Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4015 del 20/02/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 4015 Anno 2018
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: MOSCARINI ANNA

ORDINANZA

sul ricorso 5301-2015 proposto da:
RIGO MARIA TERESA, elettivamente domiciliata in ROMA,
V.TRIONFALE 6551, presso lo studio dell’avvocato
MARIA GIOVANNA RUO, che la rappresenta e difende
giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

SPEROTTO RENATO;
– intimato –

2017
2151

Nonché da:
SPEROTTO RENATO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA F. CONFALONIERI N.5, presso lo studio
dell’avvocato LUIGI MANZI, che lo rappresenta e

Data pubblicazione: 20/02/2018

difende unitamente all’avvocato MARIO GB TESTA giusta
procura a margine del controricorso e ricorso
incidentale;
– ricorrente incidentale contro

– intimata –

avverso

la

sentenza n.

1865/2014

della

CORTE

D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 06/08/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 09/11/2017 dal Consigliere Dott. ANNA
MOSCARINI;

2

RIGO MARIA TERESA;

FATTI DI CAUSA
Maria Teresa Rigo ricorre avverso la sentenza della Corte
d’Appello di Venezia che, confermando la pronuncia di primo grado, ha
rigettato la domanda risarcitoria connessa ad un preteso episodio
diffamatorio, verificatosi nel corso della seduta della Commissione

2000, nel corso della quale il Sindaco avrebbe commentato le
osservazioni presentate dall’avv. Rigo al piano regolatore comunale,
con le seguenti parole: “quella troia …. è proprio una brutta puttana
…. mette i pali tra le ruote a tutti”. Le circostanze, riferite solo de
relato

da un teste, sarebbero state riportate per iscritto

nell’allegato C alla delibera comunale del 20 luglio 2000 e riferite dal
Giornale di Vicenza in data 24 luglio 2000 con il titolo “Sindaco
anima il consiglio sul P.R.G. disgustato dallo scritto dell’avv. Rigo “.1
giudici del merito hanno ritenuto che il requisito della comunicazione
con più persone, necessario per integrare l’illecito della
diffamazione, non fosse stato provato, avendo solo un teste,
Rigoni, riferito delle espressioni ingiuriose, mentre altri testi escussi,
presenti alla seduta, avevano al più dichiarato che il sindaco aveva
perso la calma a causa delle osservazioni della Rigo, escludendo,
tuttavia, che egli avesse proferito parole ingiuriose all’indirizzo della
medesima. Avverso la sentenza d’appello la Rigo propone ricorso per
cassazione affidato a tre motivi. Resiste con controricorso Renato
Sperotto il quale propone anche ricorso incidentale condizionato.

RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la Rigo denuncia la violazione, ai sensi
dell’art. 360 n. 3 c.p.c. degli artt. 112 c.p.c. e 2059 c.c. in relazione agli
artt. 2 e 3 della Costituzione, agli artt. 1, 21, 23 e 47 della Carta dei
Diritti fondamentali dell’Unione Europea (detta anche Carta di Nizza)
del 7 dicembre 2000 – 12 dicembre 2007, nonché degli artt. 3, 13
e 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) del 4 novembre 1950, e

Urbanistica Comunale del Comune di Sandrigo, in data 13 luglio

successivi protocolli modificativi e integrativi, per non aver
considerato la violazione del diritto alla dignità personale della Rigo
e per aver escluso il diritto al risarcimento del danno.
A sostegno della propria tesi la Rigo cita giurisprudenza di questa
Corte che radicherebbe la risarcibilità del danno non patrimoniale, per
Costituzione, nella Carta di Nizza e nella Cedu.
Il motivo è inammissibile perché volto ad introdurre, per la prima
volta in sede di legittimità, una questione nuova rispetto a quella
discussa nei gradi di merito: i profili di violazione della dignità
personale risultano, infatti, invocati per la prima volta in questa sede,
sì da rendere certamente inammissibile il primo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione, ai
sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 3, degli artt. 595 c.p. e 10, 2043 e 2059
c.c., alla luce di quanto disposto dagli artt. 1 e 47 della Carta di Nizza
e dagli artt. 3, 13 e 14 della Convenzione di Roma, e solleva
eventuale questione di legittimità costituzionale dell’art. 595 c.p.
Ad avviso della ricorrente la sentenza avrebbe violato le norme su
indicate in quanto, per la prospettazione del reato di diffamazione,
non occorrerebbe che le dichiarazioni offensive fossero state audite da
una pluralità di soggetti, essendo sufficiente la sola potenzialità che
le stesse fossero audite in ragione del contesto nel quale
furono pronunciate, in coerenza con la giurisprudenza di questa
Corte secondo la quale la diffamazione è reato unanimemente
ritenuto di pericolo, la cui consumazione non necessita dell’effettiva
percezione delle dichiarazioni offensive, essendo sufficiente che
l’imputato abbia manifestato il proprio pensiero con la consapevolezza e
la volontà che questo giungesse a conoscenza di altri. Le norme
del codice penale devono essere lette, ad avviso della ricorrente, alla
luce del più ampio contesto delle disposizioni convenzionali
sovranazionali ed europee di guisa che il concetto di “onore”,
“dignità” e di “immagine” della persona non può che essere riletto
nella più ampia prospettiva della sua dignità personale. Ad opinare

violazione del diritto alla dignità personale, nell’art. 2 della

diversamente si violerebbe il diritto al ricorso effettivo ai sensi dell’art.
13 della Convenzione Cedu e dell’art. 47 della Carta di Nizza.
Nell’ipotesi in cui questa Corte dubitasse di poter accogliere
l’interpretazione adeguatrice proposta, la ricorrente solleva questione
di legittimità costituzionale dell’art. 595 c.p. con riguardo agli artt. 2
e 3 Cost. e degli artt. 1, 4, 20, 21, 23 e 47 della Carta di Nizza nella
della persona sia effettiva solo se ed in quanto il vulnus sia stato
audito da una pluralità di persone. Il motivo è infondato. Secondo la
consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass., V, n, 5654 del
19/10/2012; Cass. Pen. I, n. 2739 del 21/12/2010; Cass. Pen., I, n.
16307 del 15/03/2011; Cass. Pen., I, 16/11/2012 n. 44980) il reato
di diffamazione è costituito dall’offesa alla reputazione di una persona
determinata, percepita da più persone ed è un reato di evento non
fisico ma psicologico, consistente nella percezione, da parte dei terzi,
dell’espressione offensiva. Ad opinare diversamente il reato di
diffamazione risulterebbe integrato anche dalla mera condotta di chi,
in luogo affollato, bisbigliasse affermazioni offensive in modo appena
percettibile, con ciò pretermettendo l’accertamento dell’elemento
soggettivo dell’illecito, in evidente violazione del principio
costituzionale di personalità della responsabilità penale di cui
all’art. 27 Cost. Ne segue, pertanto, l’infondatezza del secondo
motivo di ricorso.
Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione ai sensi
dell’art. 360 c.p.c. n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio, la mancata valutazione sia delle dichiarazioni scritte,
allegate alla delibera del Consiglio comunale del Comune di Sandrigo
del 20.7.2000, sia dell’articolo comparso nel “Giornale di Vicenza”
del 24.7.2000. La Corte d’Appello avrebbe omesso di valutare la

parte in cui lo stesso prevede che l’offesa alla dignità e all’immagine

natura offensiva delle dichiarazioni ivi contenute, incorrendo nei vizi
motivazionali indicati. Il motivo è inammissibile ex art. 348 ter commi
4 e 5 c.p.c. che escludono la possibilità del ricorso in cassazione, ai

specie – la sentenza di appello abbia confermato quella di primo
grado (cd. “doppia conforme”).
Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato lo
Sperotto censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 360
co. 1 n. 4 c.p.c. per aver omesso di pronunciarsi sull’appello
incidentale in violazione dell’art. 112 c.p.c. Con il secondo motivo di
ricorso incidentale chiede di pronunciare la nullità della sentenza,
limitatamente alla parte in cui ha omesso di motivare l’eventuale,
implicito rigetto o assorbimento dell’appello incidentale proposto dallo
Sperotto, in violazione degli artt. 132 co. 4 c.p.c. e 111 1 co. 6 Cost. I
due motivi, in quanto condizionati all’accoglimento del ricorso
principale, restano assorbiti.
Conclusivamente il ricorso principale è rigettato, l’incidentale
assorbito, con la conseguente condanna della ricorrente alle
spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo,
e al raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.

sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., ogni qualvolta – come nel caso di

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito
l’incidentale condizionato. Condanna la ricorrente alle spese
del giudizio di cassazione, liquidate in C 6.000 (oltre C 200 per

dell’art. 13 co. 1

quater del d.p.r. n.115 del 2002 dà atto della

sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della ricorrente
principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.
13

esborsi), accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi

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