, dep.15/02/2017),  n. 4024

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.G. e SO.MA., elettivamente domiciliati in

Roma, alla via Flaminia n. 195, presso l’avv. SERGIO VACIRCA,

unitamente agli avv. ROBERTO ROVERO e RENATO CARMINATI, dai quali

sono rappresentati e difesi in virtù di procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI RIVERGARO, in persona del Sindaco p.t., elettivamente

domiciliato in Roma, alla via Crescenzio n. 58, presso l’avv. BRUNO

COSSU, unitamente all’avv. AUGUSTO GRUZZA, dal quale è

rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna n. 1244/10,

pubblicata l’8 novembre 2010;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

novembre 2016 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. Vacirca per delega del difensore dei ricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CARDINO Alberto, il quale ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Comune di Rivergaro convenne in giudizio l’arch. S.G. e l’ing. So.Ma., proponendo opposizione al decreto ingiuntivo emesso il 6 febbraio 1995, con cui il Presidente del Tribunale di Piacenza, su ricorso dei convenuti, gli aveva intimato il pagamento della somma di Lire 202.752.361, a titolo di compenso per la redazione del progetto esecutivo generale di un impianto natatorio.

Si costituirono i convenuti e resistettero all’opposizione, chiedendo in subordine la condanna del Comune al risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale o all’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento.

1.1. Con sentenza non definitiva del 12 gennaio 2001, il Tribunale di Piacenza accolse l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo, ma dichiarando il Comune tenuto al pagamento delle parcelle professionali, nei limiti dell’incarico originario.

Con sentenza definitiva dell’11 settembre 2002, il medesimo Tribunale dichiarò poi il Comune tenuto al pagamento della somma di Lire 67.802.797, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.

2. Le impugnazioni proposte dal Comune avverso la sentenza non definitiva e quella proposta dal S. e dal So. avverso la sentenza definitiva sono state riunite dalla Corte d’Appello di Bologna, che con sentenza dell’8 novembre 2010 ha accolto quelle proposte dal Comune e rigettato quella proposta dai professionisti, confermando la revoca del decreto ingiuntivo, rigettando le domande proposte dal S. e dal So., e condannandoli alla restituzione delle somme percepite in esecuzione delle sentenze impugnate.

A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso l’inammissibilità dell’appello immediato proposto dal Comune avverso la sentenza non definitiva, rilevando la tardività della riserva d’impugnazione nei confronti della stessa, in quanto formulata all’udienza del 21 maggio 2001, anzichè a quella del 19 marzo 2001, cui la causa era stata rinviata d’ufficio dalla data del 18 marzo 2001, originariamente fissata per la prosecuzione del giudizio, ed escludendo la necessità della comunicazione di quest’ultimo rinvio, in quanto conforme alle previsioni del calendario, essendo la data fissata coincidente con la domenica.

Premesso inoltre che l’incarico professionale era stato conferito con delibera del Consiglio comunale, cui non aveva fatto seguito la stipulazione di un contratto, la Corte ha escluso l’obbligo della corresponsione del compenso, ritenendo necessaria a tal fine la redazione di un contratto in forma scritta, recante la sottoscrizione dei professionisti e dell’organo legittimato a manifestare la volontà dell’ente, nonchè l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del corrispettivo, ed affermando la nullità del contratto privo dei predetti requisiti e l’inammissibilità di qualsiasi forma di sanatoria, anche per fatti concludenti. Ha escluso inoltre la configurabilità di una responsabilità precontrattuale del Comune, per mancanza di prova dell’interesse negativo, e di un ingiustificato arricchimento, per insussistenza del requisito dell’utilitas: precisato infatti che la mancata approvazione delle relative delibere da parte del Comitato Regionale di Controllo comportava l’inutilizzabilità della prestazione, escludendo ex tunc l’efficacia della dichiarazione di scienza ed apprezzamento espressa dall’Amministrazione, ha rilevato che non vi era stata alcuna utilizzazione dell’opera, aggiungendo che anche un’eventuale ricognizione di debito si sarebbe risolta in un’inammissibile convalida o ratifica del contratto.

3. – Avverso la predetta sentenza il S. ed il So. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. Il Comune ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto irrilevante, ai fini dell’accoglimento della domanda d’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, il riconoscimento del debito da parte del Comune, in quanto lo stesso avrebbe comportato un’inammissibile convalida o ratifica del contratto. Premesso che, in quanto avente carattere sussidiario e quindi proponibile soltanto quando nessun’altra azione possa essere esercitata, l’azione d’ingiustificato arricchimento ha come presupposto proprio la mancanza di un valido titolo contrattuale, ne ribadiscono l’ammissibilità, osservando che la fattispecie risulta anteriore all’entrata in vigore della L. 24 aprile 1989, n. 144. Precisato che il riconoscimento può risultare anche per implicito da atti o comportamenti idonei ad evidenziare la formulazione di un giudizio positivo in ordine all’utilità della prestazione, purchè promananti dagli organi rappresentativi dell’Amministrazione interessata, sostengono inoltre che la Corte di merito non ha tenuto conto, a tal fine, di due Delib. 28 giugno 1991, con cui il Comune ha riconosciuto il debito fuori bilancio, e di una nota del 18 giugno 1992, con cui il Sindaco ha trasmesso loro copia di una delle predette delibere, nonchè della richiesta di finanziamento avanzata dal Comune ai fini della realizzazione delle opere da loro progettate. Nel conferire rilievo alla mancata approvazione delle delibere da parte del comitato regionale di controllo, la sentenza impugnata non ha poi considerato che essa incide soltanto sull’efficacia amministrativa dell’atto, senza escluderne l’operatività come dichiarazione di scienza.

2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che l’esclusione della possibilità di ravvisare un valido riconoscimento dell’utilità della prestazione nelle delibere adottate il 28 giugno 1991, a causa della mancata approvazione da parte dell’organo di controllo, si pone in contrasto con la precedente affermazione della Corte di merito, secondo cui il predetto riconoscimento può aver luogo non solo in modo esplicito, ma anche per implicito, mediante un atto privo delle formalità e dei controlli richiesti.

3. Le predette censure devono essere esaminate congiuntamente, riflettendo la comune problematica concernente la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione d’ingiustificato arricchimento.

E’ inammissibile, al riguardo, l’eccezione sollevata dalla difesa del Comune, secondo cui il carattere sussidiario della predetta azione, consentendone l’esercizio soltanto in mancanza di altri mezzi di tutela, ne comporterebbe nella specie l’improponibilità. avuto riguardo alla mancata coltivazione, in sede d’impugnazione, dell’azione contrattuale proposta in via principale e di quella di risarcimento per responsabilità precontrattuale proposta alternativamente in via subordinata, nonchè all’applicabilità del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23 ai sensi del quale, in caso di acquisizione di beni o servizi senza la preventiva determinazione dell’impegno di spesa e dei mezzi per farvi fronte, il rapporto obbligatorio intercorre direttamente tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbiano consentito la fornitura. Le predette questioni non risultano infatti esaminate espressamente nella sentenza impugnata, e non possono quindi trovare ingresso nella presente fase processuale, essendo riproponibili dinanzi al giudice di rinvio in caso di accoglimento del ricorso, se ed in quanto ritenute assorbite dal rigetto della domanda (cfr. Cass., Sez. 5, 15 gennaio 2016, n. 574; Cass., Sez. 3, 25 maggio 2010, n. 12728; Cass., Sez. 1, 23 maggio 2006, n. 12153).

4. Il ricorso è peraltro fondato.

Ai fini del rigetto della domanda, la sentenza impugnata ha richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, all’epoca prevalente, secondo cui l’esercizio dell’azione d’ingiustificato arricchimento nei confronti della Pubblica Amministrazione si caratterizza, rispetto all’ipotesi in cui la medesima azione sia proposta nei confronti di un privato, per la diversità dei presupposti, costituiti non solo dal fatto materiale dell’esecuzione di un’opera o di una prestazione vantaggiosa per l’ente pubblico, ma anche dal riconoscimento, da parte di quest’ultimo, dell’utilità dell’opera o della prestazione, il quale può avvenire tanto in maniera esplicita, cioè con un atto formale, quanto in modo implicito, cioè mediante l’utilizzazione dell’opera o della prestazione secondo una destinazione oggettivamente rilevabile ed equivalente nel risultato ad un esplicito riconoscimento di utilità, posta in essere senza il rispetto delle prescritte formalità da parte di detto organo, ovvero in comportamenti di quest’ultimo dai quali si desuma inequivocabilmente un giudizio positivo circa il vantaggio dell’opera o della prestazione ricevuta dall’ente rappresentato (cfr. Cass., Sez. 1, 7 marzo 2014, n. 5397; 18 aprile 2013, n. 9486; 12 febbraio 2010, n. 3322). Premesso che nella specie non vi era stata alcuna utilizzazione della prestazione da parte del Comune, ha ritenuto insussistente il requisito dell’utilitas, escludendo la possibilità di desumerne il riconoscimento implicito dalle delibere prodotte in giudizio, con cui il Consiglio comunale aveva proceduto alla ricognizione dei debiti fuori bilancio, ai sensi del D.L. 12 gennaio 1991, n. 6, art. 12 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1991, n. 80, in quanto, come ammesso dagli stessi appellanti, le stesse non erano state approvate dal Comitato Regionale di Controllo.

Com’è noto, l’indirizzo posto a fondamento della decisione impugnata ha costituito recentemente oggetto di rimeditazione da parte delle Sezioni Unite di questa Corte, le quali, nel comporre un contrasto di giurisprudenza insorto tra le Sezioni semplici, sono pervenute, sulla base di una puntuale ricostruzione delle ragioni storiche dell’istituto e delle esigenze di tutela allo stesso sottese, all’enunciazione del principio di diritto secondo cui il soggetto che agisce ai sensi dell’art. 2041 c.c. nei confronti della Pubblica Amministrazione ha l’onere di fornire soltanto la prova del fatto oggettivo dell’arricchimento, e non anche quella del riconoscimento dell’utilità da parte dell’ente pubblico, non costituendo quest’ultimo un requisito dell’azione, con la conseguenza che l’ente pubblico non può opporre il mancato riconoscimento dell’utilità, ma solo eccepire e provare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò quindi di arricchimento imposto (cfr. Cass.. Sez. Un., 26 maggio 2015, n. 10798; nel medesimo senso, successivamente, Cass., Sez. 6, 30 ottobre 2015, n. 22182). In quest’ottica, l’accertamento del vantaggio arrecato dalla realizzazione dell’opera o dall’esecuzione della prestazione resta svincolato dalla valutazione discrezionale dell’ente pubblico e rimesso in via esclusiva all’apprezzamento del giudice di merito, il quale, ai fini dell’accoglimento della domanda, deve verificare non tanto se l’Amministrazione abbia riconosciuto l’arricchimento, quanto se essa sia stata consapevole della prestazione indebita e nulla abbia fatto per respingerla, potendo l’eventuale riconoscimento dell’utilità assumere rilievo soltanto in funzione probatoria.

Non può pertanto condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto di poter senz’altro ricollegare il diniego dell’indennizzo al mancato riconoscimento dell’utilità della prestazione da parte del Comune (o, più precisamente, all’accertata inefficacia delle delibere recanti il predetto riconoscimento), astenendosi dall’indagare in ordine all’effettivo vantaggio derivante dalla prestazione resa dagli attori, anche in relazione alla consapevole richiesta ed accettazione della stessa da parte degli organi istituzionalmente competenti a disporne l’effettuazione.

5. – La sentenza impugnata va dunque cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Bologna, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Bologna, anche per la liquidazione delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2017

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