Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4018 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. II, 18/02/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 18/02/2011), n.4018

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.R. di Morandini & C. s.n.c, con sede in (OMISSIS), in persona

del

socio amministratore P.R., rappresentata e difesa per

procura in calce al ricorso dagli Avvocati Zilioli Umberto e Rosa

Mattia, elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in

Roma, v.le delle Milizie n. 1;

– ricorrente –

contro

Maletti s.p.a., con sede in (OMISSIS), in persona

dell’amministratore M.D., rappresentata e difesa per

procura in calce al controricorso dagli Avvocati Coletti Pierfilippo

e Gian Carlo Valentini, elettivamente domiciliata presso lo studio

del primo in Roma, p.zza Martiri del Belfiore n. 2;

– controricorrente –

e

Beauty Service s.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1518 della Corte di appello di Bologna,

depositata il 31 dicembre 2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26

gennaio 2011 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

udita la difesa del controricorrente, svolta dall’Avvocato Marcacci

per delega dell’Avvocato Coletti;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Maletti s.p.a., premesso di avere avuto incarico dalla Beauty Service s.r.l. di eseguire lavori per la realizzazione di un salone per profumeria e per parrucchiere e di avere a sua volta incaricato la P.R. di Morandini & C. s.n.c. di fornire il materiale necessario per la pavimentazione, scelto direttamente dalla cliente, e di porlo in opera e che, ultimati questi lavori, la propria committente aveva lamentato difetti di qualità e vizi del materiale utilizzato, convenne in giudizio sia la Beauty Service che la società P.R. chiedendo la condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni come accertati in corso di causa.

La società P.R. si oppose alla domanda e chiese, in via riconvenzionale, il pagamento di l. 6.470.846 a titolo di corrispettivo della propria prestazione. La società Beauty Service chiese invece la condanna delle altre società, in via solidale o alternativa, al risarcimento dei danni subiti.

Il Tribunale di Reggio Emilia, espletata l’istruttoria mediante consulenza tecnica d’ufficio, determinò in L. 618.000 il minor valore dell’opera, condannando parte attrice, in accoglimento della domanda riconvenzionale della Beauty Service, al pagamento della somma di L. 5.861.846, pari alla differenza tra il corrispettivo da essa dovuto per la fornitura ed il minor valore come sopra determinato.

Interposero gravame sia la Beauly Service che la Maletti, lamentando, la prima, l’omessa pronuncia sulle sue domande e, la seconda, chiedendo di essere manlevata dalla P.R. in ordine alle richieste della Beauty Service. Con sentenza n. 1518 depositata il 31 dicembre 2004, la Corte di appello di Bologna, in accoglimento di entrambi gli appelli, condannò la convenuta Maletti a pagare alla Beauty Service la somma di Euro 11.878,51, pari alla spesa necessaria per la demolizione del pavimento ed il suo rifacimento, oltre le spese legali; condannò altresì la società P.R. al pagamento in favore della Maletti delle somme da questa dovute alla Beauty Service, detratto il corrispettivo originario della fornitura. Il giudice di appello, premesso che il contratto intercorso tra la Beauty Service e la società Maletti andava qualificato come appalto, mentre il negozio stipulato da quest’ultima con la P.R. era di compravendita, motivò la propria decisione rilevando l’inadempimento sia della società Maletti che della Beauty Service per essere stato fornite e poste in opera nella pavimentazione delle mattonelle di seconda scelta, che presentavano numerose e visibili imperfezioni e scagliature nello smalto, in luogo di quelle di prima scelta come convenuto, dichiarando altresì di condividere la valutazione del consulente tecnico in ordine alla determinazione della spesa necessaria per l’eliminazione dei vizi dell’opera. In relazione alla domanda di manleva avanzata dalla Maletti nei confronti della società P.R., la Corte affermò che essa era ammissibile e fondata in ragione dell’obbligo di garanzia per i vizi della cosa stabilito a carico del venditore dall’art. 1490 cod. civ., giudicando altresì tempestiva la denunzia dei difetti fatta dalla società acquirente, in quanto, pur essendo la consegna della merce avvenuta presso i locali della Beauty Service in data 11 agosto 1987, la società Maletti aveva comunque provveduto a contestare i vizi alla P.R. il giorno stesso in cui aveva ricevuto la contestazione dalla propria cliente, con lettera raccomandata in data 29 settembre 1987. Per la cassazione di questa decisione, notificata il 17 maggio 2005. con atto notificato l’11 luglio 2005, ricorre la società P.R. di Morandini & C. Pontacolone Piera, affidandosi a sei motivi. Resiste con controricorso la società Maletti. La società Beauty Service non si è invece costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione degli att. 1495 e 1667 cod. civ., censura la sentenza impugnata per avere disatteso l’eccezione dell’attuale ricorrente che deduceva l’intervenuta decadenza della Maletti dalla garanzia per avere denunziato i vizi della cosa oltre il termine di otto giorni stabilito dall’art. 1495 cod. civ. Ad avviso della ricorrente, la Corte di appello ha errato in quanto, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, i vizi delle mattonelle erano facilmente riconoscili, sicchè il termine per la denunzia. a carico della Maletti, decorreva dalla consegna del bene, avvenuta l’11 agosto 1987, e non già dal momento in cui essa aveva ricevuto la contestazione del proprio cliente, considerato che una tale conclusione porterebbe a sommare, del tutto arbitrariamente, due termini, quello stabilito in materia di appalto, che riguardava il rapporto tra Beauty Service e Maletti, e quello relativo alla vendita, intervenuta tra Maletti e P.R. Il mezzo è infondato.

Merita premettere che il rapporto contrattuale intercorso tra la società Maletti e la società P.R. è stato qualificato dalla Corte di appello nell’ambito della fattispecie della compravendita e che tale accertamento, non formando oggetto di censure da parte del ricorso, è divenuto definitivo e vincolante anche ai fini dell’esame delle questioni proposte.

Tanto precisato, il ricorrente sostiene che, nel caso concreto, in cui il bene compravenduto risulta consegnato presso un terzo, vale a dire alla società Beauty Service, il termine per la denunzia dei vizi decorreva, per il compratore, dalla data della consegna al terzo e non, come invece ritenuto dalla Corte territoriale, dal momento in cui quest’ultimo, destinatario finale del bene, aveva rappresentato al compratore l’esistenza dei vizi. Questo ragionamento non può essere condiviso.

L’onere di denunzia dei vizi della cosa venduta previsto dall’art. 1495 cod. civ. – disciplina pacificamente applicabile anche al caso di mancanza di qualità promesse, alla cui ipotesi andrebbe, più esattamente, ricondotta l’inesattezza della prestazione in oggetto – implica a carico del compratore un onere di verifica del bene, al fine di riscontrare la sua conformità o inesattezza rispetto a quanto pattuito. Un tale onere però presuppone, a sua volta, ai fini della sua esistenza in concreto, che il compratore si trovi nella possibilità di fatto di compiere tale verifica, possibilità che evidentemente non è riscontrabile laddove il bene sia consegnato ad un terzo, entrando nella disponibilità di quest’ultimo. In questo caso, perchè tale possibilità di verifica del bene da parte del compratore possa in concreto essere affermata, è necessario che questi abbia autorizzato il terzo a ricevere il bene per suo conto, vale a dire che esista una relazione tra acquirente e terzo in forza del quale il primo abbia trasferito al secondo l’onere di verifica che gravava su di sè, accettando le eventuali conseguenze ed effetti negativi del suo mancato esercizio. Ora, nel caso di specie, in cui il bene è stato consegnato alla committente (società Beauty Service), nell’ambito di un contratto di appalto intercorrente tra essa ed il compratore (società Maletti), non sembra potersi affermare che il bene sia stato ricevuto dal terzo su incarico del compratore. Vi è al riguardo non solo un’assenza completa di prove, ma anche di allegazioni, non avendo il ricorrente mai dedotto, nemmeno implicitamente, tale circostanza. In ogni caso, la sussistenza del solo rapporto di appalto tra compratore e terzo appare un dato insufficiente a tal fine. Esso, invero, nulla dimostra se non che la committente aveva un interesse proprio alla consegna, non già che essa ha ricevuto il bene per conto del compratore. A ciò si aggiunga che, sotto il profilo processuale, l’omesso accertamento di tale circostanza potrebbe dar luogo ad un difetto di motivazione, per non avere la sentenza impugnata valutato circostanze rilevanti ai fini della ricostruzione del fatto, non già ad un vizio di violazione di legge, che invece è l’unica censura sollevata dal motivo.

L’affermazione della Corte di appello, secondo cui il termine per la denunzia dei difetti decorreva, nel caso di specie, dal momento in cui la società compratrice, attraverso la contestazione del terzo committente, aveva avuto conoscenza degli stessi, appare conforme alla prescrizione di cui all’art. 1495 c.c., comma 1, che collega la decorrenza del termine di denunzia al fatto della scoperta dei vizi, e si sottrae, per le ragioni sopra enunciate, al denunziato vizio di violazione di legge.

Il secondo motivo di ricorso denunzia omessa applicazione dell’art. 1301 cod. civ., assumendo che, avendo il giudice di appello dato atto che la Beauty Service aveva espressamente rinunciato, nel proprio atto di appello, alla domanda risarcitoria proposta in primo grado anche avverso la società P.R., la domanda di essa avrebbe dovuto essere respinta alla luce del disposto di cui alla disposizione citata, che vieta al creditore di esigere il credito dagli altri debitori se non detratta la parte del debitore a favore del quale ha consentito la remissione.

Il motivo è palesemente infondato.

E’ sufficiente al riguardo precisare che la mancata riproposizione di una domanda in appello non implica rinunzia del diritto con essa fatto valere e che, inoltre, la società P.R. è stata chiamata in questo giudizio a rispondere in forza di manleva derivante dal contratto di compravendita da essa stipulato con la società Maletti, non già quale condebitore solidale con quest’ultima verso la società Beaty Service, che è ed è rimasta terza nei propri confronti.

Il terzo motivo di ricorso denunzia omessa o comunque insufficiente motivazione, lamentando che la sentenza impugnata, senza motivare sul punto, abbia ritenuto tempestiva una denunzia dei vizi effettuata ben 49 giorni dopo la consegna del bene.

Il motivo è inammissibile.

La censura con esso sollevata investe, infatti, non già un accertamento di fatto posto in essere dal giudice di merito, bensì l’applicazione di norme di diritto (nella specie dell’art. 1495 cod. civ.). E’ noto, tuttavia, che il vizio di motivazione della sentenza è riscontrabile unicamente in relazione agli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito, non già con riferimento all’applicazione delle disposizioni di diritto, sostanziali o processuali (Cass. S.U. n. 21712 del 2004). In quest’ultimo caso, infatti, potendo questa Corte correggere la motivazione della sentenza laddove ritenga esatto il decisum (art. 384 c.p.c., comma 2), la questione prospettabile investe direttamente l’applicazione della legge fatta propria dal giudice di merito ed il vizio denunziabile è quello di violazione di legge. L’unica censura di cui la Corte di legittimità può essere investita e che può portare alla cassazione della sentenza impugnata non concerne pertanto in questi casi la sufficienza o la congruità della motivazione, bensì la corretta interpretazione o applicazione delle norme di diritto da parte del giudice di merito.

Il quarto motivo di ricorso, che denunzia omessa o comunque insufficiente motivazione, lamenta che la Corte, pur riconoscendo a carico della Maletti l’obbligo di risarcire il danno patito dalla Beauty Service, ha poi condannato a tale risarcimento la P.R. in ragione della domanda di manleva avanzata dalla Maletti nei suoi confronti.

Anche questo mezzo è inammissibile.

La lettura del mezzo non consente di comprendere quale sia l’errore o la mancanza in cui la Corte di appello sarebbe incorsa ed in cosa consisterebbe il vizio di motivazione con esso denunziato. Il quinto motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto ammissibile la domanda di manleva proposta dalla Maletti nei suoi confronti, nonostante che essa fosse stata proposta per la prima volta con l’atto di appello.

Il mezzo è infondato.

La sentenza impugnata ha invero respinto l’analoga eccezione di novità sollevata dall’attuale ricorrente in grado di appello affermando che la società Maletti, fin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, aveva chiesto la condanna della società P. R. al risarcimento dei danni ad essa derivanti dalla inesatta esecuzione della sua prestazione. Tale affermazione basta ad esclude la pretesa inammissibilità della domanda di manleva, la quale presenta, rispetto alla domanda originaria, solo una differenza definitoria. Il sesto motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 101, 112 e 116 cod. proc. civ. e omessa motivazione, lamentando che il giudice di secondo grado abbia fondato il proprio convincimento sulla consulenza tecnica d’ufficio considerandola un mezzo di prova, disatteso le prove testimoniali delle parti e affermato, senza motivare, che avendo la Beauty Service ordinato alla Maletti materiale di prima scelta, anche la Maletti aveva ordinato alla P.R. materiale di prima scelta.

Il motivo è inammissibile.

Tale conclusione si impone in quanto le censure con esso sollevate tendono ad accreditare una ricostruzione della vicenda contrattuale e, soprattutto, a sollecitare questa Corte ad una valutazione delle prove raccolte in giudizio divergente da quella compiuta dal giudice di merito. E’ noto, per contro, che nel giudizio di legittimità, non essendo questa Corte giudice del fatto, non sono proponibili censure dirette a provocare un nuovo apprezzamento delle risultanze processuali, diverso da quello espresso dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, potendo il ricorrente sindacare tale valutazione solo sotto il profilo della congruità e sufficienza della motivazione (Cass. n. 14972 del 2006; Cass. n. 4770 del 2006; Cass. n. 16034 del 2002).

A tali considerazioni merita aggiungere che le censure sollevate dal ricorso non appaiono sostenute dal requisito di autosufficienza, il quale impone al ricorrente per cassazione che deduca l’omessa considerazione o erronea valutazione da parte del giudice di merito di risultanze istruttorie di riprodurre esattamente il contenuto dei documenti e delle prove che si assumono non esaminate, al fine di consentire alla Corte di valutare la sussistenza e decisività delle stesse (Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 18506 del 2006; Cass. n. 3004 del 2004). Costituisce diritto vivente di questa Corte il principio che il ricorso per cassazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 1997; Cass. n. 14767 del 2007: Cass. n. 12362 del 2006).

Nel caso di specie, in particolare, il ricorso non rispetta il suddetto principio di autosufficienza, in quanto omette completamente di riprodurre il testo della relazione del consulente tecnico che sarebbe stato erroneamente valutata dal giudice territoriale e delle prove orali che afferma ingiustificatamente disattese. Il ricorso va pertanto respinto.

Per il principio di soccombenza, le spese di lite sostenute dalla società Maletti sono poste a carico della parte ricorrente; nulla invece si dispone con riguardo alla società Beauty Service, che non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore della società Maletti, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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