Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4017 del 20/02/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 4017 Anno 2018
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: SPAZIANI PAOLO

ORDINANZA

sul ricorso 11302-2015 proposto da:
MAZZELLA MARIANNA, SOGLIUZZO NICOLA, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA A. BAIAMONTI 4, presso lo
studio dell’avvocato RENATO AMATO, rappresentati e
difesi dall’avvocato SABINO ANTONINO SARNO giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrenti contro
2017
2393

INSANTE ANNA CARMELA, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 4, presso lo studio
dell’avvocato MARIO SANTARONI, rappresentata e difesa
dall’avvocato GIUSEPPE DI MEGLIO giusta procura in
calce al controricorso;

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Data pubblicazione: 20/02/2018

- controricorrente nonchè contro

DI MEGLIO LUCIA, DI MEGLIO ANNA, DI MEGLIO VINCENZO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 479/2015 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 04/12/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO
SPAZIANI;

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di NAPOLI, depositata il 29/01/2015;

A.C. 04.12.2017
N.R.G. 11302/2015
Pres. Spirito
Est. Spaziani

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 28 luglio 1990, Anna Carmela Insante premesso che, con atto notarile del 1983, immediatamente trascritto, aveva
acquistato un terreno da Fortunata Patalano; e che, con successivo atto
notarile del 1989, lo stesso terreno era stato illegittimamente venduto a
da Vincenzo Di Meglio, Lucia Di Meglio, Anna Di Meglio e Giovanni Battista Di
Meglio – convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Napoli, Marianna Mazzella
e Nicola Sogliuzzo, chiedendo di essere dichiarata esclusiva proprietaria del
fondo con condanna dei convenuti al rilascio dello stesso.
Marianna Mazzella e Nicola Sogliuzzo chiamarono in garanzia per evizione i
venditori Di Meglio, i quali, costituitisi in giudizio, asserirono che, al momento
della vendita del 1989, il fondo alienato era di loro proprietà, per effetto della
usucapione maturata a favore dei loro danti causa; chiesero, pertanto, che
fosse accertato l’avvenuto acquisto a titolo originario da parte dei loro danti
causa e che fosse conseguentemente dichiarata la validità ed efficacia della
vendita da loro effettuata alla Mazzella e al Sogliuzzo.
Assunta una prova per testi ed esperita una consulenza tecnica d’ufficio, il
Tribunale, con sentenza in data 29 novembre 1999, accolse la domanda di
rivendica della Insante e condannò la Mazzella e il Sogliuzzo al rilascio
dell’immobile; accolse altresì, ma solo parzialmente, la domanda di garanzia
per evizione formulata dai convenuti, dichiarando l’inefficacia della vendita
effettuata dai Di Meglio e condannando questi ultimi alla restituzione del prezzo
del terreno, quantificato in Lire 3.000.000, oltre rivalutazione ed interessi.
La decisione fu nella sostanza confermata, con sentenza del 26 febbraio
2002, dalla Corte di Appello di Napoli (la quale rigettò l’impugnazione proposta
da Marianna Mazzella e Nicola Sogliuzzo e accolse solo parzialmente quella
proposta dai Di Meglio, riducendo l’importo da questi dovuto a Lire 2.000.000),
sui rilievi: che non spettava all’Insante l’onere di provare l’acquisto a titolo
originario della proprietà, in quanto i convenuti avevano agito per
l’accertamento della usucapione maturata successivamente al momento in cui
il bene era appartenuto ad un incontestato titolare originario, comunemente
riconosciuto dalle parti, sicché l’onere di provare i fatti posti a fondamento
della domanda di rivendica doveva ritenersi assolto nel momento in cui non era
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Marianna Mazzella e Nicola Sogliuzzo (i quali ne avevano acquisito il possesso)

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Pres. Spirito
Est. Spaziani

stata data, ex adverso, la prova dell’usucapione opposta; che, considerato
tempo utile all’usucapione il ventennio anteriore all’epoca di introduzione della
lite (1990), le confuse e discordanti dichiarazioni testimoniali assunte non
consentivano di ritenere sufficientemente provato che, per il tempo necessario
alla maturazione dell’usucapione, l’immobile fosse stato esclusivamente
Sogliuzzo; che, infine, con particolare riguardo all’evizione, la domanda di
restituzione della somma asseritamente pagata di L. 42.570.000 non poteva
essere integralmente accolta, non essendovi in atti scritture che dimostrassero
il suddetto pagamento.
In accoglimento del ricorso principale proposto da Vincenzo, Lucia e Anna Di
Meglio, nonché del ricorso incidentale adesivo proposto da Marianna Mazzella e
Nicola Sogliuzzo, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 21829 del 17 ottobre
2007, pur reputandola corretta nella parte in cui aveva ritenuto assolto l’onere
della prova incombente sull’attrice in rivendicazione ove fosse fallita la prova in
ordine all’usucapione dedotta dalle controparti, tuttavia cassò con rinvio la
decisione della Corte di Appello, ritenendo, per un verso, erronea la statuizione
secondo cui il tempo utile ad usucapire avrebbe dovuto essere circoscritto al
ventennio anteriore al 1990 e, per altro verso, incongrua la motivazione
sull’insufficienza della prova testimoniale in funzione della dimostrazione
dell’acquisto a titolo originario da parte dei danti causa dei convenuti, avuto
riguardo, in particolare, alle dichiarazioni dei testi Francesco Di Costanzo e
Salvatore Di Meglio, che avevano riferito di un possesso ventennale il primo e
quarantennale il secondo.
Riassunto il processo dinanzi alla Corte di Appello di Napoli in diversa
composizione, quest’ultima, con sentenza in data 29 gennaio 2015, in sede di
rinvio, ha confermato il giudizio in ordine alla mancata prova della dedotta
usucapione ed ha conseguentemente rigettato gli appelli spiegati da Vincenzo,
Anna e Lucia Di Meglio, nonché da Marianna Mazzella e Nicola Sogliuzzo.
Avverso questa sentenza propongono ricorso per cassazione Marianna
Mazzella e Nicola Sogliuzzo sulla base di un unico motivo di censura.
Risponde con controricorso Anna Carmela Insante.
Non svolgono attività difensiva gli altri intimati.
La sola controricorrente ha depositato memoria.
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posseduto dai danti causa degli appellanti Marianna Mazzella e Nicola

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Est. Spaziani

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L’unico motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c.,
«violazione dell’art. 384 c.p.c. – nullità della sentenza per mancato rispetto da
parte del giudice di rinvio del decisum della sentenza di cassazione», nonché,
ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., «violazione dell’art. 1158 c.c.».
I ricorrenti deducono che la Corte di merito, quale giudice del rinvio, avrebbe
un verso ignorando la necessità di indagare, ai fini dell’usucapione, il periodo di
tempo anteriore al 1970, per altro verso limitandosi a ribadire le considerazioni
già espresse nella sentenza cassata sull’inattendibilità delle dichiarazioni dei
testi Francesco Di Costanzo e Salvatore Di Meglio.
Sostengono che questi ultimi avevano invece riferito circostanze precise e
concordanti, sintomatiche dell’assidua coltivazione del fondo da parte dei danti
causa dei venditori Di Meglio a far tempo per lo meno dal 1947, sicché
l’acquisto per usucapione avrebbe dovuto ritenersi maturato quanto meno dal
1967, per effetto del possesso continuato per un ventennio.
2.

Il motivo è inammissibile, in quanto, ad onta della sua formale

intestazione, attiene a profili di fatto.
Con esso, infatti, sul presupposto di una pretesa elusione, da parte del
giudice del rinvio, dei principi fissati dalla Corte di Cassazione, si contesta
l’apprezzamento delle prove testimoniali effettuato dalla Corte territoriale nel
pieno rispetto di quei principi, chiedendosene indebitamente una rivalutazione
al fine di suscitare dalla Corte di legittimità un nuovo e diverso giudizio di
merito in contrapposizione a quello motivatamente formulato dal giudice di
appello.
Quest’ultimo, infatti, pur tenendo conto della necessità di considerare utile,
ai fini dell’usucapione, anche il periodo di tempo anteriore al 1970, ha tuttavia
motivatamente ritenuto inattendibili le testimonianze dedotte in funzione della
prova del possesso continuato del fondo, sul rilievo che esse, per un verso,
erano state reciprocamente contraddittorie, mentre, per altro verso, erano
state smentite dalle ulteriori risultanze istruttorie.
Sotto il primo profilo, la Corte territoriale ha evidenziato che i vari testimoni
assunti avevano reso dichiarazioni contrastanti in ordine alle persone che si
erano materialmente occupate della conduzione del fondo.
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violato l’obbligo di uniformarsi ai principi stabiliti dalla Corte di Cassazione, per

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Sotto il secondo profilo, la Corte di Appello ha osservato come le circostanze
riferite in particolare dai testi Francesco Di Costanzo e Salvatore Di Meglio
(secondo cui il fondo era coltivato e ben curato) erano state smentite sia dalle
prove documentali (dal contratto di compravendita del 1983 risultava che il
terreno era incolto e abbandonato) sia dalla relazione della consulenza tecnica
espletata in primo grado (la quale aveva dato conto dello stato di completo
sia, infine, dalle dichiarazioni di altri testimoni.
Alla luce di tali rilievi, da un lato, deve escludersi che la Corte di merito, in
qualità di giudice del rinvio, abbia violato l’obbligo di uniformarsi ai principi
affermati dalla Corte di cassazione in quanto, al contrario, nel pieno rispetto di
quei principi, ha soltanto proceduto alla valutazione critica delle risultanze
istruttorie, nell’esercizio delle prerogative esclusivamente attribuite al giudice
del merito.
Dall’altro lato, deve ritenersi che, nel contrapporre all’apprezzamento
operato dalla Corte di Appello la diversa lettura secondo la quale, al contrario, i
predetti testimoni avrebbero «riferito circostanze precise e concordanti,
sintomatiche dell’assidua coltivazione del fondo» da parte dei danti causa dei
venditori Di Meglio «per un periodo che abbraccia un arco di tempo ad iniziare
almeno dal 1947, e che aveva prodotto l’effetto dell’usucapione almeno a
partire dal 1967», i ricorrenti omettono di considerare che la valutazione delle
prove è attività riservata al giudice del merito cui compete anche la scelta, tra
le prove stesse, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti
ad esse sottesi (Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass.15/07/2009, n. 16499).
La predetta valutazione non può dunque essere rimessa in discussione in
sede di legittimità, con conseguente inammissibilità dell’esaminato motivo di
ricorso per cassazione.
In definitiva, il ricorso proposto da Marianna Mazzella e Nicola Sogliuzzo va
dichiarato inammissibile.
3. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono
liquidate come da dispositivo.
4. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve
dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei
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abbandono del fondo, con piccole zone in coltivazione solo da qualche anno)

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ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi,
Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile il 4 dicembre
2017.
IL RESIDENTE
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