Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4015 del 19/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 19/02/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 19/02/2010), n.4015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

TE.S. Meccanica srl, di seguito “Società”, in persona del legale

rappresentante in carica, signor G.A., rappresentata e

difesa dall’avv. Macciotta Giuseppe ed elettivamente domiciliata

presso l’avv. Paola Fiecchi in Via S. Marcello Pistoiese 73, Roma;

– ricorrente –

contro

l’Agenzia delle entrate, di seguito “Agenzia”, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata

in Via dei Portoghesi 12, Roma;

– intimata e controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (CTR) di

Cagliari 15 dicembre 2004, n. 68/7/04, depositata il 18 febbraio

2005;

udita la relazione sulla causa svolta nell’udienza pubblica del 3

dicembre 2009 dal Cons. Achille Meloncelli;

udito l’avv. Maria Letizia Guida per l’Agenzia;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEI PROCESSO

1. Gli atti introduttivi del giudizio di legittimità.

1.1.1. Il 24 marzo 2006 è notificato all’Agenzia un ricorso della Società per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe, che ha respinto l’appello della Società contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Cagliari n. 770/04/2000, che aveva accolto il suo ricorso contro l’avviso di rettifica n. (OMISSIS) dell’IVA 1995.

1.1.2. Il ricorso per cassazione della Società è sostenuto con un solo motivo e si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione, anche in ordine alle spese processuali.

1.2. Il controricorso dell’Agenzia.

Il 9 giugno 2006 è notificato alla Società il controricorso dell’Agenzia, la quale conclude per il rigetto del ricorso.

2. I fatti di causa I fatti di causa sono i seguenti:

a) l’Ufficio delle entrate di Cagliari (OMISSIS) notifica alla Società l’avviso di rettifica n. (OMISSIS) della dichiarazione IVA per il 1995;

c) la Società ricorre alla CTP, lamentando: 1) la carenza di motivazione dell’avviso; 2) l’insussistenza di obbligazioni tributarie per diritto alla sospensione dei pagamenti dell’imposta;

3) l’inapplicabilità delle sanzioni D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 427, ex art. 6;

d) il ricorso della Società è rigettato dalla CTP;

e) l’appello della Società è, poi, respinto dalla CTR con la sentenza ora impugnata per cassazione.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è così motivata:

a) è infondato il primo motivo d’appello, con il quale s’ipotizza la carenza di motivazione dell’avviso di rettifica “per il pedissequo rinvio al contenuto del processo verbale di constatazione … in quanto, come rilevato dai primi giudici, l’avviso di rettifica appare sufficientemente motivato, sia per il contenuto dell’atto sia per il richiamo che viene fatto al verbale del nucleo misto di funzionari delle Imposte dirette e l’Ufficio IVA”;

b) nel merito, è infondato il motivo d’appello relativo alla sospensione dei pagamenti d’imposta, perchè “non risulta in alcun modo dimostrata la sussistenza di crediti non riscossi dalle società del gruppo EFIM, non assumendo alcuna rilevanza le fatture emesse negli anni interessati alla verifica, successivi al 18/07/1992, data della sospensione del pagamento dei debiti da parte dell’Ente soppresso e delle sue controllate. Inoltre non è stata in alcun modo espletata la procedura prevista dalla L. 17 novembre 1994, n. 111 per potere beneficiare della sospensione dei versamenti”;

c) “in relazione infine alle sanzioni, la parte per la prima volta in grado di appello ha eccepito la impossibilità di adempiere agli obblighi tributali a causa della indisponibilità dei documenti e delle scritture contabili, nonchè del computer dove erano stati immessi i dati perchè sottoposti a sequestro giudiziario dal gennaio 1994 al dicembre 1995. Si tratta di una allegazione inammissibile in quanto del tutto nuova; non risulta in ogni caso dimostrato alcuno stato di necessità. Deve, quindi, confermarsi la sentenza anche in relazione alle irrogate sanzioni che non appaiono modificabili perchè determinate sulla base delle disposizioni di cui ai D.Lgs. n. 471 del 1997 e D.Lgs. n. 472 del 1997, compreso l’art. 12 e l’applicazione di norme successive sarebbe meno favorevole al contribuente, come evidenziato dall’Ufficio”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Il motivo d’impugnazione.

4.1. La censura proposta con il motivo d’impugnazione.

4.1.1. La rubrica del motivo d’impugnazione.

Il motivo d’impugnazione è preannunciato dalla seguente rubrica:

“omissione della motivazione e contraddittorietà del dispositivo”.

4.1.2. La motivazione addotta a sostegno del motivo d’impugnazione La ricorrente Società formula le seguenti argomentazioni:

a) la CTR non avrebbe tenuto in debito conto che “l’atto amministrativo per il pedissequo rinvio al processo verbale di constatazione, non può ritenersi motivato, poichè non si da conto dell’iter logico-giuridico seguito dall’Ufficio per il recepimento delle conclusioni dei verbalizzanti”.

b) quanto all’eccezione sollevata relativamente alla sospensione del debito d’imposta, “la documentazione pretesa è stata rilevata direttamente dai verbalizzanti i quali hanno attestato i nominativi dei clienti, estraendo copia delle fatture emesse, fra i quali è elementare individuare società del gruppo EFIM: pertanto la prova che l’Ufficio ed i giudici di primo grado chiedevano era già in atti in loro possesso. Anche in questo caso la … L. n. 212 del 2000, all’art. 6, comma 4 è categorica nel disporre che al contribuente non possono essere richiesti documenti già in possesso dell’amministrazione finanziaria. L’Ufficio, quindi in possesso delle fatture che attestano il credito nei confronti delle società ex EFIM era in grado di stabilire l’entità del beneficio spettante. In modo del tutto illegittimo il collegio giudicante ha ritenuto siano stati introdotti nuovi motivi di gravame. Le lamentele sono state identiche sia in primo sia in secondo grado, tuttavia, nessuna pronuncia si è ottenuta in ordine allo specifico motivo di doglianza, consistente nell’omesso pronunciamento da parte della CTP”;

c) infine, non sarebbe corretta “la motivazione circa i punti sui quali essa ha ritenuto di doversi pronunciare. In particolare circa la richiesta di declaratoria di non debenza delle sanzioni per avere agito, la società, in stato di necessità. Come premesso lo stesso legislatore, mediante la messa in liquidazione delle società ex EFIM, ha riconosciuto gli effetti devastanti delle inadempienze del gruppo pubblico. Ancor più devastanti per le imprese d’appalto che basano il loro fatturato unicamente sui lavori assunti da queste ultime. Orbene la società ricorrente aveva quali unici committenti società del gruppo EFIM, talchè appare non corretto non voler riconoscere lo stato di necessità determinato dalle loro inadempienze. Quanto all’inapplicabilità delle sanzioni per l’impossibilità di adempiere agli obblighi tributari, contrariamente a quanto osservato nella sentenza, non consisteva tanto nell’insolvenza conclamata dei clienti, quanto nell’indisponibilità dei documenti e delle scritture contabili, nonchè del computer ove i dati erano stati immessi, poichè questi erano stati sottoposti a sequestro giudiziario nel gennaio 1994 dai carabinieri e restituiti nel dicembre 1995. Non si comprende come, in queste condizioni potessero essere redatte le dichiarazioni fiscali, nè si ritiene abbia pregio l’assunto dell’Ufficio circa la ricostruzione effettuata dai verbalizzanti: questi hanno operato nel 1997 quando i documenti erano rientrati in possesso della società ed agli stessi posti a disposizione. Da ultimo si rileva che è mancato il pronunciamento circa le determinazioni delle sanzioni ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12 sia in funzione del cumulo materiale che giuridico delle stesse, tenendo conto del vincolo di continuazione temporale.

Si rammenta, inoltre, che l’Ufficio ha emesso atti di accertamento in rettifica sia per l’anno 1994 che 1995, per cui le sanzioni devono essere irrogate tenendo conto anche della progressione temporale, in relazione ai principi del predetto D.Lgs., art. 12”.

4.1.3. La norma di diritto indicata dal ricorrente.

Il ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, indica, quindi, come norme, su cui si fonda il motivo d’impugnazione, quelle secondo cui: a) l’atto amministrativo d’imposizione tributaria non può essere motivato per rinvio pedissequo al PVC; b) al contribuente non può esser chiesta la produzione di documenti già in possesso dell’ ufficio tributario; c) non può essere sanzionato l’illecito tributario compiuto in stato di necessità.

4.2. La valutazione della Corte del primo motivo d’impugnazione.

Le censure proposte con l’unico motivo d’impugnazione sono, in realtà, tre, tra loro distinte ed autonome:

1) la prima riguarda la motivazione dell’avviso di rettifica per relationem al processo verbale di constatazione (PVC);

2) la seconda riguarda l’utilizzazione processuale di documenti in possesso dell’Ufficio all’epoca della dichiarazione IVA;

3) la terza concerne l’ammontare delle sanzioni.

4.2.1. La valutazione della censura relativa alla motivazione per relationem dall’atto amministrativo d’imposizione tributaria al PVC. Il motivo è manifestamente infondato, perchè, come questa Sezione ha avuto occasione di precisare di recente nella sentenza 11 maggio 2009, n. 10680, “la motivazione degli atti di accertamento per reiationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura, che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio” (Corte di cassazione 17 giugno 2002, n. 8690.

Nello stesso senso, Corte di cassazione 26 giugno 2003, n. 10205). Il rinvio dell’atto amministrativo finale ad un atto procedimentale può esser effettuato, peraltro, non solo alle conclusioni, ma anche, in tutto o in parte, ai fatti accertati e alle ragioni addotte dagli organi istruttori per giungere alle loro qualificazioni giuridiche dei fatti accertati. Infatti, il procedimento amministrativo – anche quello tributario – è la forma della funzione e il potere di adottare l’atto amministrativo finale è solo l’esercizio terminale di un potere che è frazionato tra organi amministrativi diversi, anche di enti pubblici diversi, in dipendenza della divisione del potere di provvedere. In particolare, ai fini che qui interessano, è rilevante il frazionamento, che è ispirato alla natura del processo decisionale umano e che la normazione effettua diffusamente, del potere di provvedere nei preliminari poteri d’iniziativa e d’istruttoria rispetto al finale potere di decidere. Se questo è lo stato della normazione sull’organizzazione amministrativa e sull’attività amministrativa, si appalesa come manifestamente fondata la pretesa delle amministrazioni finanziarie di interpretare la norma sulla motivazione per relationem del provvedimento amministrativo come attributiva, al titolare del potere di decidere, del potere di richiamare nel proprio atto il contributo, d’iniziativa o istruttorio, apportato da un altro organo amministrativo, il cui atto sia normativamente inserito nello stesso procedimento. In questo senso già si è espressa questa Corte nelle sentenze: 23 gennaio 2006, n. 1236; 21 marzo 2008, n. 7766. La riaffermazione della legittimità della motivazione per relationem non esclude che il rinvio possa essere, per così dire, “dosato” alla misura nella quale l’organo titolare del potere di adottare l’atto dotato di autonomia funzionale intenda recepire l’attività istruttoria e che la sua formulazione sia, perciò, adeguata allo scopo, che è quanto dire che anche la motivazione per relationem dev’essere adeguata. Ma la misura del richiamo è affidata alla scelta dell’organo decidente e la “pedissequa utilizzazione” dell’atto istruttorio è un fatto che il giudice di merito non può censurare di per sè, ma solo in base alla constatazione che dal richiamo globale dell’atto strumentale sia derivata, paradossalmente per eccesso del rinvio, un’inadeguatezza, o insufficienza, della motivazione dell’atto finale. Questa Corte ha già avuto occasione, al riguardo, di precisare che “L’autorità decidente deve, invero, guardarsi bene dal richiamare nella sua interezza un determinato atto, perchè, se esso fosse eccedente rispetto alla decisione e la sua dimensione e la sua articolazione fossero tali da impedire alla motivazione, anche per relationem, di svolgere la sua funzione garantistica di pubblicità dell’azione amministrativa a favore del destinatario, l’allegazione dell’atto richiamato non salverebbe la decisione dall’invalidità derivante da quella che paradossalmente potrebbe chiamarsi insufficienza di motivazione per eccesso di motivazione. Nell’ipotesi delineata, infatti, l’autorità decidente dovrebbe, comunque, fornire una guida alla lettura dell’atto richiamato e tracciare una sorta è di fil rouge che consenta al contribuente – e al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di reperire i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione della decisione (Corte di cassazione 15 febbraio 2008, n. 3896)”. Tuttavia, se il limite della motivazione per relationem sia stato superato dalla sentenza qui impugnata, non s’accerta, come erroneamente pretenderebbero i ricorrenti in questa sede, con il generico rimprovero di “pedissequa accettazione” dell’atto istruttorio, ma con un’adeguata motivazione illustrativa delle cause dell’inadeguatezza della motivazione per relationem.

In sostanza, si ribadisce che vigono le seguenti norme giuridiche:

1) “L’atto amministrativo d’imposizione tributaria può essere motivato per relationem ad un atto istruttorio del procedimento”;

2) “il rinvio motivazionale dell’atto amministrativo d’imposizione tributaria ad un atto istruttorio dev’essere adeguato”;

3) “l’accertamento giudiziale dell’adeguatezza della motivazione per relationem dell’atto amministrativo d’imposizione tributaria dev’essere adeguatamente motivato”;

4) “l’accertamento in sede di giudizio di legittimità dell’adeguatezza della motivazione per relationem dell’atto amministrativo d’imposizione tributaria dev’essere specificamente contestato dal ricorrente”.

Nel ricorso proposto dai contribuenti in questo giudizio, non solo si è invocata una norma giuridica inesistente, ma non si è nemmeno contestato specificamente l’ipotizzato vizio della motivazione per relationem. Ne deriva che la censura è, per un verso, infondata e, per altro verso, inammissibile.

4.2.2. La valutazione della censura relativa all’utilizzazione processuale di documenti in possesso dell’Ufficio all’epoca della dichiarazione IVA. La censura è inammissibile, perchè con essa si contesta quella parte della motivazione della sentenza d’appello che s’è qui riprodotta nel p.3b), senza assolvere l’onere di autosufficienza del ricorso per cassazione. A tal fine, infatti, non basta affermare che “la documentazione pretesa è stata rilevata direttamente dai verbalizzanti”, ma occorre riprodurre testualmente quelle parti degli atti del procedimento amministrativo nelle quali è descritto il fatto denunciato. Del tutto inappropriata è, pertanto, l’indicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 4 come disposizione normativa che conterrebbe la norma su cui si fonda il motivo, perchè esso regola i rapporti amministrativi tributari sostanziali e non contiene norme processuali relative al giudizio di legittimità.

P annienti inammissibile per mancanza di autosufficienza è la lagnanza relativa alla novità del motivo di gravame, sostenuta con la mera affermazione che “le lamentele sono state identiche sia in primo sia in secondo grado”, perchè di esse occorre dare riproduzione documentale nel ricorso per cassazione.

4.2.3. La valutazione della censura relativa all’ammontare delle sanzioni.

La censura consiste nell’ipotizzare vizi della motivazione addotta dalla CTR per sostenere la sua decisione sulle sanzioni (p.3.c)), la quale è stata dal giudice d’appello articolata in tre punti: 1) la novità della proposizione in appello dell’impossibilità di adempiere gli obblighi tributari per l’indisponibilità dei documenti e delle scritture contabili, sequestrate dal gennaio 1994 al dicembre 1995; 2) la mancata dimostrazione dello stato di necessità; 3) il carattere più favorevole al contribuente delle sanzioni irrogate rispetto a quelle che si irrogassero in base allo ius superveniens del 1997.

Orbene, la novità della proposizione in appello non è stata contestata in questa sede dalla Società, osservando il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, perchè essa non ha riprodotto quelle parti del ricorso introduttivo che siano idonee a dimostrare che la questione dell’impossibilità di provare era stata proposta già in primo grado. Sul punto, infatti, la sentenza d’appello riferisce soltanto, nella parte dedicata allo svolgimento del processo, che nel suo ricorso introduttivo la Società aveva sostenuto “l’inapplicabilità delle sanzioni ai sensi del D.Lgs. n 472 del 1997, art. 6”, ma non anche che si fosse fatta questione di “impossibilità di prova per stato di necessità”.

Quanto alla seconda articolazione della decisione del giudice d’appello sulle sanzioni, cioè quanto alla mancata dimostrazione dello stato di necessità, le ragioni addotte dalla Società in questa sede, qui riprodotte nel p.3.c), depongono in senso esattamente contrario alla sua tesi dell’impossibilità di fornire in giudizio prove tratte da documenti sequestrati, perchè essa stessa riferisce che i documenti, sottoposti a sequestro giudiziario nel gennaio 1994, le sono stati restituiti nel dicembre 1995, mentre l’avviso di rettifica è stato adottato nel 1998 e il processo di primo grado s’è concluso nel 2000.

Infine, quanto alla terza decisione adottata dalla CTR in tema di sanzioni, cioè il diniego di modificare le sanzioni irrogate con l’avviso di accertamento per il loro carattere più favorevole al contribuente rispetto a quelle che si irrogassero in base allo ius superveniens del 1997, la ricorrente Società propone una censura generica, perchè, a fronte dell’affermazione del giudice d’appello, non illustra nè il computo relativo alle sanzioni irrogate nè le ragioni per le quali, in applicazione del diverso regime sanzionatorio del 1997, si giungerebbe ad un risultato opposto a quello asserito dalla sentenza impugnata.

4.2.4. Valutazione conclusiva sul primo motivo d’impugnazione.

In conclusione, il primo motivo, sotto il quale la Società ricorrente ha collocato tre diverse censure, dev’essere rigettato, perchè i sub motivi, nei quali esso è stato articolato, sono infondati o inammissibili.

5. Conclusioni.

5.1. Sul ricorso.

Le precedenti considerazioni comportano il rigetto del ricorso.

5.2. Sulle spese processuali.

Le spese processuali relative al giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono poste a carico della Società ricorrente nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la Società ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al giudizio di cassazione per Euro 10.200,00 (diecimiladuecento), di cui Euro 10.000,00 (diecimila) per onorari, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2010

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