Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4018 del 01/03/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 4018 Anno 2016
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA
sul ricorso 18150-2010 proposto da:
DI MARTINO CAROLINA C.F.

DMRCLN69E64L323R, già

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTEVERDE 25,
presso lo studio dell’avvocato TANIA GAROFOLI,
rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNI
D’ELIA, PASQUALE ADINOLFI, giusta delega in atti e da
2015
4297

ultimo domiciliata presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE;
– ricorrente contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona

Data pubblicazione: 01/03/2016

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo
STUDIO TOFFOLETTO – DE LUCA TAMAJO, rappresentata e
difesa dall’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, giusta
delega in atti;

avverso la sentenza n. 194/2009 della CORTE D’APPELLO
di SALERNO, depositata il 30/06/2009 R.G.N. 21/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/11/2015 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato ADINOLFI PASQUALE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

,—— _– – –

– controricorrente

Svolgimento del processo
Di Martino Carolina chiese al Giudice del lavoro del Tribunale di Salerno che
fosse dichiarata la nullità del termine apposto ai contratti di assunzione alle
dipendenze di Poste Italiane s.p.a. stipulati ai sensi dell’art. 8 del CCNL

1/7/2002 – 30/9/2002; 2/1/2004 – 30/9/2004.
Vistasi rigettare la domanda, la Di Martino impugnò la decisione e la Corte
d’appello di Salerno, con sentenza pubblicata in data 30.6.2009, respinse il
gravame sulla base del rilievo che era configurabile l’effetto della risoluzione
del rapporto per mutuo consenso come eccepito dalla società postale in
considerazione del lungo lasso di tempo di circa tre anni decorso dalla
cessazione dell’ultimo contratto (30.9.04) al deposito del ricorso di primo
grado del 18.7.07.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Di Martino con due motivi.
Resiste con controricorso la società Poste Italiane s.p.a.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo la ricorrente lamenta l’insufficienza e la contraddittorietà
della motivazione assumendo che il giudice di primo grado non aveva fatto
alcun riferimento alla teoria del mutuo consenso, in quanto aveva affermato
che la legittimità dei contratti a termine discendeva da altre circostanze. In
particolare, la validità del primo contratto dipendeva dal fatto che lo stesso era
stato concluso in coincidenza del periodo feriale giugno – settembre, mentre la
legittimità degli altri due contratti era riconducibile alla complessità del
procedimento di riorganizzazione aziendale conseguente alla privatizzazione.
Quindi, secondo la ricorrente, la Corte d’appello aveva eseguito una lettura
distorta della pronuncia di primo grado nel momento in cui aveva ritenuto che
questa facesse riferimento alla tacita risoluzione consensuale del rapporto di
lavoro e allorquando aveva affermato che solo in data 8.5.2007 era avvenuta

1

“o

26/11/1994 in relazione ai seguenti periodi: 10/7/2000 – 30/9/2000;

la convocazione della società postale innanzi alla Commissione di conciliazione,
mentre era stato provato in via documentale che tale adempimento era stato
eseguito nel mese di maggio del 2004, vale a dire poco dopo la scadenza, in
data 31.3.2004, dell’ultimo contratto a termine, per cui non vi era stata alcuna

del rapporto.
2. Col secondo motivo la ricorrente censura l’impugnata sentenza per falsa
applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 1372 cod. civ. in
quanto, secondo il proprio assunto difensivo, non era configurabile, nella
fattispecie, l’ipotesi di risoluzione del rapporto per mutuo consenso affermata
dalla Corte di merito. Invero, secondo la ricorrente, non si era in presenza di
comportamenti concludenti significativi della volontà delle parti di risolvere
anticipatamente il rapporto, non essendo sufficiente l’indicazione di un periodo
di inattività della lavoratrice, stante la mancanza dell’indispensabile concorso
di altre circostanze realmente significative, la cui dimostrazione avrebbe
dovuto essere fornita dalla parte datoriale che aveva sollevato la relativa
eccezione.
Osserva la Corte che il ricorso è inammissibile.
Anzitutto, il secondo motivo, proposto per violazione di legge con riguardo alla
questione fondamentale della dichiarata risoluzione del rapporto per mutuo
consenso, si conclude senza la proposizione del prescritto quesito di diritto di
cui all’art. 366-bis c.p.c. nella formulazione vigente prima della sua
abrogazione avvenuta per effetto della legge 18.6.2009, n. 69 (art. 47, c. 1,
lett. d) in vigore dal 4.7.2009, posto che la sentenza impugnata del 18.3.2009
fu pubblicata in data 30.6.2009.
Si è, infatti, ribadito (Cass. sez. 5 n. 24597 del 19/11/2014) che “l’art. 366 bis
cod. proc. civ., introdotto dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e
contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto, come

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AN,

inerzia della lavoratrice, tale da far presumere un suo disinteresse al ripristino

condizione di ammissibilità del ricorso per cassazione, si applica “ratione
temporis” ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a
decorrere dal 2 marzo 2006 (data di entrata in vigore del menzionato
decreto), e fino al 4 luglio 2009, data dalla quale opera la successiva

69″ ( conf. a Cass. sez. 3, Ordinanza n. 7119 del 24/3/2010)
Sulla necessità della formulazione del quesito di diritto si è, altresì, avuto
modo di chiarire (Cass. sez. 5 n. 10758 dell’8/5/2013) che “il motivo di ricorso
per cassazione, soggetto al d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, deve in ogni caso
concludersi con la formulazione di un quesito di diritto idoneo, cioè tale da
integrare il punto di congiunzione tra l’enunciazione del principio giuridico
generale richiamato e la soluzione del caso specifico, anche quando un “error
in procedendo” sia dedotto in rapporto alla affermata violazione dell’art. 112
cod. proc. civ., non essendovi spazio, in base al testo dell’art. 366-bis cod.
proc. civ., per ipotizzare una distinzione tra i motivi d’impugnazione associati a
vizi di attività a seconda che comportino, o no, la soluzione di questioni
interpretative di norme processuali.” (in senso conf. v. anche Cass. sez. 3, n.
24339 del 30/9/2008)
Egualmente inammissibile è il primo motivo col quale è, invece, prospettato il
vizio di motivazione, sia con riferimento alla lamentata distorsione della lettura
della sentenza di primo grado in ordine alla questione della risoluzione per
mutuo consenso, sia con riguardo alla denunziata diversità dell’epoca in cui fu
proposto il tentativo obbligatorio di conciliazione.
Infatti, manca nella conclusione del motivo un momento di sintesi, omologo
del quesito di diritto, che ne circoscriva puntualmente i limiti in ordine al fatto
che sarebbe oggetto della contraddittorietà della motivazione, per cui non
emerge dalla stessa doglianza in qual modo e per quali ragioni le

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frs/5

abrogazione della norma, disposta dall’art. 47 della legge 18 giugno 2009, n.

determinazioni di merito da parte del collegio giudicante avrebbero inciso sulla
idoneità della relativa decisione.
Si è, invero, già avuto modo di statuire (Cass. Sez. Un. n. 20603 del 1°
ottobre 2007) che “in tema di formulazione dei motivi del ricorso per

d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione, poiché secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ.,
introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.,
l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la
chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si
assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la
relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito
di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non
ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della
sua ammissibilità.”
Invece, la ricorrente si limita semplicemente ad ipotizzare una distorta lettura
della sentenza di prime cure in merito alla questione della risoluzione del
rapporto per mutuo consenso e non produce nemmeno il documento che,
secondo il suo assunto difensivo, avrebbe rappresentato la prova dell’epoca in
cui si era inutilmente svolto il tentativo di conciliazione e del fatto che tale
adempimento sarebbe stato eseguito a ridosso della scadenza del contratto, in
guisa tale da escludere la configurabilità dell’ipotesi di una sua inerzia nel far
valere il diritto in esame.
In definitiva, va dichiarata la inammissibilità del ricorso.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e
vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio nella misura di C 3000,00 per compensi
professionali e di C 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 12 novembre 2015
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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